lunedì 23 novembre 2020

Perché la gente non ascolta

di Paolo Franceschetti

Una delle constatazioni più evidenti che ho sempre fatto nella mia vita, è quella della mancanza di capacità di ascolto da parte delle persone.

Il 90 per cento delle persone non ascolta, in genere aspetta il momento di parlare, senza porsi il problema che, se lui non ha alcuna intenzione di ascoltare ma solo di parlare, e se l’altro fa lo stesso, le conversazioni diventano un monologo tra sordi.

La dimensione del fenomeno assumeva contorni per me stupefacenti quando constatavo che la mancanza di ascolto era presente pure in contesti dove la cosa nuoceva all’ascoltatore: l’investigatore che sta seguendo una pista, ma che non ascolta tesi diverse che pure potrebbero servirgli; l’oncologo che non si informa sulle teorie alternative e non legge altri libri oltre a quelli consigliati dall’università in cui ha studiato; lo studioso che si definisce tale ma non ascolta tesi diverse o punti di vista diversi sul fenomeno da lui studiato.

Tutte queste situazioni erano per me al limite dell’incomprensibilità ...



Ma la cosa diventava addirittura paradossale in alcuni casi: quando una persona è all’ergastolo innocente e non vuole ascoltare tesi secondo cui lui sarebbe innocente; quando una persona sta per morire e anche se le proponi una cura che potrebbe salvarle la vita “non ha tempo di ascoltare”… ecco. In tutte queste ipotesi la situazione assumeva contorni paradossali, che mi hanno costretto a interrogarmi sul modo in cui funziona la maggior parte degli esseri umani.

Particolarmente divertente fu il caso in cui, all’epoca in cui mi occupavo del Mostro di Firenze, mi telefonò una persona che aveva scritto un libro con la sua ipotesi sul mostro. Il libro si intitolava proprio “Non tutti sanno ascoltare”, facendo riferimento alla sua ipotesi, che nessuno investigatore aveva mai preso in considerazione, nonostante fosse plausibile e avvalorata da molti elementi.

Il problema era che – come capita a tutti quelli che si occupano del MDF – la sua ipotesi era parziale, nel senso che aveva individuato uno degli autori dei delitti, senza prendere in considerazione la possibilità che nei vari omicidi fossero coinvolte più persone; lo ascoltai, e quando provai a dire ciò che pensavo, si rifiutò di ascoltarmi.

Un fenomeno particolare l’ho osservato nei rapporti di coppia, o comunque tra persone che si amano.

Lì, spesso, capita che tra i due non ci sia ascolto reciproco, tanto che spesso questa mancanza di ascolto sfocia nella separazione, quando il divario di personalità diventa incolmabile e le scelte più importanti dell’altro non vengono capite. 

Eppure, notavo che spesso, dopo la separazione, uno dei due finalmente “capiva” l’altro. 
A quel punto mi sono posto due domande. 

La prima, perché si è resa necessaria la separazione per ascoltare? E la seconda è quale sia il collante che lega due persone spesso diversissime o opposte, che le porta ad amarsi ma anche a non ascoltarsi al tempo stesso.
I libri di Ramtha, ma anche di Peter Schellembaum, forniscono una risposta al quesito.

L’altro è spesso lo specchio della nostra vita segreta; è cioè il riflesso di quelle parte di noi che non vogliamo riconoscere. 

La mancanza di ascolto è quindi una naturale tendenza dell’ego, che per sopravvivere fa resistenza al cambiamento.

Quando uno dei due partner lascia l’altro, se tra i due c’era davvero amore e quindi fusione, a quel punto l’anima fa di tutto per recuperare quella parte perduta, e nello sforzo avviene il miracolo: la comprensione, e quindi il cambiamento radicale.

Più in generale, il fenomeno è identico in tutti i rapporti, dai più superficiali al più intenso.

Non si ascolta (al massimo si “sente” con le orecchie) perché ascoltando in profondità si ha paura di un profondo cambiamento di se stessi. 

Dopo l’ascolto, infatti, siamo portati a riconoscere le ragioni dell’altro, a vederle coi suoi occhi, e ritenerle giuste (sia pure dal suo punto di vista). 

Ma questo porta inevitabilmente a un cambiamento, perché talvolta il riconoscere che l’altro ha ragione può portare da parte nostra a un radicale mutamento di prospettiva.

Il medico che non si informa sulle terapie alternative, quindi, ha paura che da questo comporti la necessità di una radicale revisione del suo metodo di lavoro e dei privilegi e del denaro che ha acquisito faticosamente con gli anni.

Lo studioso che non si informa su studi che riguardano la sua materia ha paura di dover buttare al vento anni di studi che ha fatto e che potrebbero dimostrarsi sbagliati.

L’investigatore che non ascolta piste alternative ha paura di rinunciare a tutto il lavoro fatto, e di aprirsi ad ipotesi nuove che dovrebbero rivoluzionare tutto il suo metodo di indagine.

Anche nei casi più paradossali che ho citato il fenomeno è identico. 
La persona all’ergastolo ha ormai un ruolo, un’identità, e non vuole rinunciarvi tanto facilmente. La persona che sta per morire, avendo un inconscio desiderio di morte, non vuole certo venire a sapere che esiste una cura per il suo male.

A tutto ciò si aggiungono i problemi di Karma. 
Nel senso che, se il Karma di una persona è predestinato a vivere determinate esperienze, è come se la vita mettesse davanti ai suoi occhi una specie di faro, che illumina solo le direzioni che questi deve prendere per assolvere al suo destino.


Il problema quindi che impedisce l’ascolto e la comprensione è, in fondo, il problema centrale di tutta la ricerca spirituale: l’ego, con la sua resistenza al cambiamento.

L’ascolto di cui parlo non è il semplice dedicare del tempo all’altro sentendo con le orecchie quello che dice. E’ un atteggiamento interiore, una predisposizione dell’anima, che consiste nell’immedesimarci nell’altro e metterci nei suoi panni, sentire quello che sente lui, il suo percorso di vita, per arrivare a quel nucleo comune che lega me e l’altro (sia esso un mafioso, un serial killer, un santo, o un aborigeno dell’Amazzonia).

E’, con altre parole, unire la parte più profonda di noi stessi a quella dell’altro, sentendo il messaggio dell’altro che dice “io sono come te; se avessi vissuto le tue stesse esperienze, oggi sarei molto simile a te”.

Quello che diceva un vecchio detto dei Nativi americani: prima di giudicare un uomo, dovete camminare tre mesi con le sue scarpe.

Logico che pochi ascoltino il diverso da sé. 
Si scoprirebbe che, se avessimo avuto un diverso passato, o diverse predisposizioni, potevamo anche noi essere un delinquente, un assassino, un barbone, un violentatore. 
Piace molto, a tutti noi, sentirci migliori degli altri.

Per questo motivo, nelle confraternite iniziatiche dell’antichità, si doveva superare un periodo (che poteva anche essere di tre anni, come nella scuola pitagorica) di silenzio. 
Durante il quale bisognava solo ascoltare.

Perché in fondo ascoltare significa questo: stare in silenzio, nel tentativo di capire.

“Eppure io credo che se ci fosse un po’ più di silenzio, se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse qualcosa potremmo capire” 
– dal film “La voce della luna” di Federico Fellini, 1990



Articolo precedentemente pubblicato qui il 9 giugno 2018
Fonte: petalidiloto.com

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