Mi perdonerà chi mi segue perché ripeto spesso gli stessi concetti, ma poiché considero la comprensione di questi concetti basilare al fine di comprendere il mondo in cui viviamo, continuerò a ripetermi.
Parto dunque affermando che nel regno del benessere (l’Occidente in generale ma anche tutti quei Paesi che sognano di diventare “ricchi” come l’Occidente) regna il malessere, e questo è chiaro e pacifico ormai da tempo.
Negli Stati Uniti d’America, il Paese che con le buone o con le cattive si propone a faro del mondo, il malessere impera incontrastato.
La devastazione, l’inquinamento ambientale, la scarsità delle risorse, sono per contro in continuo aumento e questo va a braccetto con questo malessere che impera nel regno del benessere.
E fin qui nulla di nuovo...
E fin qui nulla di nuovo...
Ma il problema di fondo non è il malessere che regna nel mondo del benessere o la questione ambientale o quella dello sfruttamento umano e animale, ecc. Tutto questo, e tanto altro ancora, sono solo delle semplici e anche ovvie conseguenze del mondo che abbiamo costruito e del quale, perlomeno le masse (cioè quasi tutti), sono in qualche modo entusiaste.
Ad esempio essere entusiasti del “progresso” (e dei suoi bracci armati che si chiamano scienza, economia, tecnologia, ecc.) o anche voler distinguere tra un progresso “buono” e uno “cattivo” (buono per chi? Cattivo per chi?) significa perdere di vista il quadro di fondo di chi siamo, di come ci rapportiamo con i nostri simili, con gli altri viventi, con quell’ambiente che è vivente esso stesso (e che, fino a prova contraria, ci permette di vivere).
Significa anche allontanarsi dal cogliere quelle domande esistenziali fondanti che ci accompagnano in questo breve ma intenso e meraviglioso viaggio chiamato Vita.
Non ce ne rendiamo conto ma la Natura in quanto tale per noi non esiste più.
Dov’è la Natura se viviamo tra riscaldamenti e aria condizionate (ci vuole una bella perversione a “condizionare” l’aria ed a percepire la cosa come un “miglioramento”), se soffriamo il troppo caldo, il troppo freddo, il troppo vento, la troppa pioggia, se prendiamo la macchina o qualunque altro mezzo per spostarci ovunque, se abbiamo paura di invecchiare (di qui il culto del giovanilismo imperversante) e via andando?
La Natura significa semplicemente essere Natura e non guardarla dal finestrino di un auto o da uno schermo in alta definizione (la definizione è così alta che l’occhio umano non può neppure percepirla, ma la gente si indebita lo stesso per comprare la tivù ad alta definizione perché così gli ha detto la pubblicità e perché così fanno tutti) e nemmeno fare “imprese estreme” con l’ausilio di ogni mezzo tecnologico a disposizione.
Natura, ad esempio, è guardare il cielo, sentirsi cielo, essere cielo.
L’“homo naturaliter” è stato soppiantato da quello scientifico, tecnologico, economico; nel cambio non ci abbiamo guadagnato.
Sulla tecnologia il pensiero comune (sempre, sempre, sempre, diffidare del pensiero comune) è che dipende dall’uso che se ne fa.
La gente non vede nulla di intrinsecamente sbagliato nella digitalizzazione e nell’artificializzazione delle nostre Vite. Bisogna invece capire che i rapporti “digitali” non sono rapporti umani e men che meno naturali. Non possono farci “stare bene” come un tramonto, come l’ascolto della risacca del mare o del vento che sibila tra le foglie di un bosco, come l’affetto e l’amore di un nostro simile o anche come il solo contatto di un animale (pet-therapy e non solo).
Quando qualcuno ha paura di un ape, di un ragno, di una tempesta o di qualunque altra manifestazione del mondo naturale, e al tempo stesso non ha paura dell’auto, del treno, dell’inquinamento, del cibo avvelenato che mangia, dell’aria ancor più avvelenata che è costretto a respirare, delle medicine che il medico gli somministra, della tivù, del computer e di tutto il resto, significa che quel qualcuno non ha più nulla di naturale in sé. Punto e a capo.
Chiunque abbia cuore e mente aperti è in grado di capire benissimo che quel mondo “sintetico” che ci viene dato in pasto ad ogni piè sospinto è l’esatto opposto di quel mondo naturale per cui siamo, biologicamente e fisiologicamente, fatti, ed a cui, proprio per questo, apparteniamo.
In definitiva la tecnologia ci toglie “vita autentica” e la sostituisce con dei surrogati di Natura, ivi inclusa della nostra Natura umana; ma sono, appunto, solo dei surrogati, delle esche velenose ed a rilascio lento.
Il nostro problema dunque non è inventare le google cars che andranno da sole guidate da un computer (e così saremo ancor più dipendenti da esse e da chi le controlla) ma semmai trovare ed inventarsi dei modi e degli stili di Vita in cui ci si possa smarcare da tutto questo.
L’accelerata del progresso ha dunque cambiato, oltre a tutto il resto, il nostro modo di pensare, di vivere, di rapportarci al mondo, ai nostri simili, a noi stessi. Il che, tradotto nella sostanza dei fatti, significa che stiamo male anziché bene, e che andando avanti staremo progressivamente peggio.
Del resto che il malessere nelle sue varie forme e declinazioni sia la base su cui poggia e prospera il mondo moderno non è una rivelazione da illuminati. Basta guardarsi attorno per coglierlo.
La tecnologia invece non è mai, e sottolineo mai, neutrale, non dipende mai “dall’uso che se ne fa”, semplicemente perché cambia il mondo e cambiando quel mondo che abitiamo inevitabilmente cambia anche noi stessi.
La tecnologia non è mai estranea al modo di pensare che la pensa, che la concepisce, che la realizza.
La gente non vede nulla di intrinsecamente sbagliato nella digitalizzazione e nell’artificializzazione delle nostre Vite. Bisogna invece capire che i rapporti “digitali” non sono rapporti umani e men che meno naturali. Non possono farci “stare bene” come un tramonto, come l’ascolto della risacca del mare o del vento che sibila tra le foglie di un bosco, come l’affetto e l’amore di un nostro simile o anche come il solo contatto di un animale (pet-therapy e non solo).
Quando qualcuno ha paura di un ape, di un ragno, di una tempesta o di qualunque altra manifestazione del mondo naturale, e al tempo stesso non ha paura dell’auto, del treno, dell’inquinamento, del cibo avvelenato che mangia, dell’aria ancor più avvelenata che è costretto a respirare, delle medicine che il medico gli somministra, della tivù, del computer e di tutto il resto, significa che quel qualcuno non ha più nulla di naturale in sé. Punto e a capo.
Chiunque abbia cuore e mente aperti è in grado di capire benissimo che quel mondo “sintetico” che ci viene dato in pasto ad ogni piè sospinto è l’esatto opposto di quel mondo naturale per cui siamo, biologicamente e fisiologicamente, fatti, ed a cui, proprio per questo, apparteniamo.
E sempre proprio per questo, l’accelerata di progresso che stiamo vivendo, ci cambia, ci rende progressivamente più deboli, più malati, più insicuri, più soli, più persi, più annoiati, sempre più senza riferimenti esistenziali e valoriali; ci rende sempre più vuoti sia fuori che dentro, ci spoglia poco alla volta ma sistematicamente di tutto ciò di cui l’essere umano necessita per stare bene.
Non ci vuole molto a capire che la Natura è viva e uno smart-phone è morto.
Possiamo stare bene se nel nostro quotidiano ci rapportiamo sempre più con ciò che è morto anziché con ciò che è vivo?
Questo cambio è letale, assassino, e per cogliere questa semplicissima osservazione basta osservare la differenza di comportamento tra un bimbo che vive nella Natura ed uno che vive in una qualunque città (piena di opportunità e scelte) del mondo progredito.
Lo ripeto: la tecnologia ci ha separato da quel mondo e da quello stile di vita per cui siamo, psicologicamente, biologicamente, fisiologicamente, fatti e al quale ci siamo adattati da milioni di anni di Vita su questo pianeta.
In definitiva è proprio quel progresso che abbracciamo nelle sue molteplici forme (la civiltà urbana, industriale, tecnologica, ecc.) ad aver reciso definitivamente quelle radici che ci legavano alla Terra, che davano un senso alla nostra Vita, e grazie alle quali, pur con tutte le ovvie “difficoltà” del caso, stavamo bene.
In definitiva è proprio quel progresso che abbracciamo nelle sue molteplici forme (la civiltà urbana, industriale, tecnologica, ecc.) ad aver reciso definitivamente quelle radici che ci legavano alla Terra, che davano un senso alla nostra Vita, e grazie alle quali, pur con tutte le ovvie “difficoltà” del caso, stavamo bene.
La Vita naturale può essere dura e a volte anche durissima, non è di certo una passeggiata su un prato fiorito, ma in quella Vita nessuno è depresso, impasticcato, perso, senza un senso e uno scopo quando si alza la mattina.
Quei pochi umani (gli altri il progresso li ha fatti fuori tutti) che ancora vivono in un mondo naturale hanno lo sguardo vivo e non da zombie come quegli pseudoumani che siamo noi diventati nel nostro mondo sviluppato.
Per questo stiamo male e proprio questo è il motivo per cui questo malessere profondo si manifesta in maniera più acuta in quei Paesi, Stati Uniti in testa, che sono più “sviluppati”, ovvero quei Paesi dove c’è maggior ricchezza, maggior economia, maggior tecnologia, maggior sviluppo. Non è nei paesi “poveri” (a parte il fatto che sono “poveri” a causa nostra) che regna il malessere ma in quelli ricchi.
Il nostro problema dunque non è inventare le google cars che andranno da sole guidate da un computer (e così saremo ancor più dipendenti da esse e da chi le controlla) ma semmai trovare ed inventarsi dei modi e degli stili di Vita in cui ci si possa smarcare da tutto questo.
Il nostro problema non è inventare le google cars, così come non lo è inventare nuove pasticche e medicine che ci cureranno, né attendere con trepidazione i fantasmagorici progressi dell’ingegneria genetica (un orrore e un delirio indicibili) che ci farà scegliere l’altezza e il colore dei capelli e quello degli occhi dei nostri figli futuri.
Tutto questo va esattamente nella direzione opposta dello stare bene perché non fa che renderci più passivi e dipendenti da queste nuove invenzioni e contestualmente sempre più spaesati e soprattutto impauriti.
Perché?
Perché essere dipendenti da qualcosa, che si tratti di scienza, tecnologia, medicina, economia, lavoro, o anche dalla religione o dal guru di turno, significa non essere se stessi e dunque non sentirsi all’altezza della nostra Vita. Significa essere alla mercé di un qualunque evento esterno che possa verificarsi senza avere le qualità e potenzialità per farvi fronte.
Tutto questo va esattamente nella direzione opposta dello stare bene perché non fa che renderci più passivi e dipendenti da queste nuove invenzioni e contestualmente sempre più spaesati e soprattutto impauriti.
Perché?
Perché essere dipendenti da qualcosa, che si tratti di scienza, tecnologia, medicina, economia, lavoro, o anche dalla religione o dal guru di turno, significa non essere se stessi e dunque non sentirsi all’altezza della nostra Vita. Significa essere alla mercé di un qualunque evento esterno che possa verificarsi senza avere le qualità e potenzialità per farvi fronte.
La dipendenza da qualcosa, da qualunque cosa, fa sempre stare male perché inevitabilmente crea paura.
Ma vorrei concludere invitando a riflettere che con il folle sviluppo tecnologico a cui stiamo quotidianamente assistendo (lo facciamo senza neppure batter ciglio, anzi desiderandolo, addirittura volendogli bene), stiamo contestualmente assistendo alla scomparsa dell’uomo umano, che è stato sostituito da quello tecnologico.
Ma vorrei concludere invitando a riflettere che con il folle sviluppo tecnologico a cui stiamo quotidianamente assistendo (lo facciamo senza neppure batter ciglio, anzi desiderandolo, addirittura volendogli bene), stiamo contestualmente assistendo alla scomparsa dell’uomo umano, che è stato sostituito da quello tecnologico.
Forse oggi non lo capiamo per una mancanza di prospettiva temporale, ma tra soli venti-trenta-cinquant’anni basterà guardare ai giorni nostri per capire che stiamo vivendo gli ultimi giorni da esseri umani ancora abbastanza umani.
Credo che si possa affermare senza timore di smentite che grazie al progresso noi umani siamo diventati fossili della storia.
Fonte: www.andreabizzocchi.it
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