Catherine.
Specialmente in giorni come questi in cui avvenimenti gravi si svolgono, i siti di contro-informazione sono molto attivi ma spesso additati dai media mainstream come fonte di dis-informazione.
Ma esiste una teoria matematica per la quale essi sono invece utili per giungere alla verità.
Insomma, chi crede ai ‘complotti’ spesso sbaglia, chi non ci crede sbaglia più spesso…
Il rischio peggiore che si corre a fare informazione libera è quello di essere definiti “complottisti”, un termine che ha origine nel 1964 quando vennero definite “teorie del complotto” le obiezioni di chi non accettava le conclusioni della commissione Warren sull’assassinio di KFK. Da allora sempre più spesso si è sviluppata la tendenza a chiudere ogni dubbio sullo svolgimento di importanti fatti di politica e cronaca neutralizzando le obiezioni come “complottismo”.
Il rischio peggiore che si corre a fare informazione libera è quello di essere definiti “complottisti”, un termine che ha origine nel 1964 quando vennero definite “teorie del complotto” le obiezioni di chi non accettava le conclusioni della commissione Warren sull’assassinio di KFK. Da allora sempre più spesso si è sviluppata la tendenza a chiudere ogni dubbio sullo svolgimento di importanti fatti di politica e cronaca neutralizzando le obiezioni come “complottismo”.
Magic Mirror (M.C. Escher)
Complottisti e anticomplottisti si accapigliano su singoli episodi ad elevata visibilità mediatica, mentre la realtà è molto più semplice (gli uomini sbagliano! E il caso esiste…) eppure al contempo più sofisticata… Analizzare la complessità, individuare i nessi invisibili . Questo conta. Tutto il resto è show."
Questo tipo di approccio si basa sul postulato che nei fatti della geopolitica esista sempre qualche nesso nascosto e che quindi per giungere alla comprensione della realtà vadano ricercate e ricostruite le parti mancanti nelle ricostruzioni apparenti.
Ma quel postulato secondo il quale esiste sempre qualcosa di non evidente in un fenomeno, è stato affrontato in una grande teoria matematica nata alla fine degli anni ’70 e non sviluppata come avrebbe meritato, la “Teoria delle catastrofi” del matematico francese René Thom, da lui definita come “una metodologia, se non di una sorta di linguaggio, che permette di organizzare i dati dell’esperienza nelle condizioni più varie“.
Se i dati dell’esperienza sono le notizie riportate sui grandi media, non dobbiamo considerarle come il risultato finale di una elaborazione che ci dice cosa e perché è successo, ma dobbiamo considerarli come elementi di partenza da elaborare, abbiamo dunque bisogno di una metodologia che ci permetta di organizzarli, cioè di capirli.
"Pensiamo alla mitologia platonica della caverna: come gli uomini della caverna, non vediamo altro che i riflessi delle cose e per passare dal riflesso alla cosa stessa bisogna moltiplicare le dimensioni dello spazio e e munirsi di una sorgente che nel caso di Platone è il fuoco, il fuoco che illumina.
La teoria delle catastrofi suppone appunto che le cose che vediamo sono solo riflessi e che per arrivare all’essere stesso bisogna moltiplicare per uno spazio ausiliare e definire in questo spazio prodotto l’essere più semplice che per proiezione da origine alla morfologia osservata."
In poche parole, i fatti come vengono proposti sono solo delle ombre della realtà e per decifrarli bisogna aggiungere delle “dimensioni” nascoste, bisogna cioè necessariamente fare delle congetture alla luce di un’ipotesi interpretativa. Questo ampliamento delle dimensioni in cui si svolgono le vicende è proprio quanto fa chiunque suggerisce ipotesi e connessioni supplementari, e anche se molte di queste interpretazioni saranno errate il loro valore è nel suscitare interrogativi e “moltiplicare le dimensioni” del fatto osservato.
Una definizione semplificata di questo meccanismo l’ho trovata qualche giorno fa in un commento ad un articolo pubblicato sul sito Comedonchisciotte, uno di quelli che svolge proprio questa funzione di moltiplicatore di dimensioni, l’autore dell’intervento è “Toussaint”:
Su Ustica ci hanno detto per trent’anni che era stata una bomba, poi si è scoperto che era stato un missile. Nel corso degli anni erano stati in molti a scrivere che si trattava di un missile aria-aria. Che prove di tipo giuridico avevano fornito? Eppure avevano ragione.
Qualcuno, poi, ha verificato le notizie ‘ufficiali’? Devo fare l’elenco delle cavolate che l’informazione mainstream spaccia per ‘verità’? Eppure quasi tutti ci credono. Ricordate, ad esempio, i primi bombardamenti dei Turchi? Per un mese l’informazione ufficiale ci ha detto che stavano bombardando l’Isis, poi abbiamo scoperto che avevano bombardato i Curdi, alleati degli Stati Uniti. Imbarazzante, vero?"
Per via del suo uso strumentale e riduzionista l’uso di tale termine va quindi respinto e considerato come un tentativo di chiudere il confronto evitando gli argomenti proposti con una denigrazione dell’interlocutore, o come segno di un errore metodologico.
Fonte: www.enzopennetta.it
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Quasi tutti fanno “cherry picking” senza neanche rendersene conto (ammetto che capita anche a me, è un meccanismo psicologico “difensivo” molto comune, da cui è difficile liberarsi).
Di cervelli veramente scettici, e capaci di mettere insieme in maniera logica i “pezzi” a propria disposizione, per comporre un “puzzle” che non sia pesantemente influenzato dai pregiudizi, mi sa che ce ne sono pochi .."
Si può anche leggere:
Il cherry picking (letteralmente significa “raccolta di ciliegie”) è il modo con cui selezioniamo informazioni e fonti in base alle nostre convinzioni in merito ad un dato argomento.
Ognuno di noi cerca di leggere tra le righe ciò di cui è convinto e anche le sue argomentazioni saranno veicolate in base a ciò che conosce e ai suoi pregiudizi ...
- Il cherry picking: che cos’è e il perché non siamo obiettivi
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