giovedì 22 febbraio 2024

Il rischio di collasso della Corrente del Golfo

Una nuova era glaciale per l’Europa: “Il collasso della corrente del Golfo probabile già dal 2025”.
Questo è il suggestivo titolo scelto da un giornalista laureato in filosofia della scienza. L’anno 2025 ha ovviamente un forte richiamo.


Misteri che a volte ritornano, più oscuri di prima, scriveva Guido Guidi tempo fa. E tornano proprio in un momento in cui l’emergenza generale è da rifocalizzare sul clima. Il fenomeno dell’indebolimento – dimostrato da una ricerca nel 2018 – è noto da tempo agli scienziati, compresi quelli che vogliono modificarlo a piacimento.* Un altro paper era uscito nel 2021. Segue uno studio pubblicato in questi giorni.

Va ricordato, tuttavia, che GordonMacDonald aveva avvertito di questo rischio, nel caso di un cambiamento anche deliberato. Resta da vedere cosa succederà al Polo Nord. I progetti di scongelamento hanno una lunga storia. L’acqua dolce finisce effettivamente nell’oceano? O finisce nei sotterranei dell’Artico? ...


Un nuovo studio pubblicato sulla rivista Science Advances indica un rischio significativo di un blocco della circolazione termoalina dell’Atlantico (AMOC) a cui è connessa la più nota Corrente del Golfo (vedi oltre una breve spiegazione). 

Una minaccia di per sé nota ormai da tempo, ma che questo articolo di ricerca delinea con contorni più precisi arrivando ad ipotizzare il collasso del sistema tra il 2025 e il 2095, con un intervallo di confidenza del 95%. In pratica, chi è nato nell’ultimo decennio rischia concretamente di essere testimone di un evento climatico potenzialmente catastrofico.

Questo lavoro di ricerca è soltanto l’ultimo di una lunga serie di studi dedicati alla possibile interruzione della corrente termoalina, tuttavia, a differenza dei precedenti, non si limita a simulare lo stato di salute del sistema, ma ne dà un quadro più oggettivo basato su dati osservati e di reanalisi. In altre parole, è ufficialmente dimostrato che il “nastro trasportatore” atlantico è sulla strada del punto di non ritorno (tipping point). 

Le proiezioni future servono a capire l’orizzonte temporale entro il quale l’evento può accadere, la probabilità che si verifichi, i segnali premonitori e gli effetti sul clima globale. Proiezioni che si basano su un modello accoppiato all’avanguardia (CESM) fatto girare per oltre 6 mesi su 1024 core presso il Dutch National Supercomputing Facility. Si tratta di una simulazione sulla corrente termoalina mai prodotta finora, anche in termini di potenza computazionale. 

I risultati non fanno altro che confermare quanto ipotizzato da studi precedenti, raffinando però esiti e scenari sia in termini temporali che spaziali.

I ricercatori sono piuttosto confidenti che il collasso del nastro trasportatore oceanico, e quindi anche della corrente del Golfo che ne è la manifestazione più settentrionale, sia solo una questione di tempo. Enormi quantità di acqua dolce continuano e continueranno a riversarsi nel Nord Atlantico a causa della fusione periferica della calotta groenlandese, dell’aumento della portata dei fiumi artici e dell’aumento delle precipitazioni sulla regione. Lo studio sottolinea che questi flussi sono stati sottostimati dai rapporti IPCC, così come la solidità del sistema di correnti atlantico.

Immagine: Fonte Real Climate: Schema della Circolazione termoalina e variazione della temperatura dal 1870

Quali conseguenze per il clima globale?

Molte sono le incertezze sulle conseguenze che il collasso della corrente potrebbe avere sul clima globale. La paleoclimatologia ci viene in aiuto mostrando come, nell’arco degli ultimi 100.000 anni circa, ci sono state 25 improvvise oscillazioni del clima nord emisferico causate con molta probabilità da interruzioni e ripartenze della circolazione termoalina

Durante queste variazioni la temperatura media del nord emisfero calò in di diversi gradi in pochi decenni, in particolare nei mesi invernali e nell’area euro-atlantica. 
Nel sud emisfero, al contrario, la temperatura media crebbe, sebbene non con l’intensità e i numeri della parte settentrionale del pianeta. Anche le precipitazioni subirono forti variazioni, con riduzioni significative su buona parte dell’emisfero boreale e forti incrementi su diverse zone australi. All’incirca gli stessi scenari proposti dal modello, che vede nell’Europa centro-settentrionale e nell’Artico, l’epicentro del possibile shock climatico. 

In Europa ci troveremmo a convivere, a pochi anni di distanza dall’interruzione, con inverni estremamente freddi, specie sulla parte settentrionale del continente (Scandinavia e Regno Unito in particolare). Le precipitazioni si ridurrebbero considerevolmente a causa della riduzione dell’apporto di calore e vapore acqueo e la banchisa artica si estenderebbe ben più a sud. Tutte variazioni repentine e intollerabili da parte degli attuali ecosistemi marini e terrestri, il cui collasso poterebbe ad un’enorme crisi economica e sociale a scala continentale.


Gli scenari passati non tengono conto dell’attuale riscaldamento e sono stati ipotizzati all’interno di un sistema climatico non alterato dalle emissioni antropiche. 

La domanda da porsi, quindi, è: come reagirà al possibile blocco un pianeta così caldo e con una concentrazione di CO2 ai massimi da 14 milioni di anni? La risposta è tutt’altro che semplice. Alcuni studi (OECD) hanno simulato l’interruzione della corrente termoalina all’interno dello scenario di riscaldamento ad oggi più plausibile, cioè quello di +2,5 °C entro il 2100. 
Si osserverebbe un raffreddamento significativo del Nord Emisfero, sebbene in parte mitigato dalla forzante termica preesistente, mentre nel sud emisfero gli effetti sarebbero in gran parte mascherati dalla condizione climatica precedente.

In generale, comunque, molta incertezza permane relativamente all’impatto che avrebbe un cambiamento repentino come quello indotto dal collasso della corrente termoalina all’interno di un pianeta che sta subendo un cambiamento altrettanto repentino, ma di segno opposto. Inoltre, le zone che subirebbero gli effetti più marcati, Artico ed Europa, sono due hotspot dell’attuale cambiamento climatico, condizione che rende le simulazioni ancor più difficili. 
Resta comunque il fatto che si tratta di un evento che dovremmo far in modo di evitare assolutamente, perché le conseguenze sarebbero estremamente negative, a detta di tutte le pubblicazioni in merito.

Possiamo invertire la rotta?

L’unico modo per evitare l’interruzione del sistema termoalino atlantico e trovarsi ad affrontare due forzanti climatiche estreme sovrapposte, è quello di ridurre al minimo la possibilità del blocco attraverso immediate politiche di mitigazione. Le grandi immissioni di acqua dolce nel Nord Atlantico, infatti, sono causate dall’aumento delle temperature indotto dalle emissioni di gas serra di origine antropica, tagliando drasticamente queste ultime possiamo sperare di ridurre le prime abbassando così il pericolo di un blocco delle correnti oceaniche. Quindi, oltre agli effetti negativi del riscaldamento climatico che ormai osserviamo quotidianamente, si sommano i potenziali effetti catastrofici del collasso della corrente atlantica. 

Due fronti minacciosi che hanno una causa e una soluzione comune e che possono essere evitati o mitigati soltanto se sapremo agire collettivamente e in tempi brevi.

Nota – La corrente del Golfo

La corrente del Golfo rappresenta il braccio nordatlantico di una vasta e complessa circolazione oceanica che interessa tutto il globo, nota come circolazione termoalina globale, o great conveyor belt. La presenza di questi immensi fiumi oceanici è fondamentale nello scambio termico Polo-Equatore, nonché nella distribuzione di nutrienti.

Il motore che genera e mantiene viva la circolazione termoalina, lo dice il nome stesso, è il gradiente dato da salinità e temperatura.
Possiamo immaginare un immenso nastro trasportatore: nella parte superficiale scorrono acque calde che a causa dei venti dominanti migrano verso il Polo, qui si raffreddano fino al punto di congelamento rilasciando il sale contenuto e diventando, quindi, molto dense e pesanti. Alla curva del nostro nastro trasportatore immaginario le acque fredde e salate sprofondano verso gli abissi ripiegando verso sud e richiamando, a causa della spinta data dall’inabissamento, altra acqua calda dalla regione equatoriale. Tutto questo si sviluppa proprio nel vicino Nord Atlantico. 

La Corrente del Golfo, quindi, non è soltanto l’estensione più settentrionale dell’intero meccanismo, ma è anche il suo motore principale. 

Le zone di inabissamento più potenti si trovano poco a largo delle coste groenlandesi, mentre le aree di riemersione delle acque profonde si collocano in determinate aree dell’oceano Indiano e dell’oceano Pacifico. Ciò significa che la parte profonda del nostro nastro trasportatore si spinge fino alle coste antartiche compiendo un viaggio planetario; si stima che per completare il ciclo le acque profonde impieghino circa 1000 anni. La risalita delle correnti (upwelling) è fondamentale per la catena trofica dato che queste acque sono ricche di nutrienti e anidride carbonica.

Il grande fiume oceanico influenza anche significativamente il clima globale e regionale. Nel nostro caso la Corrente del Golfo, nella sua parte superficiale, è un formidabile emettitore di calore verso l’Europa occidentale e settentrionale. Masse d’aria tiepida sospinte verso ovest dalle correnti occidentali rendono gradevoli climi che altrimenti sarebbero molto più severi, basti pensare a classici esempi come Londra, Glasgow, Dublino, Parigi, Brest o Bergen, città poste ad alte latitudini, ma caratterizzate da un clima estremamente mite, in particolar modo in inverno. Per avere un’idea dell’effetto mitigante della Corrente del Golfo basta confrontare la temperatura medie di gennaio di Montreal, Canada (45°N / -8 °C) con quella di Bergen (60°N / +2 °C).  Essa influenza anche la formazione dei ciclonici extratropicali (ad esempio il Vortice Islandese) e tropicali.

La Corrente del Golfo alterna fasi in cui è particolarmente forte, ad altri in cui risulta meno intensa, si tratta di fluttuazioni normali che nella loro trattazione più semplice vengono descritte da un indice denominato AMO (Atlantic Multidecadal Oscillation). L’alternanza tra periodi più o meno intensi ha impatti sulla circolazione meteorologica europea, ad esempio sulle estati nel nord Europa e nel Mediterraneo, tuttavia a livello climatico (inteso come contributo termico globale) queste oscillazioni periodiche hanno un impatto molto modesto.





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