Il dispositivo per la stimolazione elettrica cerebrale – realizzato da un gruppo di neuroscienziati dell’Università del Minnesota, negli Stati Uniti – ha restituito calma e concentrazione a un paziente dopo trent’anni di trattamenti falliti.
L’uomo, 44 anni, afflitto dall’età di 13 da depressione maggiore faceva uso dei farmaci che non avevano risolto nulla.
Non solo. Inefficaci si erano rivelati anche psicoterapia e terapia elettroconvulsivante (elettroshock) – ossia una stimolazione elettrica del cervello in anestesia generale e con impulsi ultrabrevi, utilizzata con efficacia in psichiatria contro le forme gravi e resistenti di depressione.
Poi la svolta...
(www.fnob.it)
“UNA GIOIA DOPO 30 ANNI”
Per gli antichi la sede delle emozioni non era il cervello come crediamo oggi, ma si trovava nel cuore, o nel fegato e nella milza, specialmente nelle culture egizia e mesopotamica. Questa visione cardiocentrica è la fonte di tutti i nostri pensieri romantici sull’organo che pompa il sangue, centro della vita e dei sentimenti, un’interpretazione che differisce dal paradigma moderno delle basi neurologiche delle emozioni.
DALLA MESOPOTAMIA AL MINNESOTA, ELETTRODI DI GIOIA
DALLA MESOPOTAMIA AL MINNESOTA, ELETTRODI DI GIOIA
Ma arriviamo nel 2025, Stati Uniti. Un uomo affetto da una grave depressione da oltre trent’anni sembra aver trovato beneficio da una nuova tecnologia: grazie a un dispositivo cerebrale creato appositamente per lui, che agisce in maniera selettiva su alcune aree del suo cervello. “Ha provato gioia per la prima volta dopo tanti anni”, afferma Damien Fair dell’Università del Minnesota, tra gli ideatori della sperimentazione.
Si tratta di un ingranaggio personalizzato per un uomo di 44 anni, ricoverato per la prima volta in ospedale per depressione a soli 13 anni. Nella sua lunga storia di sofferenza, spiega Il fatto quotidiano, avrebbe provato una ventina di trattamenti, tra cui antidepressivi e psicoterapia, ma nessuno ha dato risultati importanti. “Ha tentato il suicidio tre volte”, spiega chi si occupa del paziente.
Ma come funziona concretamente questo induttore di voglia di vivere?
Si tratta di un ingranaggio personalizzato per un uomo di 44 anni, ricoverato per la prima volta in ospedale per depressione a soli 13 anni. Nella sua lunga storia di sofferenza, spiega Il fatto quotidiano, avrebbe provato una ventina di trattamenti, tra cui antidepressivi e psicoterapia, ma nessuno ha dato risultati importanti. “Ha tentato il suicidio tre volte”, spiega chi si occupa del paziente.
Ma come funziona concretamente questo induttore di voglia di vivere?
I ricercatori hanno impiantato chirurgicamente quattro gruppi di elettrodi nelle zone da stimolare, attraverso due piccoli fori nel cranio. Gli scienziati hanno così inviato deboli impulsi elettrici solleticando ciascuna delle quattro reti cerebrali in modo isolato. Quando hanno sollecitato la rete coinvolta nell’invio dei segnali di soddisfazione, l’uomo avrebbe perfino pianto di gioia.
DEPRESSIONE, MALESSERE (ANCHE) SOCIALE CHE VIVIAMO IN SOLITUDINE
DEPRESSIONE, MALESSERE (ANCHE) SOCIALE CHE VIVIAMO IN SOLITUDINE
La depressione resistente al trattamento farmaceutico è una condizione comune e invalidante nelle nostre società. Stato melanconico che l’uomo conosce da sempre ma che oggi viene amplificato dall’atomizzazione nelle grandi città, anche se la cultura del dialogo accogliente e il sostegno della psicoterapia sta uscendo dal tabù e prendendo piede.
È legittimo congratularsi con le conquiste della scienza e rallegrarsi per ogni paziente e persona che trova sollievo dal proprio calvario, ma ci chiediamo che cosa possa comportare questa forma di ibridazione emotiva tra uomo e macchina, una sorta di intervento-cyborg che agisce tramite il corpo sull’interiorità.
Le emozioni che ci fanno stare male ci mettono anche in contatto con la nostra forza e con la nostra fragilità, rendono significativa l’esistenza, ci permettono di distinguere ciò che dobbiamo imparare da ciò che dobbiamo abbandonare, ci si presentano e ripresentano per esplorarle e superarle.
È legittimo congratularsi con le conquiste della scienza e rallegrarsi per ogni paziente e persona che trova sollievo dal proprio calvario, ma ci chiediamo che cosa possa comportare questa forma di ibridazione emotiva tra uomo e macchina, una sorta di intervento-cyborg che agisce tramite il corpo sull’interiorità.
Le emozioni che ci fanno stare male ci mettono anche in contatto con la nostra forza e con la nostra fragilità, rendono significativa l’esistenza, ci permettono di distinguere ciò che dobbiamo imparare da ciò che dobbiamo abbandonare, ci si presentano e ripresentano per esplorarle e superarle.
Gioia e dolore ci rendono infinitamente altro dalla cosiddetta Intelligenza Artificiale. Dunque dispositivi come questi rischiano di neutralizzare o impoverire la sfida psicologica ed esistenziale che ci invita, seppure dolorosamente, a maturare?
Articolo completo, con video: www.byoblu.com
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