venerdì 1 ottobre 2021

Bergson ed il concetto di tempo

Bergson (Parigi, 18 ottobre 1859 – Parigi, 4 gennaio 1941), nel “Saggio sui dati immediati della coscienza”, precisa : “quando seguo con gli occhi sul quadrante di un orologio il movimento delle lancette…non misuro una durata, come pare si creda, mi limito a contare delle simultaneità, il che è molto diverso”. 
Il tempo astronomico dell’orologio è, infatti, un insieme di posizioni delle lancette sul quadrante che al passare degli istanti prendono posizioni diverse.

Ma tutto ciò è solo esteriorità, in quanto una successione degli istanti “esiste soltanto per uno spettatore cosciente che ricorda il passato e giustappone le due oscillazioni”. 

L’ orologio rappresenta le convinzioni scientifiche e razionaliste, in quanto ha una funzione archetipica. E’ l’emblema della costanza, della precisione e dell’omologazione a cui inevitabilmente porta una concezione del tempo caratterizzata da una scansione regolare: per cui ogni secondo, ogni minuto, ogni ora è sempre uguale, ha lo stesso valore, lo stesso peso. 

Ciò che conta in questa visione è l’aspetto quantitativo e non quello qualitativo, che, invece, rappresenta la vera fotografia della nostra percezione del tempo. 

E’ evidente in questo esempio la critica di Bergson ai positivisti e a tutti coloro che armati con il ferreo determinismo della matematica e della fisica pensano di poter regolare e governare tutte le dimensioni della vita umana, anche il tempo ...


Il tempo della fisica  “si può rappresentare con una collana di perle separate e tutte uguali”, come asserisce Bergson in “Introduzione alla Metafisica”. Il tempo della vita, per converso, “è come un gomitolo di filo o una valanga, che continuamente mutano e crescono su se medesimi”.

Con queste metafore Bergson ci suggerisce che il tempo della scienza ed il tempo vissuto sono diametralmente opposti, sono agli antipodi. 

Dal brano del “Saggio”, relativo all’ esempio dell’orologio, si evincono alcune riflessioni. Mentre l’interpretazione del tempo fornitaci dalla scienza è una creazione astratta dell’uomo, una mera convenzione che ha ragion d’essere solo perché risponde ad esigenze pratiche, in quanto conferisce ordine e stabilità, la durata è il tempo concreto. 

La grande novità del filosofo francese consiste infatti nell’avere identificato il tempo vissuto con la “durata”, che, per sua natura, non è percepibile mediante l’intelligenza, ma attraverso la memoria e la coscienza.

Nel tempo astratto vi è distinzione fra presente, passato, futuro e la progressione è regolare e continua.

Nella durata, invece, manca questa distinzione e la progressione è irregolare, cioè ammette salti, riduzioni e dilatazioni, così che un minuto può essere più lungo di un’ora o di un giorno o di un anno. 

Infatti “i fatti della coscienza” non sono riducibili ad un’astratta successione meccanica, perché “durano”, ossia vivono, crescono e muoiono. Sono possibili sia sospensioni sia ritorni nel passato in una visione del tutto soggettiva, in quanto il tempo della vita è il tempo reale che viene filtrato e rielaborato dalla nostra coscienza. Essa, quindi, è qualcosa di profondamente unitario e mobile nello stesso tempo: conserva gli input del mondo esterno perché questi “danno luogo a dei fatti di coscienza che si compenetrano e…legano il passato al presente…e al futuro”, come sostiene Bergson.

Non esistono, perciò, due momenti identici, in quanto il successivo contiene sempre, in più del precedente, il ricordo che quest’ultimo ha lasciato di sé. Si ingenera, così, un insieme che è in continua evoluzione e la vita interiore è, quindi,  progresso e “slancio vitale”. 

Ne consegue che il concetto di durata è caratterizzato da quattro qualità peculiari. 

1) E’ novità assoluta ad ogni istante, per cui c’è un continuo processo di creazione. 
2) Conserva integralmente tutto il passato, o meglio, come dice Bergson stesso, sempre nel “Saggio”, la durata si manifesta “quando il nostro io si lascia vivere, quando si astiene dallo stabilire una separazione tra lo stato presente e quello anteriore ”. 
3) E’ “una eterogeneità pura entro cui non vi sono qualità distinte”. 
4) E’ fluire continuo, poiché ciascun stato della coscienza fluisce in stati successivi formando un tutto dinamico, un flusso continuo, un divenire senza sosta di istanti che si compenetrano mutuamente e, in antitesi con quanto diceva la scienza tradizionale, non sono separabili e non si susseguono. Pirandello riprende questo tema della filosofia di Bergson, secondo cui l’universo è in continuo divenire, soggetto ad un’evoluzione creatrice, per cui contemporaneamente resta se stesso e cambia.

Ovviamente anche l’uomo è partecipe di questo moto continuo o flusso vitale, ma nello stesso tempo, secondo Pirandello, vorrebbe capirlo, schematizzarlo, riportarlo ad una legge per dominarlo e declinarlo alle proprie esigenze. 
Scrive, infatti, nella seconda parte del suo  trattato “L’umorismo”: “la vita è un flusso continuo che noi cerchiamo di arrestare, di fissare in forme stabili e determinate, dentro e fuori di noi ”. “Le forme in cui cerchiamo d’arrestare, di fissare in noi questo flusso continuo, sono i concetti, sono gli ideali a cui vorremmo serbarci coerenti, tutte le finzioni che ci creiamo, le condizioni, lo stato in cui tendiamo stabilirci. Ma dentro noi stessi,…il flusso continua, indistinto, sotto gli argini, oltre i limiti che noi imponiamo” ed “il flusso della vita è in tutti”.

Da qui, quindi,  nasce il dramma: l’uomo tenta inutilmente di catturare il flusso in forme fisse e quindi inadeguate, ma più si sforza di produrre forme diverse più si aliena; quanto più si circonda di forme fittizie, tanto più si allontana dalla realtà.


Anche il tempo è una delle tante forme create dall’uomo per le sue esigenze di conferire un ordine alla realtà, sottraendola al “caos”, e tale forma è fallace, falsa ed inconsistente. Vera è, invece, la nozione di durata e tempo soggettivo, scandito cioè dalla coscienza di ogni singolo individuo.

Ma la durata non conosce la distinzione passato-presente-futuro e non procede neppure linearmente a senso unico: ammette salti, accelerazioni e decelerazioni. Ogni individuo è, quindi, un mondo a sé stante, che può sfiorare gli altri, ma che non può essere comunicato, in quanto manca qualsiasi termine comune di riferimento. Non può esserci per Bergson né coscienza, né tempo interiore senza la memoria, di conseguenza “coscienza significa memoria”. Essa non è un ricordo: se quest’ultimo è solo una selezione inconsapevole tra le esperienze passate, di quella che ci è più utile per il momento contingente, la memoria, invece, è il risultato dell’intera storia dell’individuo. Scrive, infatti, Bergson, in “L’Evoluzione Creatrice”:

“che siamo, che cos’è il nostro carattere se non la sintesi della storia che abbiamo vissuto fin dalla nascita?…Certamente noi pensiamo solo con una piccola parte del nostro passato, ma è con tutto il nostro passato…che noi desideriamo, vogliamo ed agiamo”.

 Questo concetto, elemento nodale della filosofia di Bergson, era già stato sviluppato nel “Saggio”, quando il filosofo afferma che le nostre azioni rispondono “all’insieme dei nostri sentimenti, dei nostri pensieri e delle nostre più intime aspirazioni, a quella particolare concezione della vita che è l’equivalente di tutta la nostra esperienza passata”. Attuando uno dei suoi consueti capovolgimenti delle opinioni correnti, Bergson afferma che il ruolo del passato nella vita cosciente è molto più attivo ed importante della vita cosciente stessa. 


Secondo l’opinione tradizionale esisterebbe soltanto ciò che si percepisce nel presente. 

Una volta esauritasi la percezione presente, la sua immagine, sino ad allora colorata si sbiadirebbe subito nel ricordo. Secondo Bergson, di contro, “si potrebbe dire che non abbiamo presa sul futuro, senza un’uguale e corrispondente prospettiva sul passato”(da “Materia e Memoria”).

A questo punto Bergson non può non chiedersi che cosa sia il momento presente. 

La risposta si trova in “Materia e Memoria”: “la caratteristica del tempo è di scorrere, il tempo trascorso è il passato e chiamiamo presente l’istante in cui scorre.

Ma qui non si tratta di un istante matematico…ciò che chiamo il mio presente sconfina contemporaneamente sul mio passato e sul mio futuro”. “Bisogna dunque…che sia una percezione dell’immediato passato ed una determinazione dell’immediato futuro”. 

Possiamo, perciò, concludere che il presente è un’astratta finzione e ciò troverebbe un riscontro sempre in “Materia e Memoria”: “niente è meno del momento presente, se in tal modo intendete questo limite indivisibile che separa il passato dal futuro. Quando pensiamo questo presente come dovente essere non è ancora e quando lo pensiamo come esistente è già passato”.

In questo contesto il termine “indivisibile”, riferito al presente, può essere interpretato in maniera duplice ed ambivalente: come una determinazione del fluire del tempo che è perpetuo e quindi non scomponibile o come momento talmente piccolo da essere inconsistente e poter affermare, perciò, che “niente è meno del momento presente”, poiché quando lo percepiamo è già passato. Di conseguenza, prosegue Bergson, “noi non percepiamo praticamente che il passato dal momento che il puro presente è l’inafferrabile progresso del passato che fa presa sul futuro”.

Eros Tarditi

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