domenica 12 gennaio 2020

Chi sono io?

Chi sono io? Per conoscere chi sei devi capire cosa non sei.

“Come faccio a conoscere me stesso per sapere chi sono io?” .. è questa una delle domande che ricevo spesso da alcuni lettori, lettori di tutte le età, che si interrogano seriamente sulla loro reale natura. Ma io, che non sono né un guru e né un maestro illuminato, da semplice viandante ignorante quale sono, rispondo sempre: per conoscere chi sei devi capire cosa non sei. È tutto quello che so. A volte, per qualcuno, risulta essere una risposta insoddisfacente, troppo semplice, per alcuni addirittura è un nonsense, ma per me si tratta della pura verità.

Dietro a quella risposta c’è tutta la mia breve e tragicomica esperienza di vita, ma che passo dopo passo mi ha portato a conoscermi sempre di più, sempre meglio, partendo da un lavoro di osservazione, per poi passare ad una fase di sperimentazione e infine di realizzazione. Ho realizzato chi sono e per arrivarci ho seguito la strada del cosa NON sono.

Ma partiamo dalla domanda: “chi sono io?”. Bisogna constatare che viviamo in una società moderna, talmente moderna, nella quale la maggior parte delle persone non cambia mai, non evolve, e che col passare degli anni cade in uno sconforto sempre più grande proprio perché non si pone mai questa domanda fondamentale. Sono arrivato alla conclusione che le persone hanno paura di mettere in discussione ciò che pensano di sapere, quelle che sono le loro convinzioni. E così, spesso, con l’età che avanza e la morte che si avvicina, si accorgono di avere vissuto inconsapevolmente. Tutti i credo e le idee mai indagate iniziano a vacillare, insieme alla falsa immagine di loro stessi che si sono portati dietro per anni.

Questo succede perché la morte ci mostra quanto poco sappiamo su questa domanda così fondamentale, e lo fa privandoci del corpo, annientando relazioni, denaro, potere, praticamente tutte quelle cose per cui la maggior parte delle persone vive ...


C’è addirittura chi pensa che la sua fede in Dio alla fine lo aiuterà, ma paradossalmente, anche questa tanto decantata fede è, per la maggior parte delle persone, semplicemente un debole convincimento, una ritualità imparata da bambini e ripetuta una domenica ogni tanto per l’intera vita.

La verità, cari lettori, è che per tutta la vita rincorriamo desideri e soddisfazioni personali, convinti di sapere chi siamo e cosa vogliamo. Ma poi succede che arriva la malattia, i tormenti, la morte, le disgrazie, i grandi drammi della vita, e tutto intorno a noi e dentro di noi crolla, facendoci sprofondare nell’angoscia.

È per questa ragione che ho grande ammirazione per chi osa chiedersi “chi sono io?”, per chi sente forte il desiderio di conoscere se stesso in un mondo dove la maggior parte della gente nemmeno si pone il problema.

E così, all’improvviso, ci si trova in una fase in cui non si sa più esattamente quello che si vuole veramente, qual è la strada, chi siamo veramente, ma è un ottimo dilemma: significa che abbiamo la possibilità di non fare la vita superficiale e la morte triste che fanno molte persone. E credetemi, non è poca cosa. Ma ci vuole coraggio, tanto coraggio. Perché il prezzo da pagare per essere se stessi, è essere soli emotivamente.

I più, quando iniziano a vivere questi momenti di confusione, in cui tutto viene messo in discussione, iniziano ad avere paura. Paura di se stessi. E anziché tuffarsi coraggiosamente in una ricerca di verità e armonia interiore, vanno alla conquista di facili vie di fuga, si affidano a pseudo maestri e pseudo guru, bisognosi di consolanti risposte in cui rinchiudersi, per non dover affrontare le paure e le fatiche che un’onesta ricerca impone.

L’indagine e l’osservazione attenta ci mostrano come noi non siamo ciò che solitamente riteniamo d’essere. Iniziamo a capire, così, cosa NON siamo. 

Non siamo il nostro lavoro, il nostro conto in banca, la nostra casa o le nostre proprietà. Possiamo usufruirne, abbiamo una posizione sociale e degli affetti, ne possiamo godere, ma è temporaneo. E andiamo oltre. Non siamo le emozioni, gli stati d’animo, i problemi. Conoscerli ci offre una conoscenza parziale di noi stessi, ma non essenziale.

Non siamo nemmeno i nostri pensieri per il semplice fatto che ciò che può essere visto non può essere colui che vede. Se vedo un albero non sono quell’albero. Se vedo un mio pensiero, non sono quel pensiero. Comprendere di non essere i propri pensieri è il passaggio più importante e delicato nel sentiero della ricerca interiore.

È la cosa più difficile, perché siamo potentemente identificati con la mente.

Riflettete con questa storia: immaginate che ci sia un uomo nato con una maschera sulla faccia e per tutta la vita gli viene detto che quello è il suo volto reale. Quest’uomo cresce, fa la sua vita ma all’improvviso succede che la sua pelle, sotto la maschera, si irrita sempre di più. Inizia così una fase di osservazione in quest’uomo, finalmente si guarda attorno cercando rimedio e sperimenta che tutti vivono nelle medesime condizioni, stesse irritazioni. “Sarà normale” dice tra sé e sé. Poi un giorno, per caso, si imbatte in una persona con un volto strano, che non sembra come il suo: è radioso, vivo, roseo, un viso dalle mille espressioni. L’uomo è talmente colpito che si avvicina e gli chiede come possa il suo volto essere così espressivo e vivo, e se anche lui soffra di maledetti pruriti.

A quel punto l’uomo dal viso “diverso”, con un grande sorriso, gli risponde: “Guarda che anche tu hai un volto come il mio, forse anche più bello, devi solo toglierti la maschera che indossi”. Le parole risuonano così incredule che l’altro l’uomo, senza riflettere, gli risponde : “Ma non dire fesserie, di quale maschera parli? Questo è sempre stato il mio volto! Non è possibile che i miei genitori, i miei insegnanti, i miei colleghi, i miei amici, le donne con cui sono stato, insomma, non è possibile che nessuno di loro non si sia mai accorto che porto una maschera sul viso!”. A questo punto, l’uomo con un viso radioso, gli risponde: “Non potevano accorgersene perché anche loro vivono nella tua medesima condizione. In ogni caso, se vuoi, ti aiuto a toglierla”. L’uomo con la maschera inizia così a tremare dalla paura. Paura che tutto cambierà e non sarà come prima. E rinuncia a togliersela.

Mi viene in mente una famosa e notevole citazione attribuita al cantautore e poeta Jim Morrison: “Le persone sono molto abituate alla propria immagine, crescono attaccate alle proprie maschere, amano le proprie catene, si dimenticano chi sono in realtà, e se cerchi di ricordarglielo loro ti odiano”.

Questa storia serve a capire come, in realtà, la disidentificazione con la mente per noi equivale a strapparci la maschera di dosso. Pochi hanno il coraggio di farlo. Perché ne siamo totalmente identificati. Ma le cose non stanno come crediamo che siano. Quindi non arrendiamoci e continuiamo con il percorso di ciò che NON siamo.

Come ho già detto, noi non siamo i nostri pensieri, e bisogna aggiungere che non siamo nemmeno i nostri credo, le nostre ideologie, le nostre idee dolorose o piacevoli su noi stessi e il mondo. Perché per quanto possa sembrarvi strano, i nostri maggiori guai nascono dall’oscuramento della nostra reale natura a favore dall’identificazione con i pensieri. In altre parole, i nostri pensieri e le nostre convinzioni ci fanno dimenticare ciò che siamo. Sono cristiano, sono italiano, sono ricco, sono incapace, stupido, bello, sono un medico, un operaio, sono un padre, e così, all’infinito.. sono questo e quello, e la gente è capace di definirsi in mille modi diversi.

Ma in verità ci aggrappiamo a queste definizioni per far finta di sapere chi siamo.

Questo succede perché tutti i pensieri e le convinzioni che abbiamo su noi stessi sono condizionamenti che si sono sedimentati in noi sin da quando eravamo piccoli. Ma se togliamo tutto questo, se proviamo a spogliarci e con coraggio cerchiamo di capire cosa NON siamo, allora quello che riusciremo a percepire sarà qualcosa che ora nemmeno possiamo immaginare. Non a caso nelle tradizioni orientali ricorre spesso l’espressione “volgere la luce all’interno”, ossia ruotare di centottanta gradi l’attenzione. Perché quello che cerchiamo non si trova fuori di noi in qualche futuro prossimo o remoto, ma è già presente in noi, alla sorgente stessa del nostro domandare. Noi siamo ciò che cerchiamo.

“Chi sono io?”. Tutto il mio essere era scosso da questa sete. Fu una tempesta violenta. Ogni respiro tremava, sussultava. “Chi sono io?”. Come una freccia la domanda penetrava ogni cosa e si dirigeva verso l’interno.

Ricordo che era una sete così forte! Tutta la mia vita era diventata sete! Tutto stava bruciando. E come una lingua di fuoco la domanda rimaneva lì. “Chi sono io?”. La sorpresa fu che l’intelletto era completamente silenzioso. Non c’era più l’incessante flusso di pensieri. Cos’era successo? La periferia era completamente silenziosa. Non c’erano pensieri, non c’erano condizionamenti del passato. C’ero solo io e c’era anche la domanda. No, no, ero io stesso la domanda. E allora l’esplosione… in un attimo tutto fu trasformato. La domanda era caduta. La risposta era arrivata da qualche dimensione sconosciuta. La verità si raggiunge con un’esplosione improvvisa, non gradualmente. Non la si può costringere ad apparire. Arriva. Il vuoto è la soluzione, non le parole. Diventare senza risposte è la risposta.” Osho Rajneesh – “Semi di Saggezza



Chi sono io? Storia dello sconosciuto che abita in noi

Perché è tanto facile definirci nella vita di tutti i giorni e poi, quando accade qualcosa di nuovo, destabilizzante, magari traumatico o al contrario inaspettatamente bello, ci ritroviamo in crisi perché non sembriamo più gli stessi? È davvero possibile, e soprattutto desiderabile, darci delle etichette?

La considerazione da cui vorrei partire è che l'identità dipende dai legami e dagli accadimenti del reale. 
Dunque l'identità è assai poco identica. È sensibile a impatti che la modificano, è in perenne costruzione.

Eppure l'uomo ha bisogno di identificarsi in ruoli e questa, in molti aspetti della vita, è una strategia vincente: l'uomo che si identifica come leader e diventa un affermato dirigente, la giovane donna che si assimila alla figura di madre e si definisce principalmente con l'aggettivo mamma di… I ruoli fanno sentire di avere un posto, offrono l'illusione di essere necessari agli altri. Allo stesso tempo, però, rischiano di bloccare ogni slancio creativo verso una sempre più piena evoluzione personale.

Una identità posticcia e rigida può inibire desideri e progetti, può diventare profondamente mortifera. Ciò a cui punta la psicoanalisi è proprio questo: sostenere il riconoscimento di un malessere che riguarda l'essersi identificati ad un ruolo, cioè ad un posto, che non è il nostro, che forse non lo è mai stato o non può più esserlo. Occorre smuovere il desiderio per scoprire la verità di noi stessi ed è necessario seguire inclinazioni e intuizioni se vogliamo essere più realizzati e felici.

Io dunque chi sono? Sono me stesso proprio in quel punto in cui mi sento diviso, in crisi, fratturato da spinte diverse e tensioni opposte. 

Quella divisione che mette in scacco l'unità è proprio la nostra singolarità. Noi siamo i tratti che ci disturbano, quelli che nascondiamo, che danno fastidio perché escono fuori dai canoni e non ci conformano agli altri. Noi siamo ciò che devia dalle nostre aspettative, ciò che non comprendiamo di noi stessi, ciò che non torna. O meglio, è da questi punti che dobbiamo partire per scoprire cosa si muove dentro di noi. È dai punti che non vanno che si aprono orizzonti nuovi di senso.

Abbiate dunque consapevolezza rispetto al vostro modo unico, singolare, con cui vi distinguete dagli altri.

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“Lungo il cammino della vita, non facciamo che incontrare sempre di nuovo noi stessi sotto mille travestimenti”. (Carl Gustav Jung)

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