mercoledì 13 maggio 2020

L’uomo dimentica, e non dovrebbe

Nel corso della storia l’umanità si è ritrovata a dover fronteggiare problematiche enormi, non ultime le epidemie. Le fonti antiche ci raccontano infatti, che le epidemie facevano parte di una realtà ben consolidata nella vita degli uomini venuti prima di noi.

Abbiamo innumerevoli testimonianze di come in passato il genere umano si è trovato ad affrontare tra i più terribili virus conosciuti, riuscendo sempre ad avere la meglio, con strumenti sanitari praticamente inesistenti.

Foto: mascherina durante l'influenza spagnola - 1918

Una delle testimonianze più antiche è quella che riguarda la famosa “peste” di Atene del 430 A.C. Lo storico Tucidide, racconta di come fosse giunta dall’Etiopia una terribile malattia, passando per l’Egitto e dalla Libia, causando centinaia di morti.

Tradizionalmente gli storici identificano la malattia come un focolaio di peste bubbonica, ma i sintomi riportati nelle testimonianze, hanno fatto riconsiderare la valutazione, grazie a più recenti conoscenze. Si trattò probabilmente di vaiolo o morbillo.

Nel 2005 infatti è stata sottoposta ad accurata analisi la polpa dentale rivenuta in tre denti sepolti nel cimitero del Ceramico ad Atene, rilevando chiare evidenze con dei batteri patogeni della febbre tifoidea. Forse una delle pandemie più devastanti conosciute dall’uomo è da identificarsi nella famosa Peste Nera del 1300. Il batterio conosciuto come Yersinia Pestis si trasmette dai ratti agli uomini per mezzo delle pulci ...


La peste iniziò in Asia centrale e le condizioni affinché questa si strutturasse come pandemia furono probabilmente agevolate dalle condizioni igieniche derivanti dai grandi accampamenti militari, dovuti alle guerre sino mongole.

Si diffuse quindi sull’altopiano della Mongolia, si rafforzò in Cina dove pare che sterminò il 65% della popolazione. Proseguì crescendo in forza lungo la Via della Seta, così giungendo in Siria e in Turchia, alle porte di un’Europa in pieno Medioevo.

Dalla Turchia la pandemia progredì inesorabilmente verso la Grecia ed i Balcani, e nel 1347 giunse sulle coste della Sicilia. Il morbo ebbe modo di diffondersi grazie alle navi che solcavano le numerose rotte marittime. Navi che trasportavano beni e merci di ogni tipo, e ogni nave aveva il suo carico di ratti infetti. Così la peste giunse a Genova, e da lì nel giro di pochi anni infettò tutto il continente.

Un cronista svedese dell’epoca riporta una frase a mio avviso decisamente indicativa: «Le campane non suonavano più e nessuno piangeva. L’unica cosa che si faceva era aspettare la morte, chi, ormai pazzo, guardando fisso nel vuoto, chi sgranando il rosario, altri abbandonandosi ai vizi peggiori. Molti dicevano: “È la fine del mondo!”». Una società fondata sulla religione, che vide letteralmente l’inferno in terra. Ma non tutti persero la speranza. Alcuni protomedici cercarono con i ridotti mezzi in loro possesso, di comprendere la natura della malattia.

In un mondo dove praticamente tutti consideravano la stessa, il volere di Dio. Si iniziò a sospettare che il morbo si propagasse tramite il commercio. Sulla base di questa intuizione venne deciso di isolare le imbarcazioni per un periodo di 40 giorni, così da essere certi che non vi fossero malati a bordo. È proprio dal numero di giorni applicati in questa pratica di prevenzione, che prende nome la quarantena, pratica che noi moderni abbiamo recentemente e tristemente riscoperto.

Stando ai calcoli degli storici, sembra che la Peste Nera abbia causato un numero di morti che varia tra i 20 e i 25 milioni, un terzo della popolazione europea dell’epoca. 

Non abbiamo dati certi sui decessi avvenuti in oriente, ma si stima un numero simile a quello delle vittime europee, se non addirittura superiore.


La pandemia imperversò dal 1347 al 1353, e furono necessari diversi secoli affinché l’Europa tornasse alla densità di popolazione precedente alla malattia, il numero degli abitanti cessò di calare solo nel 1400, fino al 1450 rimase stabile, per poi riprendere lentamente ad aumentare dal 1460 in poi.

Gli effetti della pandemia a livello sociale furono sconvolgenti. I sopravvissuti si ritrovarono a vivere in un modo visibilmente meno popolato, con tutti i vantaggi del caso. Molti ereditarono proprietà e beni, altri ancora si ritrovarono a prestare le proprie competenze a prezzi molto elevati rispetto a “prima”, proprio per la scarsità di lavoratori e tecnici sopravvissuti.

Ne seguì quindi un periodo di grande sviluppo economico e sociale. Qualcuno sostiene che senza la tragedia della Peste Nera, non avremmo avuto quel periodo che da lì a poco sarebbe esploso con tutta la sua bellezza e genialità, periodo il cui nome è indicativo per tutta la questione: il Rinascimento.

La pandemia temporalmente più vicina a noi si è manifestata nel 1918.

Si tratta della prima epidemia legata al virus influenzale a noi noto come H1N1, molto simile al famoso Coronavirus con il quale ci troviamo a combattere, proprio in questo duro periodo. Arrivò ad infettare 500 milioni di persone, causando tra i 50 e 100 milioni di morti. Molti la conoscono col nome di influenza spagnola, anche se in effetti non provenne da quella nazione.

Le venne dato questo nome perché i primi a denunciarne la presenza e la micidiale mortalità furono gli organi di stampa iberici. Gli altri paesi sottoposti alla censura di guerra, negarono a lungo la presenza della pandemia, motivo per cui, quando la malattia divenne evidente, attribuirono l’origine proprio alla Spagna, dove per prima se ne era parlato.

La locazione del primo focolaio dell’influenza spagnola è tutt’oggi motivo di dibattito.

Sembra infatti che questa abbia iniziato la sua lunga marcia di morte negli Stati Uniti, nello stato americano del Kansas. Altri invece ricollocano il focolaio in nel campo militare e ospedale di Etaples, in Francia.


La mortalità dell’influenza spagnola sconcertò gli scienziati che negli anni seguenti cercarono di studiarla. 

Questa tipologia di virus di solito è caratterizzata da un’elevata contagiosità, ma con una mortalità decisamente ridotta, rispetti ai numeri di decessi causati dalla “Spagnola”. A distanza di esattamente 100 anni, ci si chiede ancora come si sia venuto a creare un numero di decessi così enorme.

Le risposte parrebbero da ricercarsi nel particolare periodo storico. Il primo conflitto mondiale aveva avuto termine da pochi mesi, le condizioni generali erano quindi già più che precarie: grandi ospedali da campo affollati, malnutrizione, carenza di personale medico, cure inadatte e in molti casi controproducenti e soprattutto le pessime condizioni igieniche, devono essere stati i fattori determinanti affinché la malattia acquisisse forza.

Dalla fine del secondo conflitto mondiale, l’umanità ed il mondo occidentale in particolar modo, si è adattato ad uno stile di vita e ad un benessere, mai conosciuto prima. Un benessere che ha rimosso dalla memoria la nostra condizione di esseri in lotta per la sopravvivenza, soggetti ad ogni genere di calamità o catastrofe. Siamo riusciti in soli 80 anni ad allontanare da noi anche il solo pensiero che potesse capitare qualcosa di sconvolgente.

Se in tutta questa storia una lezione c’è, è sicuramente quella che l’uomo tende a dimenticare. E più nello specifico tende a dimenticare che non è il padrone del pianeta, ma una parte di esso.

Fonte: www.ischiapress.net


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