Marte, la nuova frontiera dell’esplorazione spaziale, l’oggetto dei desideri di Space X e della NASA, la meta da conquistare nei prossimi decenni… Oppure no?
Oppure anche lassù ci siamo già stati, e pure varie volte, all’insaputa di tutti, in missioni tenute segrete che più segrete non si può?
Lo dicono le fonti anonime che negli anni si sono relazionate con il ricercatore italiano Luca Scantamburlo.
Ma prima di capire quali sono le possibilità storiche, tecniche e scientifiche che un’impresa del genere sia davvero avvenuta, urge un riassunto delle puntate precedenti per scoprire cosa sarebbe successo all’interno di quel progetto centrato sul Pianeta Rosso denominato RedSun ...
(Potete trovare a fondo pagina i link ai due articoli precedenti di www.extremamente.it già pubblicati qui nei giorni scorsi - NdC)
«Riassumo ancora una volta a beneficio dei lettori di Extremamente quanto da me già divulgato nel 2011: nel corso del XX secolo, in piena competizione spaziale tra USA e URSS, a posare per primi il piede su Marte sarebbero stati proprio i due celebri astronauti annoverati dalla storia ufficiale come i primi uomini a camminare sulla Luna nel luglio 1969 (missione Apollo 11), ovvero i due statunitensi Edwin E. Aldrin (noto come Buzz Aldrin) e Neil Armstrong, partiti dalla Terra in gran segreto.
Ben 13 missioni spaziali avrebbero avuto luogo negli anni Settanta allo scopo di costruire una base permanente su Marte.
Secondo la testimonianza dell’informatore bravoxsierra24 che prese contatti con me anni fa – dopo aver visto anche la mia intervista in televisione con Studio Aperto e la trasmissione Mistero – il nome in codice del progetto entro cui queste missioni furono sviluppate e portate a termine in ambito militare, fu “Project RedSun” (cioè “Progetto SoleRosso”), creato nel 1960 e concretizzato nel 1970 (con la prima delle tredici missioni).»
«Tale presunto progetto sarebbe nato dal precedente “Progetto Horizon” dell’Esercito americano, il quale avrebbe consentito – sempre secondo le sue parole – la costruzione di “una base permanente sulla Luna”.
Per quanto concerne il razzo vettore utilizzato per la prima missione marziana, mi è stato riferito dal mio contatto che a portare in orbita i 3 uomini verso Marte nel 1970 (due scesero sul suolo marziano, Aldrin e Armstrong) fu un razzo Saturno V modificato. Le successive missioni spaziali avvennero per mezzo di un razzo denominato Saturno VIII “più simile allo Space Shuttle e di gran lunga più pratico”, commentò la mia fonte allora.
Per quanto concerne la base di lancio, l‘insider mi rivelò che essa era ubicata in Sudamerica in “una zona assolutamente isolata e segreta del Brasile“.
Per quanto riguarda le zone dove si sarebbe trovato il Controllo missione, Cocoa Beach in Florida sarebbe stata scelta per le prime 3 missioni, mentre per le seguenti il Controllo sarebbe stato approntato nella celebre area del Nevada nota come “Area 51“. Fin qui le discutibili voci degli insider da me raccolte.»
Queste informazioni divulgate per la prima volta nel 2011 sembrano incredibili. Ma lo sono anche alla luce della storia ufficiale dell’astronautica?
Luca ha approfondito la materia e ha scoperto dettagli molto interessanti.
Innanzitutto, il primo studio pubblicato sulla teoria dei satelliti artificiali da porre in orbita terrestre risale addirittura al 1928: si tratta della stazione spaziale concepita da Hermann Noordung, ingegnere sloveno considerato pioniere dell’astronautica e della missilistica, autore del libro “Das Problem der Befahrung des Weltraums, ovvero Il problema del volo spaziale. Noordung fu contemporaneo del visionario russo Konstantin E. Tsiolkovsky.
Di origine polacca e insegnante di scuola a Kaluga, vicino a Mosca, ispirato dalla letteratura di Jules Verne, aveva già concepito non solo i razzi a più stadi, ma anche delle vere e proprie città spaziali, sognando l’esplorazione e la colonizzazione della galassia per il futuro della umanità, come scrisse nei suoi testi “Esplorazione degli spazi cosmici con razzi a propulsione” del 1903 e “Teoria dei razzi pluristadio” del 1927.
Inoltre – e qui entriamo nel cuore della questione che più ci interessa, ovvero il Pianeta Rosso – già negli anni Quaranta del secolo scorso il dottor Wernher von Braun si era occupato dei viaggi su Marte.
Lo scienziato tedesco famoso per i missili supersonici V-2 che terrorizzarono Londra ma che divenne in seguito il principale leader e progettista a capo della realizzazione del Saturno V (il razzo vettore del Programma Apollo della NASA) nonché Direttore per la NASA al Marshall Space Flight Center di Huntsville in Alabama, scrisse nel 1949 un libro straordinario per i concetti espressi a quel tempo: “Progetto Marte. Un racconto tecnico”.
«Dopo la missione Apollo 11, a partire dal 1970, von Braun si trasferì alla sede centrale della NASA a Washington DC, come Vice Amministratore associato per la pianificazione», spiega Scantamburlo.
«Nel 1972 lasciò la NASA. Von Braun morì di tumore nel 1977 a soli 65 anni dopo aver lavorato per pochi anni nel settore industriale privato. Questo suo libro su Marte – di genere fantascientifico ma rigorosamente ancorato alla fisica e alla matematica – venne scritto alla fine degli anni Quaranta in America, in lingua tedesca con il titolo Das Marsprojekt, e fu pubblicato nel 1952».
Realizzato durante il periodo di detenzione che von Braun trascorse a Fort Bliss in Texas insieme ad altri scienziati tedeschi deportati negli Stati Uniti dalla Germania sconfitta al termine della Seconda Guerra mondiale, all’interno dell’Operazione Paperclip che l’Intelligence organizzò per convenienza strategica, scientifica e tecnica, il testo fu poi tradotto in lingua inglese da un ufficiale americano e ripubblicato nel 1953.
Si tratta, come detto, di un libro di fantascienza che tuttavia contiene seri calcoli di meccanica celeste e astronautica, con le dovute argomentazioni per mostrare la fattibilità delle missioni con equipaggio su Marte (una flotta di astronavi, assemblata in orbita) e di una colonia marziana.
Vi sono delle illustrazioni a colori e una ricca appendice tecnica con 14 originali diagrammi e disegni a firma di von Braun stesso, a matita e penna.
Von Braun prima di lavorare alla NASA fu Direttore della divisione di sviluppo dell’Army Ballistic Missile Agency (ABMA), l’Agenzia per i missili balistici dell’Esercito che guidò fino al 1956 e sovrintese alla creazione del razzo Redstone successivamente modificato nel razzo vettore Jupiter-C (1956-1957), dopo il fallimento del progetto Vanguard della Marina (ci fu un’esplosione al decollo il 6 dicembre 1957).
Continua il ricercatore: «Le appendici tecniche al libro Das Marsprojekt di von Braun sono state realizzate da lui e da sei suoi collaboratori, sei scienziati tedeschi e austriaci finiti negli Stati Uniti a fine guerra che avevano operato a Peenemünde nella parte nord-orientale dell’isola tedesca di Usedom, costa germanica sul Mar Baltico.
Fra di essi ne ricordo almeno tre: il dr. Adolf Thiel (ingegnere esperto di missilistica ed esplorazione spaziale, impiegato con l’Esercito, poi con la NASA e la TRW Corporation); il dr. Carl Wagner, chimico-fisico tedesco esperto di termodinamica, divenuto poi docente al MIT di Boston; il dr. Krafft Arnold Ehricke, anch’egli ingegnere aeronautico e missilistico tedesco, collaboratore di von Braun con l’Esercito americano alla fine degli anni Quaranta.
Ehricke è importante perché nel 1948 scrisse una storia a proposito di un viaggio spaziale proprio verso Marte, con equipaggio: "Expedition Ares, A Saga from the Dawn of Interplanetari Travel” (Spedizione Ares, una saga dall’alba del viaggio interplanetario). Ma fu anche coinvolto successivamente nel Progetto Orione (a propulsione nucleare, di cui dirò fra poco), avendo egli già lavorato con la Bell Aircraft, la Convair, la General Dynamics.»
«Tanto per capire di quale calibro professionale e scientifico fosse Ehricke, in Germania fu allievo di Hans Geiger e Werner Heisenberg, fra i più grandi scienziati tedeschi dell’epoca.
Questo mio riferimento storico e tecnico al libro di fantascienza di von Braun, ma basato su concetti tecnici e scientifici perfettamente plausibili, dimostra che già alla fine degli anni Quaranta si avevano tutte le nozioni e la padronanza concettuale (in termini di astronautica, meccanica celeste, termodinamica, comunicazione radio) e progettuale per una esplorazione del sistema solare fino a Marte, con addirittura la costruzione di un avamposto e il viaggio di ritorno da Marte alla Terra.»
Tuttavia, perché un progetto del genere passasse dalla fantasia- seppur supportata tecnicamente – alla realtà, aveva di fronte a sé tre principali problemi: l’addestramento degli astronauti, il finanziamento di tali ambiziosi programmi, la complessa organizzazione di gestione della preparazione delle missioni e della loro assistenza. In sostanza, gli scogli principali erano i soldi (tanti), la buona volontà e l’impegno necessario per vincere la sfida.
Non vi erano dunque ostacoli tecnologici o concettuali insormontabili o che non fossero già stati affrontati concettualmente e teoricamente, dal punto di vista ingegneristico e fisico.
Non solo. Ben prima della conquista della Luna, erano stati avviati dei progetti per costruire razzi in grado di compiere lunghi tragitti nello spazio. Ancora una volta, Luca ci illustra nel dettaglio: «Si pensi ad esempio al Progetto scientifico NERVA della NASA/AEC (1961-1972), gestito da un Ufficio di Washington, lo SNPO, che dimostrò già nei primi anni Sessanta con test sperimentali condotti a terra – nel deserto nel Nevada – l’efficacia e la validità di un endoreattore nucleare progettato per la propulsione spaziale ed ecco che il tutto – se non ancora convincente – potrebbe apparire perlomeno possibile.
Un’astronave a propulsione nucleare avrebbe accorciato di molto un viaggio verso Marte che sarebbe stato raggiungibile in minor tempo (4/5 mesi) rispetto ad una propulsione con endoreattore a combustione chimica (8/9 mesi).»
«Anche il “Project Rover” del Los Alamos Scientific Laboratory – attivo dal 1955 fino alla sua cancellazione nel 1972 – era ispirato ai medesimi principi. Un endoreattore nucleare scalda, con il calore generato da reazioni nucleari a catena controllate, un fluido di lavoro facendolo espandere come gas di scarico, ad alta velocità, ed ottenendo così la spinta propulsiva per l’astronave.
Il vantaggio risiede nel fatto che il gas allo stato liquido utilizzato è molto leggero – come l’idrogeno – e dunque con peso molecolare molto più basso rispetto ai propellenti chimici.
Si ha anche il vantaggio – a parità di carico utile trasportabile – di molta meno massa di propellente (non c’è necessità di immagazzinare comburente), e di un volo spaziale non necessariamente legato a finestre di lancio ottimali e ad allineamenti planetari favorevoli.
Una riduzione del peso in partenza del razzo vettore con motore nucleare può arrivare anche al 90%, rispetto ad un razzo con endoreattore termico a propellenti chimici. Le soluzioni disponibili sarebbero, per esempio, un più efficiente razzo vettore bi-stadio chimico e nucleare, oppure un razzo vettore nucleare monostadio.»
Se i test condotti a terra furono un successo con minimi problemi di sicurezza del personale coinvolto (ci fu solo un incidente a causa di un’esplosione di idrogeno, con 2 feriti), non si capisce che senso abbia avuto investire denaro, tempo e risorse per poi abbandonare il tutto.
Negli anni Settanta, la maggior parte degli investimenti della NASA furono infatti concentrati sul Programma Skylab e Space Shuttle.
A meno che qualche altra Agenzia federale non abbia messo a frutto – segretamente – il successo conseguito con la tecnologia Rover/NERVA o con un’ altra analoga a questa …
Merita poi di essere citato anche il “Project Orion” che coinvolse fra i tanti Stanislaus Ulam (che ebbe l’idea nel 1946, sulla base di pregressi studi di fine Ottocento sull’uso di impulsi esplosivi per dare la spinta ad un razzo), il celebre scienziato britannico Freeman Dyson (naturalizzato statunitense) e l’ingegnere civile ed aeronautico Carlo Riparbelli, italiano di Roma, già ingegnere alla Caproni (dove fu “chief designer”) e ufficiale nella Guerra di Libia.
Prosegue Luca: «Il Progetto Orione era un progetto spaziale segreto il cui studio fu sviluppato inizialmente negli USA presso la General Dynamics Corporation, gestito dapprima dalla ARPA (divenuta in seguito DARPA, che negli ultimi anni si è interessata allo sviluppo della biotecnologia a m-RNA), poi dalla USAF per sette anni ed infine dalla NASA.
Fu declassificato parzialmente decenni fa: esso prevedeva una astronave spinta da una serie di esplosioni controllate di ordigni nucleari fatti detonare a distanza di sicurezza dalla astronave stessa, la quale avrebbe raccolto per mezzo di una sorta di piatto metallico circolare rivestito con materiale speciale (tipo la grafite), posto sul retro della astronave, l’energia del plasma ad alta velocità e densità liberato dalle esplosioni atomiche.
Dunque un veicolo spaziale ad impulso nucleare, capace di convertire l’energia di detonazione nucleare in energia cinetica.
Questo fu il primo concetto di Propulsione ad Impulso Nucleare (“External NPP”). Poi ne seguirono altri. Con tale propulsione un viaggio verso Marte con 100 tonnellate di carico utile avrebbe richiesto solo 125 giorni, circa quattro mesi.»
Ma torniamo a Wernher von Braun.
Ricorda Scantamburlo: «Prima di uscire di scena dalla NASA, propose nel 1969 una missione spaziale verso Marte con 12 uomini di equipaggio: due astronavi viaggianti in tandem, spinte ciascuna da 3 motori nucleari NERVA, con partenza nel 1980 e arrivo su Marte nel 1981.
D’altra parte, già alla fine degli anni Quaranta, subito dopo la fine della Seconda Guerra mondiale – come ricordavo poco fa – von Braun aveva teorizzato il viaggio spaziale verso Marte, dando alle stampe uno studio tecnico e di fattibilità della missione, anche se in tal caso nel suo progetto giovanile non era previsto un motore nucleare, ma motori con endoreattori chimici.»
Insomma, a livello teorico e forse anche pratico, una missione del genere non sarebbe stata impossibile. Tutto da dimostrare, però, che poi siano state effettivamente realizzate come le “gole profonde” hanno sostenuto in tempi diversi scrivendo a Scantamburlo. Le loro rivelazioni e alcuni riscontri incrociati hanno portato il ricercatore italiano a ricostruire quelle presunte pagine segrete riempiendo quasi tutti gli spazi vuoti. Quasi.
Il programma Taurus avrebbe portato i primi astronauti sulla Luna nel 1966
«Da quello che ho inteso, Taurus fu un vero e proprio programma spaziale di conquista lunare parallelo a quello della NASA ma, a differenza di questo, fu militare, altamente classificato e precedente di pochi anni le missioni Apollo.
RedSun fu invece un progetto per la conquista di Marte con equipaggio, dunque suppongo che sia parte di un programma di esplorazione spaziale più ampio.
Nel marzo 2011 il dichiarato e presunto comandante di Apollo 19, John W. Young, mi confermò in privato durante i nostri contatti la realtà del progetto SoleRosso, che gli accennai sulla base delle confidenze che avevo ricevuto per posta elettronica dalla mia fonte europea bravoxsierra24 l’anno precedente. Fu sorpreso che conoscessi aspetti così segreti dell’esplorazione spaziale.
Young mi confermò anche la partecipazione di Aldrin e Armstrong al primo sbarco su Marte.
Gli astronauti e i cosmonauti che sarebbero stati protagonisti, stando alle indiscrezioni emerse con la testimonianza del Comandante di Apollo 19 e dalla mia fonte europea sul progetto RedSun, furono i seguenti: per l’equipaggio di Apollo 20 abbiamo Rutledge, Alexei Leonov e Leona Marietta Snyder, nomi già noti sin 2007 con la diffusione su YouTube del discusso materiale video. Sulla esistenza di Leona M. Snyder non ho mai trovato alcun riscontro.»
Apollo 20 avrebbe indagato sull'anomalia scoperta sul lato nascosto della Luna
«Per quanto concerne l’equipaggio di Apollo 19, quello iniziale (che poi fu sciolto tre settimane prima del lancio) sarebbe stato composto da John L. Swigert jr (1931-1982), Stephanie Ellis (1946-1975) e Alexei Vasiliyevich Sorokin (1931-1976).
I presunti membri del nuovo equipaggio di Apollo 19, promosso da riserva a primo equipaggio, sarebbero stati - usando il condizionale - John W. Young come comandante, David Randolph Scott come pilota del modulo lunare e Jurij Romanenko come terzo componente.
È la prima volta che fornisco i nomi di Scott e Romanenko insieme e lo faccio qui con te, in occasione dell’intervista che concedo a Extremamente.
Di Romanenko avevo già accennato nella edizione italiana del mio saggio Apollo 20. La rivelazione (Lulu Press, 2010). Scott non l’ho mai nominato pubblicamente e lo faccio qui per la prima volta. Sospettavo da tempo il loro coinvolgimento, visti anche alcuni indizi disseminati dai miei interlocutori, ed ebbi una conferma nei miei contatti con bravoxsierra24 che mi parlò di RedSun: mi fornì i loro nomi nel luglio e agosto 2010, sempre nel corso dei contatti di posta elettronica che avemmo allora. E così facendo, mi confermò l’identità di John Young, cosa che io non avevo divulgato fino ad allora.»
«Ora, singolare e non credo sia un caso, il russo Romanenko – due volte eroe dell’Unione Sovietica – fu monitorato dalla CIA durante la sua permanenza negli States quando fu cosmonauta in visita presso i centri spaziali americani.
Di questo controllo discreto da parte della CIA sul territorio americano, ebbi evidenza e conoscenza trovando un documento FOIA al riguardo molti anni fa durante le mie estenuanti ricerche, dopo che mi fu indicata la sua persona e seppi della sua possibile partecipazione ad Apollo 19 nel febbraio 1976.
Il documento FOIA declassificato dalla CIA che trovai citava specificamente Romanenko e non altri suoi colleghi russi che parteciparono all’addestramento in vista della missione congiunta USA-URSS dell’ ASTP del 1975, negli Stati Uniti.
Essi furono, oltre ad Alexei Leonov, Valeri Kubasov, Anatoli V. Filipchenko, Nikolai N. Rukavishnikov, Vladimir A. Dzhanibekov, Boris D. Andreyev e Aleksander S. Ivanchenko, tutti accompagnati dal Generale Vladimir A. Shatalov, capo dei cosmonauti al Centro di addestramento della Città delle Stelle.»
L'equipaggio russo-americano della missione Apollo Soyuz Test Project
«Perché Romanenko fu attenzionato dalla CIA più degli altri? Ciò acquista un senso se magari Romanenko fosse stato selezionato proprio allora per la successiva missione Apollo 19, altamente classificata.
La missione Apollo Soyuz Test Project del 1975 – mi fu spiegato dalla gola profonda retiredafb nella mia intervista del 2007 – fu la luna di miele prima della missione Apollo 19 e 20.
Fu presentata al mondo come una pacifica stretta di mano fra superpotenze, in orbita, ma aveva in realtà la finalità di preparare a una collaborazione più riservata e ambiziosa.
Anche David Scott ha un suo senso come componente, visto che negli anni Ottanta fu coinvolto dalla USAF in un programma classificato segreto di Shuttle militari (poi abbandonato dalle Autorità e non più finanziato) e fu consulente per il film “Apollo 13” di Ron Howard, che narra l’incidente accaduto nello spazio nel 1970.
Quale astronauta migliore di Scott nel dare consulenza tecnica ad Hollywood, se proprio lui magari avesse vissuto una analoga vicenda in passato, anche se altamente classificata?»
Scott e Romanenko sono tuttora viventi, così come Buzz Aldrin, oggi 93enne. Per quanto concerne i primi due astronauti militari americani sulla Luna nel 1966, la loro identità non è tuttora nota.
Commenta Luca: «Che sorte beffarda se ciò corrisponde a verità: il primo uomo sulla Luna non ha mai avuto la soddisfazione di un riconoscimento storico e della sua persona, o almeno non ancora.
Quello che invece è ritenuto essere stato il primo uomo a porre piede sulla Luna – Neil Alden Armstrong deceduto nell’agosto 2012 – ha ricevuto un riconoscimento ingiusto per quello, e non ha ricevuto invece soddisfazione per aver calcato il suolo marziano per la prima volta nella storia della umanità».
Ma perché, gli domandiamo, tenere nascosti fatti così importanti, conquiste a dir poco straordinarie, ritrovamenti tanto eccezionali come le presunte astronavi sul lato oscuro della Luna?
«Potrei fare riferimento all’esistenza del cosiddetto Public Acclimation Program, programma di acclimatazione che sembra esistente da decenni e di cui si vocifera sin dagli anni Ottanta, anche se non vi è nulla di ufficiale e confermato.»
Neil Armstrong è ricordato come primo uomo sulla Luna
«Volutamente, in modo graduale e mai fornendo un quadro completo, accurato o esente da manipolazioni o contaminazioni, si forniscono progressivamente alla pubblica opinione indizi e spunti di riflessione sulla realtà e sulla visita extraterrestre nel nostro Sistema Solare (anche attraverso Hollywood, con produzioni “orientate”).
In questo modo, si evita una situazione di anomia e possibile collasso della nostra civiltà, che di fronte a una realtà sconcertante rivelata improvvisamente potrebbe mettere in discussione il proprio assetto – sociale, scientifico, politico e religioso – con sfiducia nei confronti delle classi dirigenziali, delegittimate all’improvviso.
La possibilità di caos e di una situazione ingovernabile – oltre alla delegittimazione di chi guida la società – è forse ciò che più è temuto in seno alle élite dominanti, soprattutto quelle più clandestine.
In proposito illuminante fu il Brookings Report, commissionato dalla NASA negli anni Sessanta alla Brookings Institution: sulle implicazioni della scoperta di vita extraterrestre o di eventuali reperti di civiltà aliene, trovati nel Sistema Solare, senza mezzi termini fu scritto e argomentato dal punto di vista antropologico e sociologico, l’opportunità di nascondere al pubblico o ritardare la divulgazione di queste possibili sensazionali scoperte, vedi il testo Proposed Studies on the Implications of Peaceful Activities for Human Affairs, pubblicato nel 1960 e discusso al Congresso nel 1961.»
E allora perché negli ultimi anni sono trapelate tutte queste indiscrezioni, insufficienti a fare chiarezza su un passato oscuro ma bastanti ad aprire profonde crepe nelle versioni ufficiali? Cui prodest, a chi giova?
«Vi è la consapevolezza che la politica di una segretezza totale e permanente alla fine gioca a sfavore anche di chi controlla perché certi processi non sono evitabili o procrastinabili sine die e una educazione non manifesta e graduale a realtà ignote (soprattutto delle nuove generazioni) è positiva sul lungo periodo.
Logico che alcune classi di potere potrebbero approfittarsi della situazione nella gestione di informazioni biologiche e tecnologiche non terrestri, per avvantaggiarsene in modo egoico a discapito di una collaborazione internazionale e di una autentica evoluzione culturale, antropologica e tecnologica equilibrata e non conflittuale.
Una questione economica e di sfruttamento delle risorse in tutte le sue implicazioni sarebbe la principale ragione per la politica di segretezza e cover up che da quasi un secolo i governi perseguono in tema UFO.
A riguardo, Maurizio Martinelli apprezzato saggista e ricercatore che conosco e a cui sono legato da reciproca stima, ha svolto interessanti riflessioni politologiche e sociologiche sulla educazione occulta della umanità da parte di visitatori da altrove che da tempo operano sulla Terra e nel Sistema Solare.
Nel suo saggio “Anche gli Dei Sbagliano” (Verdechiaro Edizioni, 2018), Martinelli argomenta la possibilità che siano in corso programmi educativi mascherati per le giovani generazioni, anche attraverso la fiction (analogamente a quanto argomentato da Pinotti anni prima, a riguardo delle “produzioni orientate” di Hollywood), specificatamente pensati per bambini e adolescenti.»
Siamo dunque destinati a rimanere per sempre ignari di ciò che altri stabiliscono e decidono per noi oppure abbiamo modo di spingere chi sa a rivelare la verità che ci viene nascosta?
Secondo Luca Scantamburlo, qualcosa si può fare: «Ciò che si potrebbe fare per indurli a rendere pubblici questi documenti – ammesso che esistano – è proprio ciò che hanno fatto questi due coraggiosi e coscienziosi cittadini italiani miei lettori i quali, indipendentemente l’uno dall’altro, hanno deciso di rivolgere interrogazioni FOIA (Freedom Of Information Act) alle Autorità preposte seguendo l’iter previsto dalla Legge sulla Libertà d’informazione vigente negli Stati Uniti d’America sin dal 1966 e nata per garantire ai cittadini quella informazione che è vitale per una società democratica e repubblicana che si possa mantenere sana.
Il loro contributo alla ricerca della verità è prezioso anche se apparentemente ha appena scalfito il muro di gomma e la palese reticenza. Costituisce senza dubbio un contributo costruttivo e di senso civico che potrebbe portare i mass media e i politici ad interessarsi maggiormente della questione, ignorata soprattutto negli Stati Uniti a livello mediatico.»
Le richieste FOIA sono un modo per fare emergere documenti mai divulgati
«Altri insider e testimoni di allora potrebbero farsi avanti qualora maggiore interesse nasca nella opinione pubblica e non sia sensazionalistico ma ragionato e rigoroso, così come potrebbe nascere l’interesse da parte di qualche Senatore americano che potrebbe portare al Congresso la questione.
Se Apollo 19 e 20 sulla Luna e il Progetto SoleRosso su Marte sono una realtà o contengono fondamenti di verità come mi sono persuaso dopo anni e anni di ricerche, le scoperte fatte nel corso di queste missioni spaziali classificate potrebbero gettare nuova luce non solo sulla nostra storia ed evoluzione come specie, ma anche contribuire alla distensione e alla pace nel mondo.
Sarebbero la prova più forte e nobile di come due grandi superpotenze – come gli USA e l’URSS un tempo – mettendo in comune le proprie competenze e tecnologie al di là delle differenze ideologiche, siano arrivate molto lontano cooperando insieme, nobilitando ed omaggiando idealmente i famosi versi di Dante Alighieri nell’Inferno della Divina Commedia (dove Ulisse, rivolgendosi ai compagni, dice “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”) e anche le parole del poeta latino Virgilio che nella sua opera Bucoliche scrisse “carpent tua poma nepotes”, cioè i nipoti raccoglieranno i tuoi frutti. Parole che furono scelte come motto della missione Apollo 20: altri raccoglieranno i frutti di ciò che abbiamo seminato.»
Fonte: www.extremamente.it
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Fonte: www.extremamente.it
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