“Ma cosa vedono i nostri occhi? Via via che la macchina si perfeziona e annienta il lavoro dell’uomo, con una rapidità e precisione che crescono senza posa, l’operaio invece di prolungare altrettanto il proprio riposo, raddoppia l’ardore, come se volesse rivaleggiare con la macchina”. (Paul Lafargue)
Il diritto alla pigrizia. Uno scritto che, letto a distanza di oltre cento anni dalla sua prima pubblicazione e contestualizzato in un’epoca come la nostra, fondata sulla precarietà delle classi medio-basse, e in particolare dei giovani, sulle continue vessazioni che queste sono ancora costrette a subire e sull’ancora imperante religione del lavoro come unica ragione di vita, si rivela drammaticamente attuale e indispensabile affinché qualcuno possa aprire gli occhi sulle catene invisibili che ci imprigionano nella nostra “modernissima” società.
Il “diritto al lavoro” si trasforma così in “diritto alla miseria” finendo per annientare, in un terribile circolo vizioso, tutte quelle che dovrebbero essere le caratteristiche peculiari dell’essere umano.
(tratto da: www.lindiependente.it) ...
(tratto da: www.lindiependente.it) ...
di Salvatore Tamburo
Per attaccare il regime e i suoi letali tentacoli mi servirò questa volta delle parole di Paul Lafargue: rivoluzionario, giornalista, scrittore, saggista e critico letterario francese, di ispirazione comunista, nonché genero di Karl Marx (sposò la figlia di Marx, Laura), colui che scriveva nelle pagine de "Il diritto alla pigrizia" un durissimo attacco all'ideologia del lavoro, vista come una forma di schiavitù, e di conseguenza un attacco anche al capitalismo, generatore di forme di schiavitù sociali:
"Una strana follia possiede le classi operaie delle nazioni dove regna la civiltà capitalista. Questa follia trascina al suo seguito miserie individuali e sociali che da secoli torturano la triste umanità. Questa follia è l'amore per il lavoro, la passione nociva del lavoro, spinta fino all'esaurimento delle forze vitali dell'individuo e della sua progenie . Invece di reagire contro questa aberrazione mentale i preti, gli economisti, i moralisti, hanno sacro-santificato il lavoro. Uomini ciechi e ottusi, hanno voluto essere più saggi del loro Dio, uomini deboli e spregevoli hanno voluto riabilitare ciò che il loro Dio aveva maledetto. Io che non mi proclamo cristiano, economo e morale , rimetto il loro giudizio a quello del loro Dio, le prediche della loro morale religiosa, economica, di liberi pensatori, le rimetto alle conseguenze spaventose del lavoro nella società capitalista."
E ancora afferma:
"Lavorate, lavorate proletari per accrescere la ricchezza sociale e le vostre miserie individuali. Lavorate, lavorate, perché diventando più poveri avrete più ragioni per lavorare e per essere miserabili. Questa è la legge inesorabile della produzione capitalista. Perché, prestando orecchio alle fallaci parole degli economisti, i proletari si sono consegnati corpo e anima al vizio del lavoro, facendo precipitare la società intera nelle crisi industriali della sovrapproduzione che sconvolgono l'organismo sociale . Allora visto che c'è sovrabbondanza di merci e penuria di acquirenti, le officine si fermano e la fame sferza la popolazione operaia con la sua frusta dai mille lacci. I proletari, abbrutiti dal dogma del lavoro, non capiscono che il superlavoro che si sono inflitti durante il periodo di pretesa prosperità è la causa della loro miseria attuale."
"Invece di approfittare dei momenti di crisi per una ridistribuzione generale de i prodotti e il benessere universale, gli operai morendo di fame, se ne vanno a sbattere la testa sulle porte delle officine. Con figure smunte, corpi smagriti, discorsi pietosi, essi assillano i fabbricanti: "Buon signor Chagot, dolce signor Schneider, dateci del lavoro, non è la fame , ma la passione del lavoro che ci tormenta!" E questi miserabili, che hanno a mala pena la forza di tenersi in piedi, vendono dodici o quattordici ore di lavoro due volte meno care di quando avevano il pane sulla tavola. Ed i filantropi dell'industria approfittano della disoccupazione per fabbricare a migliore mercato."
Secondo il genero di Marx i “diritti dell’ozio” devono essere considerati più sacri dei “diritti dell’uomo”.
Essi impongono di non lavorare più di tre ore al giorno.
Andrebbero rivisitati tutti i contratti nazionali del lavoro in ossequio ai precetti dell' "ozio creativo". Quando si raggiungerà questo risultato, allora finalmente lavorare sarà un piacere.
Con l’aiuto delle macchine moderne ciò è diventato possibile, ma i dogmi del capitalismo ci impongono di lavorare per guadagnare e consumare, e non permettono agli individui di avere il tempo libero per esprimere al meglio le loro passioni o attitudini.
Il capitalismo è quel mostro che ha generato benefici per pochi, in cambio di briciole di progresso effimero destinate alla massa proletaria.
Gli esseri umani sono stati inclusi in quel vortice nefasto composto dal susseguirsi di parole quali: lavorare, produrre, guadagnare, consumare e così via per tutta l'esistenza.
Non c'è nulla di più prezioso del nostro tempo: precetto che verrà compreso solo quando l'umanità avrà preso coscienza delle sue enormi potenzialità e abbia compreso la necessità di sfruttare le logiche produttive a beneficio dell'uomo (e non l'inverso come avviene oggi, in cui l'uomo è sfruttato a favore delle logiche produttive).
Sottrarsi consapevolmente alle logiche del regime è la via da percorrere verso la libertà: un tragitto arduo, impervio, da affrontare in salita nelle prime fasi, ma che diverrà un'agevole discesa nel momento in cui sarà demolita la cultura della prevaricazione che, altro non è, la cultura del consumismo di cui siamo tutti vittima e carnefici allo stesso tempo.
Per attaccare il regime e i suoi letali tentacoli mi servirò questa volta delle parole di Paul Lafargue: rivoluzionario, giornalista, scrittore, saggista e critico letterario francese, di ispirazione comunista, nonché genero di Karl Marx (sposò la figlia di Marx, Laura), colui che scriveva nelle pagine de "Il diritto alla pigrizia" un durissimo attacco all'ideologia del lavoro, vista come una forma di schiavitù, e di conseguenza un attacco anche al capitalismo, generatore di forme di schiavitù sociali:
"Una strana follia possiede le classi operaie delle nazioni dove regna la civiltà capitalista. Questa follia trascina al suo seguito miserie individuali e sociali che da secoli torturano la triste umanità. Questa follia è l'amore per il lavoro, la passione nociva del lavoro, spinta fino all'esaurimento delle forze vitali dell'individuo e della sua progenie . Invece di reagire contro questa aberrazione mentale i preti, gli economisti, i moralisti, hanno sacro-santificato il lavoro. Uomini ciechi e ottusi, hanno voluto essere più saggi del loro Dio, uomini deboli e spregevoli hanno voluto riabilitare ciò che il loro Dio aveva maledetto. Io che non mi proclamo cristiano, economo e morale , rimetto il loro giudizio a quello del loro Dio, le prediche della loro morale religiosa, economica, di liberi pensatori, le rimetto alle conseguenze spaventose del lavoro nella società capitalista."
E ancora afferma:
"Lavorate, lavorate proletari per accrescere la ricchezza sociale e le vostre miserie individuali. Lavorate, lavorate, perché diventando più poveri avrete più ragioni per lavorare e per essere miserabili. Questa è la legge inesorabile della produzione capitalista. Perché, prestando orecchio alle fallaci parole degli economisti, i proletari si sono consegnati corpo e anima al vizio del lavoro, facendo precipitare la società intera nelle crisi industriali della sovrapproduzione che sconvolgono l'organismo sociale . Allora visto che c'è sovrabbondanza di merci e penuria di acquirenti, le officine si fermano e la fame sferza la popolazione operaia con la sua frusta dai mille lacci. I proletari, abbrutiti dal dogma del lavoro, non capiscono che il superlavoro che si sono inflitti durante il periodo di pretesa prosperità è la causa della loro miseria attuale."
"Invece di approfittare dei momenti di crisi per una ridistribuzione generale de i prodotti e il benessere universale, gli operai morendo di fame, se ne vanno a sbattere la testa sulle porte delle officine. Con figure smunte, corpi smagriti, discorsi pietosi, essi assillano i fabbricanti: "Buon signor Chagot, dolce signor Schneider, dateci del lavoro, non è la fame , ma la passione del lavoro che ci tormenta!" E questi miserabili, che hanno a mala pena la forza di tenersi in piedi, vendono dodici o quattordici ore di lavoro due volte meno care di quando avevano il pane sulla tavola. Ed i filantropi dell'industria approfittano della disoccupazione per fabbricare a migliore mercato."
Secondo il genero di Marx i “diritti dell’ozio” devono essere considerati più sacri dei “diritti dell’uomo”.
Essi impongono di non lavorare più di tre ore al giorno.
Andrebbero rivisitati tutti i contratti nazionali del lavoro in ossequio ai precetti dell' "ozio creativo". Quando si raggiungerà questo risultato, allora finalmente lavorare sarà un piacere.
Con l’aiuto delle macchine moderne ciò è diventato possibile, ma i dogmi del capitalismo ci impongono di lavorare per guadagnare e consumare, e non permettono agli individui di avere il tempo libero per esprimere al meglio le loro passioni o attitudini.
Il capitalismo è quel mostro che ha generato benefici per pochi, in cambio di briciole di progresso effimero destinate alla massa proletaria.
Gli esseri umani sono stati inclusi in quel vortice nefasto composto dal susseguirsi di parole quali: lavorare, produrre, guadagnare, consumare e così via per tutta l'esistenza.
Non c'è nulla di più prezioso del nostro tempo: precetto che verrà compreso solo quando l'umanità avrà preso coscienza delle sue enormi potenzialità e abbia compreso la necessità di sfruttare le logiche produttive a beneficio dell'uomo (e non l'inverso come avviene oggi, in cui l'uomo è sfruttato a favore delle logiche produttive).
Sottrarsi consapevolmente alle logiche del regime è la via da percorrere verso la libertà: un tragitto arduo, impervio, da affrontare in salita nelle prime fasi, ma che diverrà un'agevole discesa nel momento in cui sarà demolita la cultura della prevaricazione che, altro non è, la cultura del consumismo di cui siamo tutti vittima e carnefici allo stesso tempo.
Quindi il capitalista non sarebbe contento se tutti avessero di che vivere dignitosamente?
RispondiEliminaChe sfiga!
Qualcuno sostiene che lasciare tante persone nel bisogno sia un piano deliberato, mi limiterei a pensare che sia semplicemente secondario ..
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