La Torino-Lione “si farà”? Lo hanno ripetuto Monti e Hollande, prende nota Marco Ponti, aggiungendo però che – di per sé – questo non significa nulla: la formale promessa «è talmente solida, che è stata già fatta un gran numero di volte negli anni passati, senza che sia successo poi molto, soprattutto in termini di soldi veri allocati». Eppure, nonostante il gran fervore ferroviario, pare si sia deciso – intanto – di raddoppiare il tunnel autostradale del Fréjus: non è una contraddizione? Tanto più che i dati ufficiali sul traffico tra Piemonte e Rodano sono in calo costante, una flessione continua per i Tir e addirittura un crollo per i treni: per mancanza di merci da trasportare, l’attuale ferrovia internazionale Torino-Modane che già attraversa la valle di Susa, è utilizzata solo per il 20% della sua capienza. Di che trasporti parlano, gli sponsor delle nuove grandi opere transalpine? Di quali merci, di quale traffico Italia-Francia? ..
Dopo vent’anni, la Torino-Lione resta un oggetto misterioso: prima un Tav per i passeggeri, destinato ad unire Lisbona a Kiev sull’onda del trionfalismo atlantico seguito al crollo dell’Unione Sovietica. Poi una ferrovia-doppione, cioè una linea “ad alta capacità” per le merci, che però non potrebbero correre veloci, tanto meno per 57 chilometri nel ventre delle Alpi. L’alibi europeo del “corridoio 5” nel frattempo è evaporato; alle grandi direttrici utopistiche dell’era dello sviluppo illimitato sono subentrate le reti “Ten-T” dell’epoca della crisi, con segmenti più razionali e a corto raggio. La stessa Torino-Lione, propaganda a parte, è quasi scomparsa dai radar: ormai si parla solo del traforo sotto le Alpi, senza più una nuova linea verso Torino. Si annuncia l’ennesima cattedrale del deserto – meno di 10 miliardi contro i 30 dell’intera tratta – che probabilmente non sarà possibile finanziare. L’unico mini-cantiere aperto, dopo due decenni, è quello
della Maddalena di Chiomonte: solo una “discenderia”, un cunicolo esplorativo geognostico nelle viscere di una montagna notoriamente satura di amianto e di uranio.
I governi di Hollande e di Monti – aggiunge il professor Ponti – “auspicano” che l’Unione europea paghi il 40% degli 8,5 miliardi di euro che costerebbe il tunnel ferroviario. E cioè: 3,5 miliardi, a carico di Bruxelles. Il ministro dello sviluppo, Corrado Passera dichiara: «Non voglio nemmeno pensare che questi soldi non arrivino». Ma i Paesi europei sono 27, ognuno con diversi giocattoli tipo Tav, e il bilancio europeo – osserva Ponti, dalle colonne del “Fatto Quotidiano” – è oggetto di un pesante conflitto che mira a una sua riduzione: ai paesi anglosassoni non piace affatto che i soldi europei vengano spesi in questo modo. Non hanno torto: «Dell’opera non è noto alcun piano finanziario degno di questo nome», sottolinea Ponti. «È noto invece che gli utenti sono così ansiosi di usare la ferrovia che, se devono pagare anche una piccola quota dei costi di investimento, scappano come lepri – al contrario degli utenti delle autostrade. Ma i treni fanno bene all’ambiente, giusto? Quindi il dettaglio che debbano pagare tutto le casse pubbliche non è considerato un problema».
C’è anche un altro particolare che forse Hollande non ha potuto esplicitare: le efficientissime e sussidiatissime ferrovie francesi, continua Ponti, hanno perso il 40% del loro traffico merci nell’ultimo decennio, e la crisi attuale c’entra poco. In ogni caso, «non è certo un buon auspicio per il traffico prevedibile sulla linea Tav». Il sistema caro ai francesi della cosiddetta “autostrada viaggiante” (camion interi caricati sul treno), che poi è una delle motivazioni dell’opera in questione, «si è dimostrato un disastro economico». Non era difficile prevederlo: togliere molti camion dalla strada e spostarli sulla ferrovia? «Questo risultato è altamente ipotetico, sia per lo scarso interesse delle imprese a usare il treno, sia perché il traffico totale dei camion su quella direttrice è modesto, e non in crescita». Inoltre, aggiunge Ponti, «i benefici ambientali riguarderanno aree non certo densamente popolate». E per finire, «le merci che arriveranno in treno a destinazione dovranno poi rispostarsi sui camion e il danno ambientale nelle aree abitate sarà comunque molto più alto».
Perché dunque ritenere ostinatamente “prioritario” questo progetto, anziché invece accelerare il progresso tecnico sui veicoli? «Un camion vecchio inquina dieci volte più di un camion nuovo, e accelerare il rinnovo delle flotte costa molto». I danni ambientali del nuovo tunnel, rivela Ponti, sono invece certi: non quelli a valle (il progetto attuale prevede il solo tunnel di base, ed è quindi molto meno impattante del precedente da 23 miliardi) ma le ricerche recenti, soprattutto svedesi, «dimostrano che i cantieri delle opere ferroviarie generano emissioni di gas serra molto superiori a quanto si pensasse». Danni ambientali certi e rilevanti, dunque, a fronte di benefici ambientali dubbi. «Ultima perla: il secondo tunnel autostradale», cioè il raddoppio del Fréjus, «non dovrà fare la concorrenza al treno e perciò avrà tariffe tali da impedire che il traffico aumenti: dunque servirà pochissimo, se mai riusciranno a mettere in pratica questa stravagante idea». I costi dell’opera, anche grazie alle molte obiezioni tecniche fatte, sono stati parecchio ridotti. Non altrettanto i tempi: almeno dieci anni. «Il rischio maggiore, molto realistico date le esperienze italiane precedenti nel settore, è che si incominci a costruirlo, magari sotto elezioni. Poi – conclude Ponti – i soldi finiranno e l’opera si trascinerà per ere geologiche. Senza che ovviamente alcuno risponda dell’ulteriore spreco di denaro pubblico che questo comporterebbe».
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I governi di Hollande e di Monti – aggiunge il professor Ponti – “auspicano” che l’Unione europea paghi il 40% degli 8,5 miliardi di euro che costerebbe il tunnel ferroviario. E cioè: 3,5 miliardi, a carico di Bruxelles. Il ministro dello sviluppo, Corrado Passera dichiara: «Non voglio nemmeno pensare che questi soldi non arrivino». Ma i Paesi europei sono 27, ognuno con diversi giocattoli tipo Tav, e il bilancio europeo – osserva Ponti, dalle colonne del “Fatto Quotidiano” – è oggetto di un pesante conflitto che mira a una sua riduzione: ai paesi anglosassoni non piace affatto che i soldi europei vengano spesi in questo modo. Non hanno torto: «Dell’opera non è noto alcun piano finanziario degno di questo nome», sottolinea Ponti. «È noto invece che gli utenti sono così ansiosi di usare la ferrovia che, se devono pagare anche una piccola quota dei costi di investimento, scappano come lepri – al contrario degli utenti delle autostrade. Ma i treni fanno bene all’ambiente, giusto? Quindi il dettaglio che debbano pagare tutto le casse pubbliche non è considerato un problema».
C’è anche un altro particolare che forse Hollande non ha potuto esplicitare: le efficientissime e sussidiatissime ferrovie francesi, continua Ponti, hanno perso il 40% del loro traffico merci nell’ultimo decennio, e la crisi attuale c’entra poco. In ogni caso, «non è certo un buon auspicio per il traffico prevedibile sulla linea Tav». Il sistema caro ai francesi della cosiddetta “autostrada viaggiante” (camion interi caricati sul treno), che poi è una delle motivazioni dell’opera in questione, «si è dimostrato un disastro economico». Non era difficile prevederlo: togliere molti camion dalla strada e spostarli sulla ferrovia? «Questo risultato è altamente ipotetico, sia per lo scarso interesse delle imprese a usare il treno, sia perché il traffico totale dei camion su quella direttrice è modesto, e non in crescita». Inoltre, aggiunge Ponti, «i benefici ambientali riguarderanno aree non certo densamente popolate». E per finire, «le merci che arriveranno in treno a destinazione dovranno poi rispostarsi sui camion e il danno ambientale nelle aree abitate sarà comunque molto più alto».
Perché dunque ritenere ostinatamente “prioritario” questo progetto, anziché invece accelerare il progresso tecnico sui veicoli? «Un camion vecchio inquina dieci volte più di un camion nuovo, e accelerare il rinnovo delle flotte costa molto». I danni ambientali del nuovo tunnel, rivela Ponti, sono invece certi: non quelli a valle (il progetto attuale prevede il solo tunnel di base, ed è quindi molto meno impattante del precedente da 23 miliardi) ma le ricerche recenti, soprattutto svedesi, «dimostrano che i cantieri delle opere ferroviarie generano emissioni di gas serra molto superiori a quanto si pensasse». Danni ambientali certi e rilevanti, dunque, a fronte di benefici ambientali dubbi. «Ultima perla: il secondo tunnel autostradale», cioè il raddoppio del Fréjus, «non dovrà fare la concorrenza al treno e perciò avrà tariffe tali da impedire che il traffico aumenti: dunque servirà pochissimo, se mai riusciranno a mettere in pratica questa stravagante idea». I costi dell’opera, anche grazie alle molte obiezioni tecniche fatte, sono stati parecchio ridotti. Non altrettanto i tempi: almeno dieci anni. «Il rischio maggiore, molto realistico date le esperienze italiane precedenti nel settore, è che si incominci a costruirlo, magari sotto elezioni. Poi – conclude Ponti – i soldi finiranno e l’opera si trascinerà per ere geologiche. Senza che ovviamente alcuno risponda dell’ulteriore spreco di denaro pubblico che questo comporterebbe».
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