Condizionati all'obbedienza: perché spesso agiamo contro il nostro proprio sentire.
E’ possibile che, pur “in possesso delle capacità di intendere e volere” (cosa significa questa definizione? E tutti i condizionamenti e tutto il sub-conscio dove li mettiamo?) e forniti di una sana coscienza etica, potremmo, in seguito ad un ordine che ci viene impartito da qualcuno in cui crediamo o al quale ci conviene obbedire, prendere decisioni ed agire in modo contrario alla nostra naturale propensione?
La scomoda risposta è: sì… e ancora sì… e ancora sì.
Sì, potremmo assumere comportamenti contrari al nostro sentire, al nostro volere e alle nostre convinzioni, contrari persino a quella che crediamo essere la nostra morale, la nostra Coscienza.
Da più di un secolo e mezzo l’Umanità ha dovuto confrontarsi con l’idea che gli esseri umani (e non solo, perché è così anche nel caso di animali complessi) vivono, agiscono e progettano basandosi su una percentuale minima di consapevolezza di sé ...
Esiste una psiche (in greco vuol dire anima), spazio di coscienza immenso e quasi totalmente non-consapevole, nel quale si intrecciano, conflittuano, saldano e processano emozioni, idee, esperienze vissute (e, spesso, rimosse), nozioni apprese e memorie sia di traumi che di meraviglie, ma, soprattutto, a seguito di tutto questo, condizionamenti. Un intero universo che decide della qualità della nostra vita, delle nostre relazioni, della nostra salute… ma di cui non siamo consapevoli!
Grazie agli studi fatti nel secolo precedente e che continuano fino ai nostri giorni, si è potuto stabilire che circa il 95% del nostro mondo interiore può essere considerato CONSCIO (e all’interno del conscio sono da considerare anche ricordi, nozioni ed esperienze assunte per sopravvivere e… condizionamenti di cui siamo consapevoli).
Poco conscio, quindi, (di cui siamo a conoscenza e possiamo usare secondo volontà), molto SUB-CONSCIO ( più del 95% di ciò che ci gestisce e che racchiude esperienze vissute nella materia con relative zone non-consapevoli e ciò che abbiamo dimenticato o rimosso perché troppo dolorose) ed un immenso IN-CONSCIO (ciò che non abbiamo consapevolezza di essere nella nostra matrice non materiale).
Nel frattempo, siamo “guidati” soprattutto dalla nostra non-consapevolezza e dai condizionamenti, un insieme importante dei quali riguarda il nostro rapporto con l’autorità, con l’obbedienza e le punizioni.
Fin da piccolissimi cominciamo a registrare variazioni nell’emozione, nel tono e nel volume della voce di chi abbiamo intorno e molto presto sappiamo capire quando ci arrivano segnali di pericolo, sia dalla voce che dagli atteggiamenti. Sentiamo la rabbia arrivarci addosso come un pericolo per la nostra sopravvivenza e non ce lo possiamo permettere! Non siamo in grado di difenderci né di vivere senza l’aiuto delle persone adulte che ci circondano, indipendentemente dal peso che dovremo sopportare; non possiamo permetterci di venire abbandonati, rifiutati e puniti.
La paura di non essere all’altezza, quella dell’abbandono e quella della perdita dell’altrui controllo, diventano una miscela esplosiva e paralizzante.
In questo meccanismo attiviamo anche la legittimazione del principio di autorità: decidiamo una specie di graduatoria inconsapevole nella quale a qualcuno concediamo di avere potere su di noi e, via via, ad altri sempre meno.
E’ comunque molto difficile che, bambini, riusciamo a decidere di non riconoscere l’autorità di un qualsiasi adulto, anche perché veniamo educati all’obbedienza, con la minaccia o l’attuazione della punizione (che può causare livelli diversi di dolore in ogni parte di noi, fisica e psichica).
Con un corpo così piccolo e con così tanti bisogni, siamo impotenti.
Questa registrazione, però, prosegue negli anni ed il nostro bambino interiore rimane nella convinzione che sia meglio obbedire per evitare problemi e questa convinzione continueremo ad applicarla ogni volta che avremo paura di rischiare di disobbedire ad una persona che rappresenta l’autorità. Il blocco è ancora più forte quando la persona con un ruolo autoritario è anche affettivamente collegata a noi.
Nel 1961, in occasione del processo a Gerusalemme del nazista Adolf Eichmann, un geniale psicologo sociale, ricercatore e sperimentatore delle Università di Yale ed Harvard, Stanley Milgram (suo il libro “Obbedienza all’autorità"), colpito dal fatto che l’imputato continuasse ad affermare che “aveva solo obbedito agli ordini”, ideò una serie di test che aiutassero a comprendere il comportamento dell’individuo in un rapporto di forza.
I risultati che ottenne furono sorprendenti ed indiscutibili: date certe condizioni base (il ricercatore aveva impartito ordini precisi al soggetto osservato, suo allievo), il soggetto arrivava a “pretendere” obbedienza da un terzo elemento (senza sapere che questo fosse d’accordo con lo sperimentatore e quindi fingeva una reazione dolorosa crescente alla scossa elettrica che gli veniva inflitta dal soggetto osservato quando sbagliava), pur se questo comportava arrecare dolore; e più il terzo elemento sbagliava e recalcitrava (fingendo), più aumentava da parte di chi era sottoposto al test, la voglia di infliggere punizione e dolore. Questo accadeva anche se ciò che gli era stato ordinato di pretendere dall’altro, era contrario alle sue personali convinzioni!
Molti sono i fattori che intervengono nella relazione vittima/carnefice, ma i più importanti sono:
1) Siamo stati condizionati ad obbedire quando l’ordine ci viene impartito da qualcuno a cui riconosciamo un ruolo di legittima autorità; da bambini questo ruolo lo riconosciamo ai genitori e alle figure dei più “grandi” della nostra vita. Subentrano poi, insegnanti, datori di lavoro, la Chiesa e lo Stato con relativi loro rappresentanti. Se quindi ci viene impartito un ordine da qualcuno a cui riconosciamo un ruolo predominante, obbediamo, magari contro voglia, anche se questo potrebbe nuocere a qualcuno.
2) Il fattore spostamento della responsabilità sulla figura autoritaria: la responsabilità di quello che faccio non è mia ma della persona che usa il suo potere per costringermi in una certa direzione.
3) Influisce sulla risposta all’obbedienza anche la presenza fisica, diretta, la distanza fra i soggetti e il fatto di vedere, in diretta, le conseguenze del proprio agire (ad esempio guardare in faccia coloro ai quali, dietro preciso ordine, sto infliggendo una punizione): se non percepisco il dolore che infliggo alla mia “vittima”, mi sarà più facile farlo.
4) Il fattore “ricaduta”: se sono vittima di un’autorità carnefice contro la quale non posso nulla, in un altro contesto individuerò le vittime con le quali divenire io stesso carnefice, qualcuno da far sottostare ai miei ordini e punizioni (es: un bambino picchiato a casa, che a scuola diventa un crudele picchiatore).
5) La persona di cui subiamo l’autorità può averci sedotto (condotto a sé) mentalmente (con una forte ideologia), emozionalmente (può aver attivato una dipendenza affettiva), sessualmente e fisicamente (con la minaccia e l’uso della violenza, anche sessuale), socialmente (con la promessa o l’uso del potere del denaro e della carriera).
Sicuramente il subire l’autorità ed obbedire, anche se ciò è contrario al nostro proprio essere e, addirittura, può risultare doloroso e nocivo per noi stessi, si basa sul fatto che, innescati certi meccanismi sub-consci che abbiamo avviato nell’infanzia per sopravvivere, il nostro bambino interiore, di fronte ad una manifestazione di autorità, entra in uno stato di shock: si separa da sé, dalla propria coscienza ed agisce senza essere consapevole del proprio comportamento e delle conseguenze, sia che sia vittima, sia che sia carnefice. Questo stato di shock che perdura negli anni, rende veramente molto difficile disobbedire.
Tutto questo ci può aiutare a comprendere come tutto il Novecento (non a caso il secolo che ha cominciato ad applicare la conoscenza del sub-conscio) sia stato teatro delle più numerose e crudeli dittature che hanno mantenuto il loro potere grazie ai tanti “obbedienti” esecutori e grazie alla tendenza dei più a voltare la testa dall’altra parte (anche in questo caso per una sorta di riconosciuta autorità, come il non sentirsi in diritto di intervenire quando i genitori maltrattano, anche in nostra presenza, i loro figli).
Siamo in grado di intendere e volere? Riflettiamoci ...
Fonte: pianetaverde.one
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