Appena dopo l’alba, in una nebbiosa mattina di primavera dell’anno 2009, il mio ingegnere acustico, ricercatore presso l’Università di Salford, Bruno Fazenda, e Rupert Till dell’Università di Huddersfield, Regno Unito, andavano in giro per Stonehenge a fare scoppiare dei palloncini.
Non era un qualche bizzarro rito pagano, ma un serio tentativo di catturare la “risposta all’impulso” dell’antico cerchio di pietre del sud dell’Inghilterra, e forse l’inizio per stabilire come l’ambiente di Stonehenge avrebbe potuto risuonare per i nostri antenati...
Una risposta all’impulso caratterizza tutti i percorsi del suono tra la sua fonte – in questo caso un pallone che scoppia – e un microfono posto a pochi metri di distanza.
Si tratta semplicemente di un grafico della pressione sonora al microfono nei secondi dopo lo scoppio. Il primo picco, più forte, rappresenta il suono che ha viaggiato direttamente dalla sorgente al microfono. Più tardi, più piccoli picchi indicano l’arrivo dei riflessi delle pietre. Il registrazione mostra la risposta all’impulso di Bruno e Rupert misurata con un microfono posto al centro di Stonehenge e un pallone che esplode sul bordo del cerchio.
Una volta in laboratorio, può essere utilizzata per creare una riedizione virtuale di come risulterebbe qualsiasi pezzo di musica o parlato o suono emesso all’interno del cerchio di pietre. Tutto ciò che è necessario è una ” registrazione anecoica” della musica o del parlato – una registrazione fatta in un ambiente privo di riflessione, come all’aria aperta o, meglio, in una camera anecoica specialistica come quella che abbiamo a Salford. La registrazione anecoica e la risposta all’impulso possono essere combinati con una operazione matematica chiamata circonvoluzione.
Abbiamo fatto ciò con una registrazione di batteria. Ecco l’originale anecoica. E qui è convoluta con la risposta all’impulso misurata a Stonehenge. La differenza è facilmente apprezzabile: non c’è più il riverbero o il suono di chiamata a suonare la batteria grazie ai riflessi delle pietre. Inoltre, l’equilibrio tonale del suono è completamente diverso: è diventato molto più profondo , come se gli alti fossero stati respinti.
LA SIMULAZIONE DELL’EFFETTO DELLO HENGE
LA SIMULAZIONE DELL’EFFETTO DELLO HENGE
Lo scoppio di un pallone non è la norma né il modo migliore per misurare una risposta all’impulso, ma più sofisticate apparecchiature non sono state autorizzate a Stonehenge. In una replica a grandezza naturale del monumento realizzata a Maryhill, nello Stato di Washington, tuttavia, Bruno e Rupert sono stati in grado di utilizzare altoparlanti potenti e segnali di prova speciali per ottenere risultati più accurati. Maryhill ha anche il vantaggio di essere completa, mentre alcune delle pietre di Stonehenge sono state rovinate o scomparse nel corso degli anni.
Ciò rende notevole la differenza tra i suoni di batteria convoluta con la risposta all’impulso di Maryhill: il cerchio di pietre più completo fa eco al suono più a lungo, e il riverbero 6 esteso in modo più evidente dopo l’ ultimo tamburo.
Per esempio, adesso sappiamo come le caratteristiche all’interno della risposta all’impulso, ad esempio il tempo necessario perché i riverberi vadano a morire lontano, riguardano le percezioni che la gente ha della natura del suono.
La speranza è che, applicando le competenze ai monumenti antichi, come Stonehenge, possiamo meglio apprezzare gli effetti acustici graditi ai nostri antenati e, forse, cominciano a rispondere alla domanda se tali effetti siano stati un risultato casuale di incidente o l’effetto voluto della loro progettazione.
Trevor Cox è professore di ingegneria acustica presso l’Università di Salford , Regno Unito, e presidente dell’Istituto di Acustica del Regno Unito
Trevor Cox è professore di ingegneria acustica presso l’Università di Salford , Regno Unito, e presidente dell’Istituto di Acustica del Regno Unito
Traduzione: Liutprand
UN CERCHIO DI SUONI ACCOMPAGNAVA I RITI.
Alla Scoperta Della Dimensione Sonora, Nella Preistoria E Nell’antichità Prevaleva Su Quella Visiva, Ma Oggi L’abbiamo Perduta. Ogni Parola Sussurrata Nel Centro Dell’arena Produce Nove Echi Distinti. Alcune Frequenze Favoriscono La Trance Tipica Dei Riti Arcaici.
Ora gli ingegneri acustici tentano di svelare uno dei suoi tanti segreti. In un’alba nebbiosa del maggio 2009 due uomini si aggiravano tra i megaliti di Stonehenge, facendo scoppiare dei palloncini e registrando i suoni con un microfono al centro del cerchio. Non erano seguaci di culti pagani, ma ingegneri acustici: Bruno Fazenda dell’Università di Salford e Rupert Till dell’Università di Huddersfield.
Lo scopo era misurare la «risposta all’impulso», una sorta di impronta acustica del sito. L’accurata levigatura e curvatura delle superfici interne dei blocchi suggerisce che, probabilmente, gli antichi costruttori sapevano come ottenere effetti molto suggestivi. Poiché in 4 mila anni Stonehenge ha subito varie manomissioni e molti megaliti sono stati rimossi o giacciono a terra, i ricercatori inglesi sono andati anche a Maryhill, nello Stato di Washington, dove un cimitero militare ospita una versione in cemento di quella che doveva essere la struttura originaria dei sito inglese.
I dati sembrano confermare che nel «magico» cerchio ogni parola poteva essere udita distintamente da ogni punto periferico. «Ovviamente a Maryhill è in gioco una maggiore energia acustica, perché lo spazio è chiuso da più superfici e quindi ne “scappa” fuori una minore quantità – commenta Renato Spagnolo dell’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica di Torino -. Per la stessa ragione il tempo di riverberazione medio risulta più lungo, circa 1,1 secondi, vale a dire quello che caratterizza una sala conferenze ben progettata, mentre sarebbe troppo breve per una buona resa musicale».
La ricerca, presentata da Trevor Cox, che insegna ingegneria acustica a Salford, ha dato visibilità all’archeoacustica, una disciplina che sta conquistando autorevolezza un po’ alla volta. Studiosi «di frontiera», come Paul Devereux, David Lubman o il musicologo italiano Walter Maioli, si occupano da tempo della dimensione sonora del mondo antico. E le scoperte si susseguono, partendo da una considerazione che non è affatto ovvia: solo da pochi secoli la visione ha preso il sopravvento sugli altri sensi, mentre in passato l’udito era fondamentale, in un mondo più silenzioso e pericoloso di quello attuale.
La ricerca, presentata da Trevor Cox, che insegna ingegneria acustica a Salford, ha dato visibilità all’archeoacustica, una disciplina che sta conquistando autorevolezza un po’ alla volta. Studiosi «di frontiera», come Paul Devereux, David Lubman o il musicologo italiano Walter Maioli, si occupano da tempo della dimensione sonora del mondo antico. E le scoperte si susseguono, partendo da una considerazione che non è affatto ovvia: solo da pochi secoli la visione ha preso il sopravvento sugli altri sensi, mentre in passato l’udito era fondamentale, in un mondo più silenzioso e pericoloso di quello attuale.
Ogni rumore poteva celare una minaccia. Ma gli stessi suoni della natura, oltre che la parola, il canto e la musica avevano anche significati sacri o magici, perché si riteneva che permettessero una comunicazione con la sfera divina e con i regni dei morti. I ricercatori dell’archeoacustica sostengono quindi che grotte affrescate, ipogei, edifici e luoghi sacri venissero realizzati ponendo grande attenzione agli effetti sonori o «aurali».
Al momento gli studi più approfonditi sono quelli condotti sugli anfiteatri greci e romani: gli ingegneri conoscevano bene i principi fisici e nel tempo riuscirono a migliorare il rendimento acustico, utilizzando materiali compatti, aumentando l’altezza del palcoscenico, modificando l’angolazione e la disposizione delle gradinate e distribuendo tra queste vasi di bronzo con funzione di risonatori. L’opera di riferimento, a partire dal I secolo a. C., fu il «De Architectura» di Vitruvio.
Al momento gli studi più approfonditi sono quelli condotti sugli anfiteatri greci e romani: gli ingegneri conoscevano bene i principi fisici e nel tempo riuscirono a migliorare il rendimento acustico, utilizzando materiali compatti, aumentando l’altezza del palcoscenico, modificando l’angolazione e la disposizione delle gradinate e distribuendo tra queste vasi di bronzo con funzione di risonatori. L’opera di riferimento, a partire dal I secolo a. C., fu il «De Architectura» di Vitruvio.
Le parole sussurrate a un’estremità del più vasto dei campi per il gioco della palla, lungo 166 metri e largo 68, sono udibili dalla parte opposta grazie a fenomeni di focalizzazione e concentrazione del suono noti come «whispering galleries». Inoltre, ogni suono prodotto nel centro dell’area crea nove echi distinti. Non solo. C’è anche la performance della piramide a gradoni di Quetzalcoatl, nota come El Castillo. Le guide che accompagnano i turisti si esibiscono spesso in un piccolo show: un battito di mani, rimbalzando sui gradoni, si trasforma come per magia nel cinguettio del Quetzal, l’uccello sacro oggi quasi estinto.
Il suono penetra nelle ossa, non solo nelle orecchie». Ma le analisi più impressionanti, forse, restano quelle del gruppo «Princeton Engineering Anomalies Research», diretto dal fisico Robert Jahn: negli Anni 90 ha condotto vari test in siti megalitici risalenti a 5 mila anni fa, come Wayland’s Smithy e Cairn Euny nel Regno Unito o Newgrange e Cairns in Irlanda: gli ambienti, sebbene di struttura diversa, mostrano una buona risonanza a una frequenza media di 110-112 Hz, frequenza che è presente nella gamma vocale umana, soprattutto nei toni gravi dei baritoni.
Basandosi su queste e altre ricerche, lo psichiatra Ian A. Cook dell’ Università di California a Los Angeles ha condotto uno studio su 30 volontari e ha dimostrato che i suoni di frequenza 110 Hz modificano l’attività cerebrale, «silenziando» la regione temporale sinistra e causando «asimmetrie operative» nella corteccia prefrontale, dovute a una predominanza dell’emisfero destro. Il risultato è che i centri del linguaggio vengono depotenziati, mentre sono favoriti i processi emozionali. E’ probabile, quindi, che in molte strutture cerimoniali la salmodia o il canto risuonassero con un’eco profonda, che induceva lo stato di trance e favoriva il passaggio a dimensioni «altre».
Ha concluso che le pitture rupestri venivano realizzate proprio sulle pareti e sulle volte che restituivano i suoni con maggiore efficacia.
Bastavano pochi rumori o un grido per far «rivivere» le scene di caccia raffigurate sulla roccia, trasformando quelle cavità in sale cinematografiche della preistoria.
(Fonte: La Stampa – 26/01/2011)
(Fonte: La Stampa – 26/01/2011)
Fonte: compressamente.blogspot.it
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.