martedì 10 agosto 2021

QI del genere umano è calato. Colpa dell’abbandono della Natura

Un articolo del Daily Mail del 2017 sostiene che il QI del genere umano stia calando. 

Il giornale cita il professore in psicologia Richard Lynn all’Università di Ulsten che dice che la nostra intelligenza collettiva è scesa dal 1950 ad oggi di un punto, e se si va a ritroso nel tempo, si vedrà che la differenza di punteggio è più ampia (14 punti dall’epoca vittoriana).

La ragione starebbe nell’abbandono dell’agricoltura a favore dell’urbanizzazione che avrebbe aumentato le malattie, in quanto: non diamo anticorpi al nostro sistema immunitario, non coltiviamo più cibo sano che alimenta correttamente il nostro sistema cerebrale, non abbiamo del mondo una conoscenza completa, ma solo settoriale e mutilata, dove il sapere delle cose naturali lascia il posto al sapere delle cose razionali ...


A dare ragione al professore ci pensano i nostri antenati.

I popoli antichi (greci, romani, tutti i popoli del mondo fino al XIX secolo) vivevano in un connubio perfetto tra Natura e città e attingevano il loro sapere sia dall’una che dall’altra. Sapevano quando stava per arrivare un brutto temporale (senza il meteo delle 17.00), conoscevano ogni pianta e le sue caratteristiche utili all’uomo, sapevano come coltivare in maniera naturale o come trattare gli animali (senza che ci fosse la LAV), sapevano dell’influenza della Luna sul pianeta e dell’esistenza di energie e forze nell’Universo che assorbe la Terra.

Imparavano a memoria qualsiasi cosa (senza l’ausilio del cellulare), anche interi pezzi di opere letterarie per intrattenersi nelle buie serate, non disdegnando di inventarne di nuovi, accrescendo così, attraverso l’esercizio della fantasia, la loro mente. L’arte in tutte le sue forme (figurativa o letteraria) era più complicata di quella contemporanea, con temi che era un lusso comprendere, e vantava illustri personaggi, originali artisti e suggestive personalità.

Chi fece della dissacrazione dell’arte il suo vessillo, facendo precipitare giù dalla torre gli artisti per ottenere un’arte per tutti non aveva bene compreso il significato di qualità, che non è solo garanzia di ottima resa, ma è anche emblema di peculiarità e distinzione da ciò che si presenta prepotentemente universale, un magma senza forma e senza lineamenti, tutelando così l’identità, che non è disgusto, ma ricchezza.

I nostri antenati non osavano, anche se insediati nelle città, dimenticare la Natura, che rammenta da dove proviene l’uomo e di cosa abbia bisogno per sopravvivere. Essi erano consapevoli che la città indicasse il progresso intellettuale dell’uomo, anche esso, sì, parte integrante della sua natura, e fattore importante per la sua evoluzione, ma che non fosse la realtà dominante.

Oggi, dopo la turbo-industrializzazione partita dagli anni ‘50, l’uomo ha sacrificato il suo lato congenito ‘della Natura’ non riconoscendolo nemmeno più, a favore di un intellettualismo imperante – cioè uso esclusivo della razionalità imbevuta di erudizione – esteso a tutti i campi della vita, anche a quelli dove è la Natura a dettare le leggi. E se si pensa che oltre alla mutilazione della conoscenza della Natura, quella erudizione che l’uomo utilizza per capire il mondo è controllata dalle Agenzie Editoriali, di modo che la conoscenza non sia ricerca e sperimentazione ma solo indottrinamento, allora si capisce bene perché i test sul QI del XXI secolo siano allarmanti.


Il nostro tempo non è evoluto, come la maggior parte è indotto a pensare, ma involuto. 

Lo sviluppo cerebrale è in fase finale di atterraggio, sta segnando l’ultimo pezzo della parabola discendente della storia del progresso umano. Un mondo globalizzato e massificato non può essere – per antonomasia – avanzato e “umano”. Deve necessariamente esserci chi gestisce la massa (un corpo immane meccanizzato e automatizzato). E coloro che lo fanno hanno come solo obiettivo il denaro, non lo sviluppo della mente (che porta alla comprensione e alla libertà di scelta consapevole). E questa non è civiltà.

La soluzione? 

Bisognerebbe comprendere il fenomeno e attuare immediate modifiche sulle quotidiane abitudini.
Se non si ha consapevolezza di vivere presso un baratro, si gioca sulla soglia incoscientemente, e un giorno si cadrà. 

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