martedì 27 dicembre 2022

Majorana era nella Certosa di Calci e si faceva chiamare Padre Ambrogio?

Il percorso seguito dallo scienziato scomparso nel marzo del 1938, in accordo col Vaticano, in documenti segreti del periodo 1953-1966.

di Rino Di Stefano

Ettore Majorana alla fine di marzo del 1938 si rifugiò nel convento della Certosa di Calci, nei pressi di Pisa, con il nome di Padre Ambrogio, raccomandato dall’Arcivescovo di Pisa, Monsignor Gabriele Vettori (1869-1947), il quale avrebbe ricevuto precise disposizioni dalla Santa Sede per accogliere il docente di Fisica dell’Università di Napoli che voleva sparire per sempre dalla vita pubblica.

No, non si tratta solo di un’ipotesi. E’ qualcosa di più. La fonte è religiosa e proviene da una documentazione che risale al periodo che va dal 1953 al 1966. Documenti che hanno una lunga storia travagliata e che sono stati pubblicati, per iniziativa di un direttore di banca col pallino della storia, solo nel 2008. Ma il libro, come spesso succede quando gli argomenti non sono graditi, è stato completamente ignorato e ha avuto una diffusione locale. Come sempre, nessuno si è preso la briga di verificare l’attendibilità di quei documenti.

Ma andiamo per ordine. Nel mio ultimo libro “Il caso Majorana Pelizza” (ONE BOOKS, Torino, 2022) avevo ipotizzato che Ettore Majorana, scomparso nel nulla il 27 marzo 1938, si fosse rifugiato nel convento della Certosa di Calci, a Pisa. Io c’ero arrivato attraverso prove circostanziali, un grossolano fotomontaggio e l’ammissione di Rolando Pelizza che, messo alle strette, mi aveva confessato che era proprio a Calci che andava a trovare il suo “maestro”. Un’ipotesi, appunto, che aveva avuto l’unica conferma da parte dello stesso Pelizza. Adesso c’è dell’altro ... 

L’input l’ho avuto da un collega di Milano, Davide Pulici, il quale dopo aver letto il mio libro, si è ricordato di aver saputo della scelta di Majorana leggendo un altro volume: “I manoscritti segreti di Mons. Giovanni Poggi”, di Giuseppe Ceccarini, edito da CLD Libri di Pisa nel 2008. E mi ha telefonato.

Cominciamo col dire che Giuseppe Ceccarini (1941-2013) era laureato in Giurisprudenza e per 35 anni era stato direttore generale della Cassa Rurale ed Artigiana di Bientina. Tuttavia, era anche uno scrittore, aveva pubblicato alcuni libri, ed era membro della Società Storica Pisana e dell’Accademia dell’Ussero. 

Il suo ultimo lavoro era stato appunto “I manoscritti segreti di Mons. Giovanni Poggi” nel 2008. 

Ma che cosa sono questi manoscritti? E come sono entrati in possesso di Ceccarini?

La storia è avvincente. Era una sera di metà luglio del 1967 e, tornando a casa dopo aver assistito alle trebbiature nei poderi che amministrava per il Cottolengo, il padre di Giuseppe Ceccarini trovò ad aspettarlo Monsignor Giovanni Poggi. Erano amici da lungo tempo. Monsignor Poggi, Cappellano dell’Opera Pia Cottolengo, ex docente di liceo nato a Fiume, era arrivato in Italia come profugo al seguito di Monsignor Ugo Camozzo, futuro arcivescovo di Pisa, anche lui fiumano, in seguito all’ascesa al potere di Tito che aveva confiscato i beni di tutti gli italiani. 

Poggi aveva iniziato la carriera religiosa e poi si era sistemato nell’Istituto di Fornacette, vicino a Pisa. Quella sera di luglio Monsignor Poggi consegnò al padre di Giuseppe Ceccarini un carteggio e uno strano apparecchio, contenuto in una elegante scatola nera. Diceva che a quel materiale teneva molto, per cui pregò l’amico di tenerlo al sicuro finché lui non fosse tornato a riprenderlo. Ma il destino decise diversamente. 

Una sera d’inverno del 1968 o 1969, l’autore non ricorda bene, Monsignor Poggi venne ritrovato semiassiderato ed esausto in un profondo fossato a Fornacette. Nessuno riuscì a capire come fosse finito là dentro, o se qualcuno ce l’avesse spinto. L’anziano prelato era in stato confusionale e non sapeva fornire spiegazioni. La sua salute peggiorò, si ammalò gravemente e infine morì. Nessuno, dunque, andò mai a reclamare il carteggio e la scatola nera rimasti nelle mani del padre di Giuseppe La Certosa di Calci (PI) (Fonte: Wikipedia)Ceccarini. 

Crescendo, l’autore andò a curiosare in quella scatola e trovò un apparecchio elettrico, dotato di una manopola al centro, che emetteva un leggero ronzio. La madre, temendo che il figlio potesse restare fulminato da un’eventuale scossa, un giorno buttò via l’apparecchio. Ed è così che scomparve per sempre l’ultimo modello del cronovisore, il mitico apparecchio che sarebbe stato progettato e realizzato dal benedettino Padre Pellegrino Ernetti (1925-1994). 

Il cronovisore meriterebbe un lungo discorso a parte. 

Tanto per rendere l’idea, basti sapere che, secondo la versione di chi l’aveva ideato, quell’apparecchio sarebbe stato una specie di macchina del tempo tramite la quale si poteva assistere a fatti accaduti nel passato, ristrutturando in qualche modo una sorta di traccia che quegli eventi, chissà come, avrebbero lasciato. Secondo quanto si conosce ufficialmente di questo argomento, Padre Ernetti, che si era laureato in Fisica nel 1972, realizzò la sua macchina tra Roma e Venezia avvalendosi anche della collaborazione di scienziati come Enrico Fermi, Wernher von Braun e Agostino Gemelli. 
Quando nel 1994 morì nel monastero dell’isola veneziana di San Giorgio Maggiore, qualcuno fece sparire tutta la documentazione scientifica e la stessa macchina del cronovisore. E nessuno ne seppe più nulla. Così alla fine la storia diventò una leggenda. A quanto pare, però, impossibile dire come e perché, pare che quel materiale alla fine fosse finito nelle mani di Monsignor Giovanni Poggi.

Giuseppe Ceccarini ammette che riscoprì quel carteggio soltanto nel maggio del 1991, mentre prendeva un libro dalla sua biblioteca. Il manoscritto era composto da uno schema elettrico e da una serie di appunti. Ebbene, tra quei fogli c’era anche la ricerca che Padre Ernetti avrebbe fatto su Ettore Majorana. 
Ma non voglio aggiungere nulla a quanto appare in quelle due pagine. Qui di seguito trovate le pagine 74 e 75 del libro.


Le pagine sono disponibili anche in questo PDF

Non mi pare il caso di commentare ulteriormente queste presunte dichiarazioni di Padre Ernetti. E non so davvero se queste notizie siano davvero frutto della ricerca fatta con il suo cronovisore oppure abbiano a che fare con le rivelazioni segrete di un personaggio legato alla Santa Sede. Di certo, però, vale la pena di fare alcune considerazioni. 

Per ragioni che non conosciamo, di fatto qualcuno sapeva che Ettore Majorana quel lontano 27 marzo del 1938 non sarebbe mai uscito dal porto di Napoli. Sbarcato dal traghetto Tirrenia venuto da Palermo, si sarebbe affrettato ad acquistare un altro biglietto (a meno che non lo avesse già fatto prima, mentre si trovava ancora in Sicilia) e si sarebbe Padre Pellegrino Ermetti recato sull’altra nave in partenza per Livorno. Altro che convento nel Sud Italia… E nella città toscana aveva già i suoi appuntamenti e i suoi impegni. Sarà dunque tra le mura del convento della Certosa di Calci che lo scienziato siciliano resterà per tutto il periodo della Seconda Guerra Mondiale, fino al 1969-1970 quando insieme a tutti gli altri religiosi sarebbe stato trasferito nello storico Eremo di Serra San Bruno sull’Aspromonte. Il convento infatti venne chiuso e ora è sede del Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa.

C’è da chiedersi perché Majorana decise di scomparire. 

Personalmente, dopo aver condotto la mia inchiesta sul caso Majorana-Pelizza, sono arrivato alla conclusione che, avendo scoperto le leggi della materia, lo scienziato non riteneva di poter condividere con nessuno (almeno ufficialmente) i suoi indicibili segreti. La mia è stata solo una deduzione, alla luce di tutto quanto è accaduto. Ma non è la sola. 
Un’altra opinione del genere, ben più autorevole di quella di un giornalista, viene dal professore portoghese Joao Magueijo, docente di Teoria della relatività generale all’Imperial College di Londra, il quale la espone nel suo libro “La particella mancante”, il cui titolo originale è “A brilliant darkness: The Extraordinary Life and Disappearance of Ettore Majorana, the Troubled Genius of the Nuclear Age” . Traduzione: “Una brillante oscurità: La straordinaria Vita e la Scomparsa di Ettore Majorana, il Problematico Genio dell’Era Nucleare”, (RCS Libri, SpA, 2010 Milano). 

C’è da chiedersi perché il titolo non sia stato tradotto direttamente in italiano per quello che era, invece di tirare in ballo la particella mancante. Ma lasciamo stare. Il professor Magueijo dice, appunto, che la scomparsa di Majorana è probabile che nasca dalla consapevolezza di aver scoperto, unico al mondo insieme al Padreterno, proprio le leggi della materia. E, consapevole di quello che questa incredibile scoperta avrebbe significato, prese la grande decisione di scomparire per sempre.

Ma c’è un altro problema su cui discutere. Quello che per tutti è sempre stato un grande mistero, e cioè proprio la scomparsa di un eccellente scienziato, non lo era per un bel po’ di persone. 
Prima di tutto, i vertici del Vaticano. Vorrei essere chiaro a questo riguardo: io non biasimo affatto la Santa Sede per aver offerto a Majorana un nascondiglio sicuro. Stiamo parlando di un giovane e brillantissimo studioso che, dotato di una genialità divina, scopre il mistero della materia in un Arcivescovo Gabriele Vettori (Fonte: Wikipedia) Paese che era alleato con la Germania di Hitler. Che cosa sarebbe mai potuto accadere se, per una qualunque ragione, le autorità fasciste avessero saputo di quella scoperta? Già il suo collega e amico Enrico Fermi si era reso conto di che cosa poteva significare mettere l’energia nucleare a disposizione dei nazi-fascisti. Majorana scomparve il 27 marzo del 1938; Enrico Fermi fuggì dall’Italia il 6 dicembre dello stesso anno, con la motivazione di recarsi a Stoccolma per ricevere, il 10 dicembre, il Premio Nobel. Il Patto d’Acciaio tra il Regno d’Italia e la Germania nazista verrà firmato a Berlino il 22 maggio 1939.

Dunque, il Vaticano sapeva, e ha sempre saputo, dov’era Majorana. Ma non era il solo. Nella lettera datata 26-2-1964 che Ettore Majorana invia all’allievo Rolando Pelizza, si legge, tra le altre cose:

“Dovrai organizzare almeno due o tre convegni differenti. Poi, un convegno di Fisica sull’argomento che io proporrò al fisico, o forse più fisici, del consiglio. Nel frattempo, dovrai presentare la macchina che hai realizzato, adducendo di aver effettuato il lavoro con la collaborazione dei sopra citati fisici (o fisico?). Penserò io ad informare questi ultimi su come comportarsi al momento opportuno”.

Questa lettera, per inciso, è stata periziata dalla dottoressa Chantal Sala, perito forense del Tribunale di Pavia, che dichiara essere “sicuramente stata vergata dalla mano del Sig. Majorana Ettore”.

Se dunque tutto questo risultasse essere vero, allora vorrebbe dire che Padre Ambrogio (nome che come abbiamo visto Majorana avrebbe assunto nel convento di Calci) manteneva contatti e corrispondenza con suoi colleghi fisici, e forse non solo. Insomma, il mistero sulla sua scomparsa era solo per il popolo e i governanti. C’era chi sapeva e, responsabilmente, taceva.

Ma il tempo, si sa, è galantuomo. E certi segreti non durano in eterno. Anche se, e ci si può scommettere, non sono pochi coloro che preferiscono che la scomparsa di Ettore Majorana, tutto sommato, resti comunque un mistero. È più sicuro e non si dà fastidio a nessuno…


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