giovedì 20 maggio 2021

La spiritualità come fuga dal mondo



Anni fa ero convinto che essere persone "spirituali" significasse meditare e praticare yoga quotidianamente, seguire una dieta vegetariana o vegana, comprare solamente cibo Bio, leggere i libri di Osho o a tema "spirituale", frequentare le persone del mio "livello spirituale" guardando dall'alto in basso quelli che ancora non si erano "risvegliati". 

Sognavo di vivere in una comunità immersa nel verde dove tutti si dicessero "Namasté", sempre sorridenti, in abiti fricchettoni, fumando erba e amandosi incondizionatamente.
Quanta arroganza mi abitava!

Oggi non riesco più ad accettare quella visione immatura della spiritualità. Sono tutti cliché. Da cosa stavo scappando mi chiedo?

Questa visione "distorta" della spiritualità è figlia della controcultura hippy degli anni '60 che, poi ho compreso, non è solo irrealistica ma anche "pericolosa" perché crea isolamento e separazione invitando le persone a pensare che ritirandosi dal mondo in una comunità e quindi selezionando solo quelli che la pensano come loro e hanno le stesse idee sia un modo per essere sempre felici. 
Una sorta di bolla protettiva ...


Invece è solamente un modo per evitare il confronto con la diversità di opinioni, di idee, di carattere e di visione della vita rifiutando la realtà così com'è, per non prendere contatto con le emozioni come la rabbia, la tristezza, la paura che sono dentro di noi e confrontarsi con queste immagini interiori.  

Attraverso lo studio della filosofia buddhista e la pratica della meditazione ho compreso che si cresce anche e soprattutto attraverso il conflitto e attraverso i problemi, i disagi e i fastidi. 

Cercare di imporre il "risveglio" agli altri attraverso il giudizio e la violenza verbale, sfondando le porte, è un modo per scappare da se stessi evitando il confronto con chi ha una visione delle cose differente dalla nostra e per non accettare di vivere la vita e la realtà per come sono ora, anche se non ci piacciono. 

Oggi mi rendo conto che non vedevo che erano le mie aspettative, le mie ferite emotive, le mie convinzioni, che alimentavano il giudizio e la rabbia e distorcevano la realtà. 

Se ci troviamo a sentire che ciò che abbiamo, che facciamo o le persone che frequentiamo non ci soddisfano il problema è nostro, non del mondo che "fa schifo" o degli altri che non ci capiscono e non ci amano. 
Perché il mondo dovrebbe mai amarci e capirci?  

L'insoddisfazione è dentro di noi... non è all'esterno, per quanto sia così diffusa. Ma è diffusa perché abbiamo aspettative irrealistiche sulla realtà e sugli altri e non vogliamo crescere. 

Anthony De Mello, scrive: "Svegliatevi! Svegliatevi! siete adulti. Siete troppo grandi per dormire. Smettere di trastullarvi con i vostri giocattoli. La maggior parte della gente afferma di voler uscire dall'asilo infantile, ma non bisogna crederle. Non credeteci! La gente vuole soltanto aggiustare i propri giocattoli rotti. "Ridatemi mia moglie. Ridatemi il mio lavoro. Ridatemi i miei soldi! Ridatemi la mia reputazione, il mio successo." 

E questo che vogliono le persone: avere dei nuovi giocattoli. Tutto qui...

Dovremmo accettare che ogni persona ha un cammino diverso dal nostro. 

Vivere nel mondo non è facile ma non è sicuramente la soluzione ritirarsi su un monte, chiudersi nella propria stanza o vivere in un centro spirituale per non affrontarlo raccontandosi che si è ipersensibili, fragili, o "speciali". Il rifiuto del mondo può alimentare ulteriormente la nostra ferita narcisistica. 

Cristo e Buddha andarono in mezzo agli uomini a predicare amando proprio quelli che più li rifiutavano e li maledicevano. "Vivi nel mondo ma non con il mondo" dice il detto evangelico. Non sto dicendo che dobbiamo essere come il Cristo, ma è troppo facile mostrarsi "illuminati" solo con chi ti ama e ti mette su un piedistallo come un discepolo. 

Come racconto nel mio libro, una volta una persona che frequentavo in questi gruppi, in occasione di un chiarimento tra noi, mi disse: "... ne devi fare di strada per raggiungere il mio livello spirituale". Se questo è ciò che si impara in questi gruppi e ambienti allora non c'è nessun risveglio effettivo ma solamente un amplificazione delle dinamiche egoiche e dei meccanismi di difesa. 

Non c'è niente di male in questo, nessuno è perfetto, ma gli altri fanno il loro percorso esattamente come noi e, di riflesso, mi hanno mostrato un'immagine di me che non mi piaceva più. 

Forse prima di pensarci persone "spirituali" potremmo chiederci se in realtà non abbiamo bisogno di chiedere un aiuto professionale per cercare di comprendere perché abbiamo così tanta paura di relazionarci con chi è diverso da noi, giudicandolo, forse per fuggire da un senso di inferiorità inconscio e imparare a essere più vulnerabili e più "umani" con noi stessi e con gli altri. 

La spiritualità non deve essere presa come un "droga" per staccarsi dalla realtà quotidiana e farci sentire migliori degli altri ma per mettersi al servizio degli altri. Diventando esempi per gli altri e non "esseri superiori" che hanno raggiunto il risveglio e non vedono loro che succeda a tutti gli altri per sentirsi in pace con se stessi. 

Come scrive Pierre Teilhard de Chardin: "Noi non siamo esseri umani che vivono un’esperienza spirituale, siamo esseri spirituali che vivono un’esperienza umana." 

Lo spirito si eleva discendendo attraverso le esperienze nella carne. 

Il vero risveglio è essere consapevoli dei propri pensieri, delle proprie emozioni e dei meccanismi di difesa che mettiamo in atto per non sentire quelle emozioni. 
E' il sentiero del Satiphattana buddhista orientale. 
E' il cammino del Fare Anima occidentale.
Link all'acquisto del libro "Confessioni di uno psicologo"

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