Carl Gustav Jung ha lasciato la sua forma terrena da più di qualche tempo (26 luglio 1875 - 6 giugno 1961) ma sarebbe stato interessante averlo fra noi in questi anni così complessi e articolati per avere una sua lettura di tante cose che accadono nell’oggi: ad esempio del Covid (forse lo avrebbe pensato come un prodotto dell’inconscio collettivo?) o dei numerosi personaggi contemporanei che si sono avvicendati sulle poltrone mondiali del potere (rappresentazioni dell’Ombra?).
La verità è che si sente la mancanza del suo approccio alla complessità e nelle nostre riflessioni Cactus spesso echeggia questa nostalgia, quindi abbiamo pensato di parlarvi un po’ di lui.
Parlarne solo “un po’” è un’impresa parecchio ardua: la sua teoria è estremamente complessa e affascinante perché contiene ancora tanti punti oscuri, ma ci faceva piacere mettervi curiosità e – perché no – invitarvi ad approfondirlo ...
Partiamo da un po’ di nozioni bibliografiche: vi basti pensare che il titolo della sua tesi di laurea in Medicina (conseguita a Basilea nel 1902) portava il suggestivo titolo di “Sulla psicopatologia dei fenomeni detti occulti”; insomma, già dai suoi primi passi la sua passione per il “magico” e il non-convenzionale era chiara.
Dopo la laurea Jung iniziò a lavorare presso l’ospedale psichiatrico di Zurigo (all’epoca diretto da Bleuer), si spostò per un breve periodo a Parigi per seguire le lezioni di Janet, e poi tornò a Zurigo a lavorare e studiare, appassionandosi al mondo complesso delle psicosi. Nel 1907, inviò il suo saggio “Studio diagnostico delle associazioni” a Freud e andò a conoscerlo a Vienna.
Inutile dire che il padre della psicoanalisi rimase colpito dalla creatività e dalla genialità non convenzionale di questo giovane e nacque tra loro una profonda amicizia, che ancora oggi possiamo apprezzare attraverso la lettura del loro fittissimo carteggio composto da centinaia di lettere.
Inutile dire che il padre della psicoanalisi rimase colpito dalla creatività e dalla genialità non convenzionale di questo giovane e nacque tra loro una profonda amicizia, che ancora oggi possiamo apprezzare attraverso la lettura del loro fittissimo carteggio composto da centinaia di lettere.
Nell’esplorazione delle aree della mente che costituiscono la psiche e il modo in cui si influenzano a vicenda, Jung ha studiato la relazione tra il nostro inconscio personale, che contiene i ricordi e le idee personali di un individuo, e l’inconscio collettivo, un insieme di ricordi e idee che è condiviso da tutta l’umanità; ha distinto la persona, o l’immagine di noi stessi che presentiamo al mondo, dalla nostra ombra, che può essere composta da ansie nascoste e pensieri repressi; ha teorizzato l’esistenza di concetti condivisi, che ha descritto come archetipi, che permeano l’inconscio collettivo ed emergono come temi e personaggi nei nostri sogni e affiorano nella nostra cultura – in miti, libri, film e opere d’arte, per esempio.
Jung sentiva che la disunione tra i pensieri nell’inconscio personale e nel conscio potevano creare conflitti interni, che a loro volta potevano portare all’emergere di particolari tratti della personalità o ansie.
Tali conflitti interiori, secondo Jung, potevano essere risolti permettendo alle idee represse di emergere nella coscienza e accogliendole (anziché distruggendole), creando così uno stato di armonia interiore, attraverso un processo noto come individuazione.
Siete un po’ confusi da questi termini suggestivi che costituiscono l’ossatura della teoria junghiana? Andiamo adesso ad approfondirli insieme.
L’idea di Jung dell’inconscio personale è paragonabile all’inconscio a cui si riferivano Freud e altri psicoanalisti. Per Jung è personale, in contrasto con l’inconscio collettivo che è condiviso tra tutte le persone.
L’inconscio personale contiene ricordi inconsapevoli che ancora possediamo, spesso a causa della rimozione.
[Vivendo in uno stato cosciente, non abbiamo accesso diretto al nostro inconscio personale, ma emerge nei nostri sogni o in uno stato ipnotico di regressione]
Inconscio collettivo
L’inconscio collettivo è la chiave delle teorie della mente di Jung in quanto contiene gli archetipi.
Anziché nascere come una tabula rasa (lo stesso Jung – finissimo – usa il termine latino) ed essere influenzati puramente dal nostro ambiente, come credeva il filosofo inglese John Locke, Jung ha proposto che ognuno di noi nasca con un inconscio collettivo.
L’inconscio collettivo contiene un insieme di ricordi e idee condivise, con cui tutti possiamo identificarci, indipendentemente dalla cultura in cui siamo nati o dal periodo di tempo in cui viviamo. Non possiamo comunicare attraverso l’inconscio collettivo, ma riconosciamo in modo innato alcune delle stesse idee, inclusi gli archetipi.
[Ad esempio, molte culture hanno coltivato miti simili indipendentemente l’uno dall’altro, che presentano personaggi e temi simili, come la creazione dell’universo]
Jung ha notato che all’interno dell’inconscio collettivo esistono numerosi archetipi che tutti possiamo riconoscere. Un archetipo è l’immagine modello di una persona o di un ruolo e include, tra gli altri, la figura materna, il padre e il vecchio saggio. La figura materna, ad esempio, ha qualità premurose, è affidabile e compassionevole.
[Abbiamo tutti idee simili sulla figura materna e la vediamo attraverso le culture e nella nostra lingua, come il termine “madre natura”]
Gli archetipi permeano le carte di un mazzo di Tarocchi (di cui Jung era un grande appassionato!): ad esempio, l’archetipo della madre è visto nelle qualità della carta dell’Imperatrice, mentre l’Eremita incarna l’archetipo del vecchio saggio.
La Persona
Distinto dal nostro io interiore, Jung ha notato che ognuno di noi ha una persona – un’identità che desideriamo proiettare sugli altri. Ha usato il termine latino, che può riferirsi sia alla personalità di una persona che alla maschera di un attore, intenzionalmente, poiché la persona può essere costruita da archetipi nell’inconscio collettivo o essere influenzata da idee di ruoli sociali nella società.
[Ad esempio, un padre può adottare tratti che considera tipici di un padre – serio o disciplinante, per esempio – piuttosto che quelli che riflettono la sua reale personalità]
Poiché la persona non è un vero riflesso della nostra coscienza, ma piuttosto un’immagine idealizzata a cui le persone aspirano, identificarsi troppo con una persona può portare a conflitti interiori e una repressione della nostra stessa individualità, che secondo Jung potrebbe essere risolta attraverso l’individuazione.
L’Ombra
“Presa nel suo senso più profondo, l’ombra è l’invisibile coda di sauro che l’uomo si trascina ancora dietro. Amputata con cura, diventa il serpente guaritore dei misteri.”
da L’integrazione della personalità
L’archetipo dell’ombra è composto principalmente dagli elementi di noi stessi che consideriamo negativi.
Non mostriamo questo lato di noi al mondo esterno in quanto può essere fonte di ansia o vergogna.
L’ombra può contenere idee o pensieri repressi che non desideriamo integrare nella nostra persona esteriore, ma questi devono essere risolti per raggiungere l’individuazione.
[Tuttavia, può anche includere tratti positivi, percepiti come debolezze: ad esempio, l’empatia che potrebbe non rientrare nella “durezza” che un individuo vuole presentare come parte della propria Persona]
Individuazione
Jung credeva che acquisendo le qualità di un archetipo dall’inconscio collettivo, reprimiamo quegli attributi del nostro vero sé che non sono conformi all’archetipo. Per raggiungere l’individuazione e realizzare il nostro vero sé, ha affermato che – al posto di reprimere questi tratti – è nostro compito “integrarli” permettendo loro di emergere dall’ombra e di coesistere con quelli presenti nell’ego, cioè nel vero Sé.
In analisi, l’analista incoraggia questa integrazione, o individuazione, attraverso le libere associazioni.
Fonte: www.cactuspsicologia.it
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