venerdì 23 aprile 2021

Miti e Leggende sull’Immortalità – La Ricerca

 
Nella prima parte dell’articolo ci siamo occupati dei miti che non vedono di buon occhio l’idea che un giorno l’umanità conquisti la ‘vita eterna.’ 

Una visione pessimistica che tuttavia nel corso della storia umana è stata ampiamente bilanciata da un’agguerrita scuola di pensiero molto meno preoccupata delle implicazioni che potrebbero scaturire da una simile conquista. 

Come a dire che sia inutile fasciarsi la testa prima di essersela rotta. Una scuola di pensiero alimentata dai desideri e le paure che in ogni epoca hanno ispirato le ricerche di molti uomini, e dato vita a miti e leggende.

Quello dell’immortalità è un meme talmente radicato nell’immaginario umano da avere costituito il nucleo centrale di uno dei primi poemi della Storia nota: l’Epopea di Gilgamesh ...

Il Fallimento di Gilgamesh

L’Epopea di Gilgamesh è un ciclo epico di ambientazione sumerica, scritto in caratteri cuneiformi su tavolette d’argilla, che risalirebbe a circa 4500 anni fa (tra il 2600 e il 2500 aC). Per apprezzare l’antichità di quest’opera, pensate che il Libro della Genesidell’Antico Testamento risale al 1850-1650 aC; i Veda indiani al 1500 aC; i poemi omerici al 700 aC.

La vicenda è incentrata sull’epica ricerca della vita eterna da parte di Gilgamesh, re di Uruk, nipote di Enmerkar e figlio di Lugalbanda. Colpevole di avere rifiutato le avances della dea Ishtar, Gilgamesh insieme al compagno d’armi Enkidu sconfigge il temibile Toro Celeste incaricato di vendicare l’onta subita dalla dea. L’uccisione del semi-divino Toro Celeste fa infuriare gli altri dei, i quali per punizione uccidono Enkidu. Atterrito dalla perdita del compagno d’armi e dall’idea che la morte ghermisca anche lui, Gilgamesh intraprende un lungo viaggio alla ricerca di Utanapištim, unico sopravvissuto al Diluvio Universale, per carpirgli il segreto dell’immortalità che aveva ricevuto in dono dagli dei.

Dopo varie traversie ed avventure Gilgamesh trova finalmente il vecchio Utanapištim, il quale lo informa che l’immortalità sia irraggiungibile in assenza del volere degli dei. Utanapištim è invecchiato poiché insieme all’immortalità gli dei non gli avevano donato l’eterna giovinezza. Confida però a Gilgamesh di essere alla ricerca di una ‘pianta magica spinosa’ capace di riportare alla giovinezza chiunque se ne alimenti.

Così Gilgamesh si rimette in viaggio alla ricerca della pianta, rintracciandola infine nel profondo degli abissi. Tuttavia il destino non gli è favorevole; durante il ritorno a casa un serpente gli sottrae la pianta magica, ottenendo per se il dono di mutare pelle. 
L’epilogo della storia ci descrive un Gilgamesh disperato ed ormai consapevole dell’inevitabile mortalità umana.


Un cibo molto speciale

L’epilogo di questa saga evidenzia un elemento che accomuna molti miti che narrano di vita eterna: quello gastronomico. Esaminando i racconti di varie mitologie e religioni salta subito all’occhio il nesso esistente tra l’immortalità – o estrema longevità – ed un qualche speciale alimento accessibile solo agli dei. Il sottinteso è che se i mortali si nutrissero di quello stesso alimento si trasformerebbero essi stessi in divinità immortali.

Concetto suscettibile di una duplice interpretazione: esoterica e letterale. Poiché il nostro articolo ha per tema l’immortalità fisica, ci concentreremo sull’interpretazione letterale.

Ambrosia e nettare degli Dei

Probabilmente il più noto alimento divino descritto nei miti antichi è l’Ambrosia, talvolta assimilata, altre volte differenziata, dal Nettare degli Dei

Gli antichi greci erano convinti che le divinità dell’Olimpo traessero l’immortalità da un alimento/bevanda ricavato dalle corna di Amalthea, la capretta madre adottiva di Zeus, e consegnato loro a domicilio da stormi di colombe. 
I miti narrano che l’ambrosia avesse un profumo inebriante con qualità afrodisiache e magicamente cosmetiche per le donne. 

Secondo Esiodo era usata dagli dei anche in qualità di ‘antidepressivo’ (Esiodo, p.44). Inoltre era credenza diffusa che potesse rimarginare ferite mortali, curare malattie, guarire i moribondi e rendere immortali i comuni mortali.

Il concetto di bevanda dell’immortalità è attestato in almeno due aree indoeuropee: greco e sanscrito. Il greco ἀμβροσία (ambrosia) è semanticamente legato al sanscrito अमृत (amṛta) in quanto entrambe le parole denotano una bevanda oppure un cibo che gli dei usano per raggiungere l’immortalità. Le due parole sembrano derivare dalla stessa forma indoeuropea * ṇ-mṛ-tós: ‘non morente.’ Un’etimologia semanticamente simile esiste per la parola ‘nettare’ (nek, cioè ‘morte’ e tar, cioè ‘superamento’).
Fonte

Il mito narra che ad alcuni mortali e semidei – ad esempio Ercole – fu concesso il privilegio di nutrirsi di ambrosia. 

Vi fu anche chi tentò di appropriarsene con l’inganno, pagandone le conseguenze; secondo il poeta Pindaro, il personaggio mitologico Tantalo offrì ai propri ospiti l’ambrosia degli Immortali, sottratta agli dei con un furto analogo a quello del ‘fuoco’ commesso dal titano Prometeo. 


Per punizione Tantalo fu intrappolato in un pozzo d’acqua e condannato ad osservare il cibo degli dei da vicino, senza mai poterlo far proprio.

Secondo le opere dei poeti Omero, Esiodo, Saffo, Alcmane e Anassandride, ambrosia e nettare erano due alimenti distinti e separati. 

Wilhelm H. Roscher – filologo classico tedesco – era convinto che i termini ‘nettare’ ed ‘ambrosia’ identificassero due particolari qualità di miele entrate nel mito per via delle loro potenti qualità purificanti e curative (antisettiche). Il poeta ellenico Ibycus definì l’ambrosia come ‘nove volte più dolce del miele.’ Non sappiamo se Ibycus si riferisse ad una particolare qualità di miele o ad altro alimento ignoto; di sicuro sappiamo che non amasse le cifre tonde.

Amrita, Soma ed Haoma

Complice l’etimologia apparentemente comune dei due nomi, l’ambrosia è stata collegata all’amrita, l’acqua della vita della mitologia induista (amṛta), sostanza bramata sia dai demoni che dagli dei. Una figura che riecheggia fortemente anche nei miti zoroastriani e vedici, ove spiccano i riferimenti ad una bevanda speciale consumata dagli dei, definita Soma nei primi ed Haoma nei secondi. 

La leggenda riporta che questa speciale bevanda fosse distillata dai gambi di alcune piante non meglio identificate (talune fonti parlano di un fungo). Dal momento che ingredienti e tecniche di preparazione della bevanda furono dimenticate dagli uomini, ancora oggi alcuni rituali induisti includono preghiere di perdono agli dei per espiare questa colpa.

Il mito narra che bere Soma ed Haoma garantisse l’immortalità. Nel Rgveda (una delle quattro suddivisioni canoniche dei Veda) si narra che Indra ed Agni – somme divinità Deva – raggiunsero lo stato di divinità dopo aver bevuto grandi quantità di Soma.

Abbiamo bevuto Soma e siamo diventati immortali; abbiamo raggiunto la luce, gli Dei hanno scoperto.
Rgveda 8.48.3


Scienziati, storici e sciamani hanno lungamente speculato sulla natura della pianta di Amrita. A causa delle esperienze spirituali associate al consumo di Soma, alcuni hanno ipotizzato che si trattasse di una sostanza con proprietà enteogene, in grado cioè di provocare stati alterati di coscienza. 

In particolare si ipotizza che l’ingrediente fosse l’Amanita Muscaria, fungo allucinogeno utilizzato dagli sciamani siberiani e tirato in ballo nel 1970 dal filologo ‘contro-culturale’ John M. Allegro, che nel testo The Sacred Mushroom and the Cross arrivò ad affermare che in realtà Gesù Cristo non fosse stato un uomo ma il nome in codice di questo fungo.

L’etnobotanico Terence McKenna si è detto convinto che l’Amrita corrisponda alla Psilocybe Cubensis, altro fungo allucinogeno che cresce nello sterco di vacca. 
Nella letteratura vedica le mucche sono spesso indicate come ‘incarnazione del Soma.’ 
Secondo McKenna l’elevazione delle mucche allo stato sacro nella cultura induista sarebbe derivato proprio dalla loro ‘produzione’ di Psilocybe Cubensis.

L’alterazione della coscienza mediante sostanze allucinogene (attività molto incauta, che sconsigliamo vivamente) potrebbe consentire al consumatore di constatare la propria immortalità spirituale, oppure potrebbe ingannare i sensi e la coscienza, inducendo il consumatore a crearsi un’immagine falsa e sviante del mondo dello spirito. 

In entrambe i casi si tratta di eventualità che sconfinano nel regno dell’immaterialità, dunque estranee all’argomento di questo articolo.


L’Albero della Vita

Anche l’Antico Testamento contiene un chiaro riferimento ad un alimento capace di rendere immortale colui il quale se ne cibi:

Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male.
Genesi 2: 9

Secondo quanto riportato nel Libro della Genesi, il Creatore fece crescere nel Giardino dell’Eden due alberi molto speciali: l’Albero della Conoscenza del Bene e del Male (del cui frutto Dio proibì di nutrirsi), e l’Albero della Vita, che collocò al centro del Giardino. 

Molti teologi concordano nell’attribuire all’Albero della Vita il potere di infondere immortalità ed incorruttibilità (comunione con Dio) a colui il quale avesse mangiato i suoi frutti. 
Versione che tuttavia – come si accennava nella prima parte – non combacia con la diffusa convinzione catechistica secondo cui prima della cacciata dall’Eden l’uomo vivesse una condizione di immortalità fisica.

L’epilogo della vicenda è risaputo. Adamo ed Eva furono indotti a trasgredire il dettato divino, cibandosi proprio dall’Albero della Conoscenza del Bene e del Male, e quel peccato costò loro l’espulsione dal Giardino dell’Eden.

E l’Eterno DIO disse: «Ecco, l’uomo è divenuto come uno di noi, perché conosce il bene e il male. Ed ora bisogna impedirgli di stendere la sua mano per prendere anche dall’albero della vita perché mangiandone, viva per sempre».
Perciò l’Eterno DIO mandò via l’uomo dal giardino dell’Eden affinché lavorasse la terra da cui era stato tratto.
Genesi 3:22-23 (enfasi aggiunta)

Eracle nel giardino delle Esperidi. Mosaico romano del III secolo d.C (Wikipedia)

Il Giardino delle Esperidi ed i Frutti della Vita Eterna

Restando in tema di alberi leggendari, con riferimento all’antica Grecia, merita una citazione la Teogonia di Esiodo in cui si narra che in un non meglio precisato punto ad Occidente sorgesse una vasta e rigogliosa oasi denominata Giardino delle Esperidi, nella quale vegetava l’albero di melo d’oro, dono di nozze della Madre Terra ad Hera.

Il melo d’oro produceva frutti dalle proprietà magiche, capaci di rendere immortale chiunque se ne fosse cibato. Tale preziosa risorsa attirava naturalmente le attenzioni di avventurieri ed esploratori, per cui Hera aveva deciso di affidarne la protezione alle ninfe vespertine (ninfe della sera) ed a Ladone, drago dalle cento teste perennemente all’erta ed attorcigliato al tronco dell’albero.

Il giardino delle Esperidi fu anche teatro dell’undicesima fatica di Ercole, o Eracle. In questo caso le fonti si sbizzarriscono nel fornire i più disparati racconti del mito. Dopo aver compiuto le prime dieci imprese, la leggenda vuole che il re Euristeo decise di affidarsi all’eroe per impossessarsi delle mele preziose. 
Dopo lungo girovagare a vuoto, fu una ninfa a consigliargli di rivolgersi al multiforme dio del mare Nereo che, ammirando il coraggio del giovane, gli confidò di recarsi da Atlante, padre delle Esperidi, l’unico in grado di staccare dall’albero i pomi dorati. 
Giunto all’estremo Occidente, Ercole dovette sostituire temporaneamente il titano nel sorreggere la volta celeste; ma una volta recuperate le mele, Atlante non avrebbe più voluto sottomettersi al pesante giogo tanto che si offrì di farsi egli stesso tramite per Euristeo. Eracle a quel punto si affidò all’astuzia, disse che se avesse dovuto reggere il cielo per sempre avrebbe dovuto sistemarsi meglio il carico sulle spalle e chiese ad Atlante di reggergli il fardello per un momento: il titano cadde nel tranello, lasciò il bottino incustodito, e il giovane eroe poté portare a compimento la propria missione, scappando con le mele dorate. (…) 
In alcune versioni del mito, infatti, si può leggere che Eracle uccise il drago dalle cento teste scoccando una freccia al di sopra delle mura del giardino. La morte del guardiano provocò la disperazione delle Esperidi che gli Argonauti videro trasformarsi in alberi a causa del dolore per la perdita. Un dolore che neppure Hera riuscì ad attenuare trasformando il guardiano nella costellazione del serpente.
Incerto è anche il destino delle tre mele rubate: una versione riporta che fu lo stesso re Euristeo a restituirle; altri autori raccontano che i pomi tornarono tra le mani di Eracle, il quale le consegnò ad Afrodite che, a sua volta, le restituì ad Hera poiché un dono così prezioso non poteva essere goduto da chiunque. 
Infine, c’è anche chi narra che proprio da quei tre frutti nacquero l’arte, la musica e il teatro.Fonte

Il melo d’oro dei miti greci denota sorprendenti similitudini con l’albero della vita eterna della mitologia cinese. 

Una leggenda taoista narra infatti di un magico albero di pesche protetto da un dragone ed abitato da una fenice, il quale produce un solo frutto ogni trecento anni (secondo altre fonti: tremila anni); una pesca magica capace di rendere immortale chi riesca a mangiarla.

Nella mitologia nordica sono presenti importanti riferimenti ad un frutto dell’immortalità. I cosiddetti ‘pomi d’oro’ erano l’alimento principale delle divinità norrene. Tutti gli dei avevano bisogno delle mele d’oro per restare immortali e mantenere inalterata la loro potenza e giovinezza. Idun – dea della primavera – era la custode di questo magico frutteto. Un giorno Idun fu tratta in inganno da Loki, e ‘sequestrata’ – con tutte le sue mele – dal gigante Thiassi. Da quel momento gli dei cominciarono ad invecchiare ed il loro potere andò progressivamente indebolendosi. Con le forze residue gli dei costrinsero Loki a riscattare Idun e le sue mele. Loki si trasformò in falco, portò a compimento la propria missione, e gli dei riconquistarono potere e giovinezza.

Dalla Teoria alla Pratica. La Ricerca Alchemica e l’Elisir di Lunga Vita

Anche il tema dell’alchimia è doppiamente interpretabile. Abbiamo l’interpretazione simbolica, esoterica, che non attiene agli argomenti trattati in questo post. Ed abbiamo la chiave di lettura pseudo-scientifica (o proto-scientifica), che è quella che ci interessa. Il principale obiettivo dell’alchimia pseudo-scientifica era scoprire la leggendaria sostanza capace di trasmutare i metalli di base in oro puro. Tale sostanza è sempre stata strettamente associata al cosiddetto Elisir di Lunga Vita.

L’idea di ingerire metalli per ottenere la longevità è presente nelle tradizioni alchemiche dalla Cina al Medio Oriente fino all’Europa. 

La logica degli antichi suggeriva che l’organismo assorbisse gli attributi di qualsiasi elemento ingerisse. Dal momento che i metalli sono apparentemente indistruttibili si tendeva a credere che chiunque fosse riuscito a nutrirsi di metallo sarebbe diventato indistruttibile come il metallo, dunque immortale. L’unico ostacolo da superare era quello della digeribilità.

Ecco in tal senso salire alla ribalta il Mercurio, un metallo che presentandosi in forma liquida a temperatura ambiente appariva decisamente più digeribile dei metalli solidi. Il che lo rese oggetto di grande interesse da parte dei perspicaci (ma non abbastanza) antichi alchimisti. 
Purtroppo il mercurio è anche altamente tossico, e non furono pochi gli sperimentatori che ci lasciarono le penne. Mercurio è anche uno dei nomi attribuiti al leggendario filosofo Ermete Trismegisto, presunto autore del Corpus ermetico, in cui si fa riferimento all’oro liquido ed alle cosiddette gocce bianche, sostanze in grado di conferire l’immortalità, la cui descrizione ricorda molto il Mercurio. 
Riferimenti a questo argomento possono essere rinvenuti anche nei miti egizi, nel Corano (Sura 18; il Khidr) ed in uno dei testi di Nag Hammadi.

La storia dell’alchimia è piena di riferimenti a studiosi che trascorsero la vita nel tentativo di produrre un oro ‘potabile’ contraddistinto cioè dalle proprietà liquide del mercurio. Quasi sempre gli studi vertevano sulla fusione dell’oro con il mercurio.

Incredibilmente, un’ulteriore sostanza spesso associata all’elisir di lunga vita fu l’arsenico, soprattutto nell’alchimia cinese. Lo storiografo britannico Joseph Needham compilò una lunga lista contenente i nomi degli imperatori cinesi morti per avvelenamento da elisir di lunga vita. Altri minerali che venivano usati nella produzione di pozioni di longevità erano la giada, il cinabro e l’ematite.

La Pietra Filosofale

Qualsiasi alchimista medievale si dedicò alla ricerca della formula della cosiddetta Pietra Filosofale. 

Tali sforzi furono chiamati collettivamente Magnum Opus, o Great Work, o Grande Opera. Come si diceva, le scienze alchemiche ed i loro reali obiettivi sono suscettibili di molteplici interpretazioni e chiavi di lettura. Discorso più che mai valido in tema di Pietra Filosofale e Grande Opera. Tali espressioni spesso esprimono concetti simbolici, che possono andare dall’elevazione della condizione individuale, al presunto perfezionamento della società umana, alla creazione di un sistema valutario capace di trasformare dei semplici pezzi di carta in un bene prezioso. 
Non è escluso che tutte queste interpretazioni siano simultaneamente valide. Tuttavia ormai sarà chiaro che in questa sede intendiamo occuparci solo di nozioni che attengano il mito dell’immortalità fisica, quindi del potere di rendere immortali attribuito alla Pietra Filosofale.

Il concetto di Pietra Filosofale nacque dalle teorie greche classiche circa il rapporto che collegherebbe i quattro elementi fondanti della realtà materiale. Secondo il Timeo di Platone, Terra, Aria, Fuoco ed Acqua scaturirono ​​dalla cosiddetta ‘prima materia’, la fonte di tutto, ovverosia il caos. Gli alchimisti erano convinti che la chiave della Pietra Filosofale fosse proprio la prima materia, e si industriarono per replicarla attraverso la commistione di ingredienti che rappresentassero i quattro elementi. Oggi la ‘prima materia’ è stata ribattezzata con il nome di Bosone di Higgs, e continua ad essere ricercata dagli alchimisti del terzo millennio con l’ausilio di strumenti ipertecnologici.

Alcuni resoconti narrano di individui che sarebbero riusciti a creare la Pietra Filosofale o Elisir di Lunga Vita. Si dice che Albertus Magnus – ricco signore del XIII secolo – poco prima di dipartire abbia donato la propria pietra filosofale a Tommaso d’Aquino. Nei suoi scritti Magnus affermò di aver assistito alla trasmutazione del piombo in oro.

Nel XVIII secolo si diffusero alcune dicerie sul misterioso Conte de St.Germaine. Si diceva che fosse in possesso dell’elisir e che in realtà avesse centinaia di anni.

Un’altra figura storica che si ritiene abbia creato la Pietra Filosofale fu Nicholas Flamel. Flamel fu un libraio francese vissuto dal 1330 al 1418. Dopo quasi duecento anni dalla sua morte, si diffusero alcuni testi di cui gli fu attribuita la paternità. Secondo tali manoscritti Flamel fu istruito sui segreti dell’alchimia da alcuni studiosi ebraici, nel corso del proprio viaggio in terra spagnola. I testi sostenevano che Flamel fosse in possesso dell’elisir di lunga vita e dei segreti della trasmutazione, e che fosse ancora vivo a distanza di due secoli dalla presunta morte.

Nel 2016 – all’interno di un documento del XVII secolo acquistato dalla United States Chemical Heritage Foundation – è stata rinvenuta una ricetta per la Pietra Filosofale attribuita al pugno di Isaac Newton. 
Il documento, originariamente scritto da Eirenaeus Philalethes (noto alchimista contemporaneo di Newton), parla del ‘mercurio filosofico’, che in realtà sarebbe un altro nome per definire l’elisir di lunga vita. 
La ricetta richiederebbe la distillazione del minerale e la purificazione di altri metalli per creare una sostanza che possa trasformare il metallo base in oro.

Il Santo Graal

Secondo la mitologia medievale, il Sacro Graal, o Santo Graal, è la coppa con la quale Gesù celebrò l’Ultima Cena e nella quale Giuseppe d’Arimatea raccolse il suo sangue e sudore, dopo la crocifissione.

Il mito del calice o piatto di Gesù Cristo affonda le sue radici in epoche remote antecedenti al medioevo. La fonte di questa credenza è Jacopo da Varagine, il quale nel 1260 circa, racconta nella Legenda Aurea che durante la prima Crociata (del 1099), i Genovesi trovarono il calice usato nell’Ultima Cena.

La leggenda attribuisce al Santo Graal il potere di guarire il corpo, illuminare la mente e rendere immortale chiunque si abbeveri da esso. 
Mentre Il Codice De Vinci interpreta il mito del Santo Graal in chiave simbolica, molti lettori ricorderanno che il film Indiana Jones e l’Ultima Crociata rappresentasse la leggenda in modo letterale, essendo incentrato (come I Predatori dell’Arca Perduta) sul reale, ossessivo interesse denotato dalle gerarchie naziste nei confronti di molte reliquie leggendarie, tra cui il Santo Graal.

I resoconti storiografici narrano che il principale artefice della ricerca del Santo Graal da parte delle elite naziste fu Otto Rahn, storiografo medievalista convinto che la reliquia fosse stata custodita dai Catari prima della loro distruzione durante la crociata albigese. Secondo Rahn i Catari discendevano dai Visigoti spagnoli e seguivano una religione che professava il rifiuto del giudaismo. Rahn riteneva inoltre che l’epopea del Parsifal del XIII secolo celasse la chiave per ritrovare la reliquia del Graal, a sua detta passata nelle mani di tre cavalieri cattolici il giorno della distruzione della roccaforte catara di Montsegur.

Dopo aver trascorso l’estate del 1931 esplorando con il proprio staff le cattedrali catare sotterranee di Montsegur, Rahn scrisse un libro sulla ricerca del Graal intitolato Crociata Contro il Graal, che gli fece guadagnare molta fama, oltre che l’attenzione del gerarca nazista Himmler, capo delle SS. Himmler invitò Rahn ad unirsi alla propria divisione, offrendogli pieno sostegno economico per le sue ricerche ed incoraggiandolo a documentarne i progressi in un nuovo libro.

Sebbene supportata dai fondi e la forza lavoro offerti dalle SS, la missione di Rahn finì per arenarsi. Himmler – già contrariato per quell’insuccesso – scoprì che Rahn fosse segretamente omosessuale ed avesse origini ebraiche, ed accecato dall’odio ideologico lo condannò a morte. 
La versione ufficiale narra che – piuttosto che subire l’omicidio – in una notte di marzo del 1939 Otto Rahn raggiunse una delle località che più amava, sulle montagne innevate del Tirolo, si sdraiò nel gelo e si abbandonò alla morte. Fu ritrovato privo di vita e congelato, il giorno successivo.

La fonte della giovinezza dipinta da Lucas Cranach il vecchio.

La Fonte dell’Eterna Giovinezza

Uno dei primi riferimenti ad una fonte della giovinezza risale alla Grecia del V secolo aC, quando Erodoto (storiografo di guerra ellenico a cui per la verità non viene attribuito molto credito) riferì che nella regione dei Macrobians (leggendaria tribù etiope) sorgesse dalla terra una fonte la cui acqua allungava eccezionalmente la vita di coloro che se ne abbeverassero. Le più moderne traduzioni suggeriscono, tuttavia, che Erodoto volesse semplicemente sottolineare la forza e longevità dei Macrobions, associandole ad un qualche speciale nutrimento o qualsiasi altro elemento connaturato alla regione di appartenenza.

Alcune fonti asseriscono che nel III secolo dC Alessandro Magno avrebbe viaggiato alla ricerca di una fonte della giovinezza.

Testimonianze riportate dagli esploratori medievali spagnoli e portoghesi raccontano di mitiche sorgenti dell’eterna giovinezza situate nel cuore dell’Amazzonia e dell’Etiopia del Prete Gianni. Il Prete Gianni (in latino: Presbyter Iohannes) è un personaggio leggendario molto popolare in epoca medievale, tanto che – secondo i poemi del ciclo bretone – il Santo Graal sarebbe stato trasportato proprio nel suo regno.

Quando l’esplorazione globale europea decollò – nel XV secolo – l’interesse per una simile mitica fonte della giovinezza sembrò rinvigorirsi. Il Nuovo Mondo delle Americhe tra le altre cose veniva considerato come un luogo dove potenzialmente sarebbe potuta trovarsi la leggendaria fonte, dal momento che nel Vecchio Mondo non ce n’era traccia. I Caraibi, in particolare, erano considerati un candidato privilegiato, poiché molti isolani parlavano di una terra perduta di ricchezza e prosperità nota come Bimini (attualmente identificata con il distretto più occidentale delle Bahamas) all’interno della quale si citava l’esistenza di una fonte della giovinezza.

Lo storiografo spagnolo Lopez de Gomara descrisse nei propri resoconti un fiume magico, una cascata o una sorgente capace di invertire l’invecchiamento, ubicata nelle terre a nord di Cuba ed Haiti. Pietro Martire d’Anghiera, geografo italiano vissuto in Spagna, ne scrisse nel 1513:

Tra le isole sul lato nord di Hispaniola (…) vi è una sorgente di acqua corrente dotata di meravigliose virtù per coloro i quali se ne abbeverino, forse in abbinamento a qualche dieta, essa rende i vecchi nuovamente giovani.

Un ulteriore nome indissolubilmente legato alla ricerca della Fonte dell’Eterna Giovinezza è quello dell’esploratore e conquistatore spagnolo Juan Ponce de León, primo governatore di Porto Rico e delle terre che successivamente sarebbero diventate l’attuale Florida. Si racconta che durante le sue esplorazioni in Florida, mentre cercava l’oro e colonizzava in nome della Spagna, si imbatté nella terra perduta di Bimini e nella Fonte della Giovinezza.

Esistono abbondanti documenti e testimonianze circa l’ossessione covata da Juan Ponce de León nei confronti della mitica fonte. Una delle testimonianze più attendibili sono gli scritti di Antonio de Herrera y Tordesillas, capo storico delle Indie nel 1596. In uno dei suoi libri Herrera scrisse della ricerca di Ponce de León:

Juan Ponce (…) era in possesso di un resoconto circa la ricchezza di quest’isola (Bimini) e l’esistenza di quella singolare Fontana di cui parlavano gli indiani, capace di trasformare i vecchi in giovani.

L’incertezza circa la reale esistenza di una simile fonte miracolosa, e della sua ricerca da parte dell’esploratore spagnolo, non ha impedito alla leggenda di sopravvivere. 
Numerose storie popolari affermano che de León ebbe successo nella sua missione, e che ancora oggi sia in mezzo a noi, vivo e vegeto, intento a godersi una perpetua giovinezza.

I Custodi della Fonte

L’ultima leggenda degna di nota sorta intorno alla mitica Fonte, è quella che coinvolse l’eccentrico ricercatore ed occultista americano Charlie Carlson, il quale nel 1989 dichiarò di avere intervistato un uomo che sosteneva di appartenere ad una società segreta custode della Fonte della Giovinezza

L’intervistato dichiarò di avere 93 anni, mentre Carlson lo descrisse come un personaggio sulla quarantina. 
Disse che la fonte fosse stata scoperta nel 1845 e che fosse dovere della confraternita assicurarsi che la sua ubicazione restasse segreta. L’anonimo informatore avrebbe fornito prove a sostegno delle proprie affermazioni sotto forma di documenti di censimento che sembravano evidenziare come molti membri appartenenti alla sua confraternita fossero estremamente anziani; alcuni raggiungevano i 122 anni d’età. Sebbene molti fossero morti di malattie o in incidenti come l’annegamento – contro cui a detta dell’uomo le acque magiche nulla potevano – nessuno dei ‘custodi’ era morto di vecchiaia.

Esiste realmente una cabala segreta di ‘immortali’ che esercita il proprio potere indirizzando le sorti del mondo? Taluni indizi sparsi qua e là tra le trame della storia parrebbero quasi confermare una simile versione. Ma naturalmente si tratta di un concetto degno del più sgangherato complottismo. Forse.

Il Mito nel Nuovo Millennio

Ci avviciniamo alla fine del viaggio, augurandoci che sia stato di vostro gradimento. Dunque eccoci giunti ai nostri giorni; tempi di paradossi normalizzati e tecno-mistificazioni, ma anche di rivelazioni e nuove visioni che si svelano di fronte agli occhi di chi sa vedere. 

Oggi il mito dell’immortalità risplende più che mai nel firmamento delle ambizioni post-moderne, alimentato dai nuovi media, dai vecchi media e dai media decrepiti. Rappresentato nelle fiction. Disquisito nelle università. Coltivato all’interno di laboratori segreti e strutture di ricerca pubbliche. Mentre – secondo talune fonti – i Padroni del Mondo usufruirebbero già da tempo di tecniche e sostanze capaci di prolungarne sensibilmente la longevità, le sottostanti classi ultra-dirigenziali non sono mai state tanto convinte di poter mettere le mani su qualcosa di analogo entro un paio di decenni.

Oggi la materialità sembra aver permeato l’umanità fino al midollo. Questa trasformazione antropologica ha contribuito al compimento di una delle più vaste rivoluzioni culturali della storia umana. Il mondo intero scricchiola sotto il peso dei mostri ideologici concepiti per spianare la strada ai piani osceni dei burattinai. In Occidente lo svuotamento dei luoghi di culto è corrisposto alla proliferazione di una nuova fede denominata Scienza; l’ingegno umano che mentre ridisegna il mondo rendendolo un posto invivibile, si prodiga per viverci il più a lungo possibile.

L’aspettativa di vita media aumenta di quasi tre mesi all’anno. In maniera esponenziale, ha spiegato David Orban, docente della Singularity University, in un talk a Pi Campus. Significa che ogni aumento è un aumento dell’aumento, non del valore a oggi. Ray Kurzweil, uno dei più accreditati futurologi al mondo, oltre che scienziato e inventore, sostiene che nel giro di sette anni la scienza possa arrivare a portare questa aspettativa di vita a crescere di un anno all’anno. Ray aveva già previsto dieci anni fa che per il 2017 saremmo stati in grado di portare la crescita dell’aspettativa di vita a 3-4 mesi all’anno, e dati alla mano ci siamo quasi. Dal 2022 dovremmo essere in grado di garantirci un anno di vita media in più per ogni anno di ricerca. Nel 2099, ha previsto Ray, il concetto stesso di ‘aspettativa di vita’ sarà divenuto irrilevante per gli esseri umani e le macchine grazie all’immortalità medica e ai computer avanzati.
Fonte

La Vera Fonte della Giovinezza?

Tra le piste più promettenti battute dalle attuali avanguardie scientifiche vi è l’epigenetica, disciplina che studia la riprogrammazione cellulare, e che in pochi anni di sviluppo ha ottenuto risultati piuttosto incoraggianti.

Un gruppo di ricercatori dell’Istituto Salk per gli Studi Biologici a La Jolla, in California, è riuscito a invertire il processo di invecchiamento in alcuni topi anziani e ad allungare di circa un terzo la loro vita, tramite riprogrammazione cellulare. Il risultato, illustrato sulla rivista Cell, rappresenta la prima prova che l’invecchiamento non è una strada a senso unico ma che, anzi, è reversibile.
Fonte

Un giorno questi studi potrebbero realmente condurci a quel ringiovanimento fisico lungamente inseguito dai cercatori della Fonte della Giovinezza. Oltre ad essere la strada più percorribile in concreto, l’inversione del processo di invecchiamento – esistente in natura – sembra essere lo strumento di estensione della vita gravato da minori controindicazioni, per lo meno se paragonato agli studi transumanistici, finora inconcludenti e forse un po’ troppo suggestionati dalla letteratura di fantascienza.

La Visione di Itskov: l’Iniziativa 2045.

A proposito di Transumanesimo, Dmitry Itskov è un imprenditore russo diventato miliardario grazie alla New Media Stars, società di media web-based. 

Malgrado abbia solo 37 anni (Oggi 40 - NdC) è già ossessionato dall’idea di dover lasciare questo mondo, così ha deciso di compilare una sorta di tabella di marcia secondo la quale entro e non oltre il 2045 esisterà – si suppone solo per i più abbienti, come avviene della serie tv Altered Carbon – la concreta possibilità di diventare delle intelligenze artificiali immortali. 
Si tratta dell’obiettivo che qualsiasi ideologo e scienziato transumanista si propone di coronare, unitamente ad un ‘mondo alveare’ post-socialista.


Secondo la tabella di Itskov – denominata Progetto Avatar (sic!) – entro il 2020 sarà possibile produrre degli organismi privi di sistema nervoso centrale, e pronti per essere ‘occupati’ (non si sa bene in che modo) da un sistema nervoso centrale ‘usato.’ Secondo il giovane miliardario i primi risultati saranno visibili entro i prossimi tre anni. 

Entro il 2035 – secondo Itskov – sarà possibile creare una copia di backup del proprio cervello e scaricarla su un supporto tecnologico, così da dire addio una volta per tutte all’impaccio di una controparte biodegradabile. 
Questa mente digitalizzata comunicherà con il mondo delle persone in carne ed ossa semplicemente mediante ologrammi.

Al fine di supportare i progressi del Progetto Avatar, Itskov ha fondato un’associazione no profit denominata Iniziativa 2045. L’obiettivo principale di Iniziativa 2045, secondo la ‘mission’ indicata sul sito ufficiale, è quello di:

“(…) creare tecnologie che consentano il trasferimento della personalità di un individuo ad un supporto non biologico più avanzato così da poter estendere la durata della vita anche fino all’immortalità. (…)”

Roba da poco, insomma.


Dubbi sul Transumanesimo

Il programma stilato da Itskov non è che una goccia nel vasto oceano culturale transumanista. Del Transumanesimo abbiamo già dibattuto in molti vecchi post. Si tratta di una visione affascinante e perturbante, la quale tuttavia tende a trascurare una serie di dettagli a nostro avviso non secondari.

Innanzitutto, l’evidente incompatibilità tra realtà materiale ed immortalità, aspetto di cui si è parlato nella prima parte. 
In qualsiasi modo la si metta, avremo sempre e comunque a che fare con l’estensione della longevità, e non con una vera e propria vita eterna. Con l’allungarsi delle distanze le cose all’orizzonte smetterebbero di essere visibili, ma continuerebbero ad esserci; il giorno della fine giungerebbe ugualmente, sebbene forse dopo aver vissuto un po’ di vita supplementare lo si potrebbe accettare con maggiore serenità e consapevolezza.

In secondo luogo abbiamo il paradosso della percezione del tempo. La percezione del tempo non è uguale per tutti. Lo stesso lasso di tempo nella percezione di un bambino trascorre molto più lentamente di quanto faccia nella percezione di un adulto. E’ molto improbabile che l’effimera – insetto che vive meno di due ore – percepisca il tempo allo stesso modo di una tartaruga. 
Diversi studi sono concordi nell’affermare che la percezione del tempo vari in funzione della longevità. Ciò vuol dire che – paradossalmente – un uomo che si trovi a vivere 800 anni potrebbe finire per percepire il flusso del tempo in misura 10 volte più rapida rispetto ad un uomo che viva 80 anni, con ritorno al punto di partenza: identico senso di precarietà e stesso desiderio di ulteriore procrastinazione. E poi ancora, e ancora …

In terzo luogo abbiamo il problema della Coscienza.
Se nel caso di un ringiovanimento epigenetico o di un trapianto di cervello (quest’ultimo difficilmente realizzabile) in linea teorica sarebbe possibile conservare la Coscienza, le possibilità che un insieme di dati estrapolati da una mente, rielaborati informaticamente ed installati su un qualsiasi altro supporto mantengano quel tipo di connessione, suonano praticamente nulle.

E’ credibile che un mucchio di righe di codice informatico, seppur organizzate mediante un qualche tipo di efficientissimo algoritmo, possano produrre sofferenza, gioia, paura, immaginazione, desiderio, curiosità, orgoglio, individualità, ambizione, amore? In caso affermativo, sarebbero sentimenti reali, oppure prodotti seriali strutturati in funzione delle convinzioni dei programmatori dell’algoritmo? 
Che fine farebbero il pensiero astratto, la creatività artistica, il senso dell’umorismo ed il libero arbitrio? 
Questi aggregati di informazioni sarebbero consapevoli della loro immortalità, ed in caso affermativo, una simile consapevolezza che genere di mutazioni comporterebbe? 
Potremmo ancora parlare di umanità? 
Se – come auspicato dal Transumanesimo – ci trasformassimo in entità del tutto nuove lasciandoci definitivamente alle spalle il nostro essere umani, su che basi si reggerebbe la nostra nuova esistenza? 
Su che genere di ambizioni, sentimenti, motivazioni?

Ecco riemergere il tema dell’apatia, ed intuirsi la pericolosità di ciò che nella realtà potrebbe rivelarsi come la maledizione celata dietro un’apparente benedizione; la concretizzazione di molti dei miti esaminati in questo articolo. La prospettiva di perdere tutto; di tornare indietro con la convinzione di stare andando avanti. 

Cosa accadrebbe se venisse meno la Coscienza? 
Nella peggiore delle ipotesi verrebbe meno il senso stesso dell’esistenza, e finiremmo per diventare degli animali inferiori o – peggio – degli oggetti inanimati.

Conclusione

Si tratta dell’ennesimo paradosso che caratterizza il mistero dell’Anomalia Umana. Se ci trasformassimo in righe di codice informatico perderemmo la nostra umanità, ed a quel punto non solo non ci interesserebbe più la prospettiva di essere immortali, ma non ci interesserebbe più alcunché, in generale.

L’altra faccia della medaglia è che se quanto appena ipotizzato ha del vero, allora forse ciò che conta realmente non sono i nostri cervelli né i nostri corpi fisici, bensì quell’elemento immateriale che da aggregati di atomi, database cerebrali, animali intelligenti (ma non troppo), ci trasforma in esseri umani. 
Il prolungamento della vita potrebbe accrescere le possibilità di avvertirne la presenza ed imparare ad agire secondo le sue regole. In fin dei conti, alla luce della sua contemporanea presenza ed assenza nel mondo fisico, ha tutta l’aria di essere l’unica entità realmente immortale.

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Fonte: sadefenza.wordpress.com

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