venerdì 30 novembre 2018

L’uomo come padre: il grande assente dal “dibattito”

In queste “reti sociali”, almeno tra i miei contatti me compreso, è tutto un parlare di questioni religiose, politiche, culturali, economiche e sociali. Mai una volta che qualcuno accennasse a se stesso in quanto genitore. 

Foto: La fuga di Enea da Troia, Barocci (© Galleria Borghese, Roma)

Al massimo lo si fa indirettamente, in occasione dei compleanni o dei successi scolastici o sportivi dei figli (io no perché mi guardo bene dal pubblicare le foto dei miei figli qui).

Invece bisognerebbe parlare eccome dell’esser genitori, perché la nostra vita vera non è la “crisi in Medioriente” o l’ultima uscita di Saviano… Quelli (e sono in quantità indefinita) sono problemi che certo possono avere dei riverberi, anche importanti, sulle nostre vite, ma non sono la nostra vita. Cioè, non sono il banco di prova sul quale, fondamentalmente, si misurerà se abbiamo fallito o meno la nostra missione (se abbiamo messo al mondo dei figli, beninteso).

Padri e madri lo siamo sempre, e ciò ci mette alle prova dalla mattina alla sera, e pure la notte, quando si hanno dei bimbi piccoli che non dormono. Per le madri, almeno loro, il discorso è un attimo diverso, in quanto loro dell’esser madri e della fatica e della responsabilità (e della gioia e delle soddisfazioni, intendiamoci) che ciò comporta parlano e scrivono quando s’incontrano e quando scrivono su Facebook eccetera. 
Ma per i padri è come se la questione non li sfiorasse ...


No, loro sono lì che discutono e discutono, fino allo sfinimento di tutto e di più, anche dell’estinzione dell’ultimo esemplare di orangotango o della guerra fra Tutsi e Hutu, ma mai un problema sollevato al riguardo dell’esser padri. Che c’è? Vi vergognate? Non ve ne frega nulla? V’illudete che la questione non vi tange perché tanto non c’è da dire nulla?

Scrivo questo perché sono fermamente convinto che se esistono delle sciagurate come quella che dà a tutti gli uomini del “pezzo di merda” o quell’altra che vaneggia fuori tempo massimo di “patriarcato” è perché gli uomini in quanto padri sono come evaporati dalla scena pubblica.
Un po’ per quieto vivere, un po’ per un malinteso senso di discrezione, e forse anche perché hanno la tendenza a mostrarsi per quello che non sono.


Ecco, a me piacerebbe invece che se ne parlasse più spesso, ma per andare un po’ in profondità nella faccenda, altrimenti è veramente inutile lamentarsi di tutto quel che non funziona e, comprensibilmente, ci va storto e ci dà sui nervi.

Fate mente locale a quanto disordine vi è nel mondo moderno e chiedetevi se questo avviene anche perché la figura del padre (che non è un concetto astratto ma siamo noi, esseri in carne ed ossa) è stata silurata e, per pigrizia e per comodità, ha deciso di colare a picco con la famiglia, blandita e vezzeggiata dai lestofanti delle campagne elettorali che ovviamente si sperticano sempre in promesse da marinaio d’aiuto e sostegno.

I padri in quanto tali hanno un’enorme responsabilità in quanto tali, in tutti quei campi che citavo all’inizio e che occupano ore ed ore di messaggi su questi “social”. 

Alla politica. ai religiosi di professione, agli addetti alla cultura che cosa può importare dell’uomo come padre? 

L’importante è che lavori, consumi e crepi senza rompere le palle, perché tanto ai figli ci pensa la scuola e tutto il resto ad impostarli secondo le regole assurde e perverse di questa società degli spettri.

È tutto un piagnucolare sulla Finis Italiae, ma se non la pensiamo per prima cosa come Terra dei Padri, degli Avi, quale idea d’Italia abbiamo in mente per risollevarne le sorti? Allora, cari papà e babbi, fatevi sentire almeno qualche volta!

1 commento:

  1. E i "selvaggi"?
    Essendo ignoranti e buzzurri, i giovani prima del concepimento vengono isolati per un certo tempo e preparati ad essere genitori.
    Forse non sono poi così selvaggi.

    La genitorialità non è un caso che non è adeguatamente spiegata ai futuri genitori.

    Il futuro del piccolo dipende in esclusiva dal come i genitori capiscono il tema e lo hanno cresciuto fin dal concepimento, un periodo in cui le credenze di vita principali vengono inculcate senza che i genitori ne siano consapevoli.

    Una vita buona e fruttuosa o infelice dipende proprio da tali credenze.
    L'ignoranza su questo tema cruciale è voluta, buoni genitori con giusti valori e non guidati da credenze atrui, significa futuri cittadini poco propensi a fare la pecora.


    Gianni

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