È riconosciuta come buona abitudine fare una doccia al giorno, spesso la mattina appena alzati e prima di uscire di casa.
Storici e archeologi hanno dimostrato quanto il nostro stile di vita sia in qualche modo simile a quello degli antichi romani. Eppure, dal punto di vista dell’igiene, le abitudini erano molto diverse.
No, non vuol dire che fossero sporchi. Anzi, tra i popoli dell’antichità, insieme ai greci, i romani erano famosi per la cura della persona e l’organizzazione meticolosa per non riempire le città di urina e sporcizia.
Roma, come le altre città dell’Impero, era piena di bagni pubblici, dotati di acqua corrente, dove si entrava pagando un obolo, ed erano adatti a qualsiasi tipo di bisogno fisiologico. Il nome è sopravvissuto fino ai giorni nostri, i “vespasiani”, dal nome dell’imperatore che li istituì, Vespasiano appunto.
Vi erano anche delle giare poste agli angoli delle strade che finivano svuotate dai proprietari delle tintorie: l’urina infatti era utilizzata per tingere i tessuti e veniva così riciclata, lasciando le strade libere dal suo olezzo ...
Come si svolgeva la giornata di un romano?
I romani si alzavano molto presto, prima che spuntasse il sole, per poter sfruttare le ore di luce in mancanza dell’illuminazione elettrica.
I romani si alzavano molto presto, prima che spuntasse il sole, per poter sfruttare le ore di luce in mancanza dell’illuminazione elettrica.
Facevano eccezione intellettuali e filosofi, che amavano passare del tempo tra le coperte intenti nelle loro elucubrazioni. O almeno, così raccontavano.
Nelle case più ricche marito e moglie dormivano in stanza separate, mentre nelle case più povere si dormiva tutti insieme, se non nello stesso letto, almeno nella stessa stanza.
Il risveglio era molto veloce perché i romani avevano l’abitudine di andare a letto senza spogliarsi, soprattutto durante i freddi mesi invernali. Subito dopo aver indossato i calzari, la preoccupazione principale era quella di lavarsi i denti con il dentifricium, una pasta a base di bicarbonato di sodio.
Grazie ai suoi scritti sappiamo che Plinio il Giovane aveva dei gusti particolari sul sapore del dentifricium, che preparava lui stesso: tra gli ingredienti più amati troviamo la cenere di testa di lepre, la cenere di denti d’asina e la pietra pomice.
I romani non si preoccupavano dell’igiene personale, non tanto per incuria, quanto perché era un vero e proprio rito della vita sociale dell’epoca.
Prima dei pasti nei locali cittadini, i principali luoghi di incontro, oltre ai circhi, erano le terme.
Di questi edifici ormai non abbiamo che dei resti, ma nell’antichità erano di tutte le misure, a seconda della città e dei servizi offerti, ed era molto facile accedervi: l’ingresso costava un asse (moneta in uso all’epoca) ed era gratuito per bambini, soldati e schiavi.
Gli archeologi hanno dimostrato che i romani soffrivano di diversi problemi di udito, proprio a causa dei repentini sbalzi di temperatura dovuti al passaggio da caldo e freddo e viceversa.
Esistevano anche le natationes, enormi vasche adibite per il nuoto: peccato, però, che i romani avessero una concezione del nuoto molto diversa dalla nostra.
All’epoca, infatti, il nuoto non era uno sport codificato ed erano pochissime le persone che sapevano nuotare e abitavano, com’è facile intuire, vicino le coste o i laghi.
Come già detto in precedenza, l’ingresso alle terme era buon mercato, ma, come diremmo oggi, non tutto era incluso nel prezzo, e sicuramente non lo erano il guardaroba e i massaggi.
Il primo era necessario per poter lasciare al sicuro gli oggetti di valore o semplicemente i vestiti, altrimenti facili preda di ladri e sciacalli, mentre il secondo era un lusso che in pochi potevano permettersi, anche per il costo dei preziosi oli che provenivano dall’Oriente.
Le terme erano molto frequentate, ma avendo avuto la possibilità di visitarle di persona, avremmo notato subito la presenza massiccia di uomini, soprattutto fino a un certo ceto sociale.
Le persone più ricche godevano del privilegio di avere delle terme private in casa; dunque, non avevano la necessità di recarsi a quelle pubbliche.
Per quanto riguarda le donne, invece, la situazione era ben diversa: per cominciare, le donne uscivano molto meno degli uomini e solo le patrizie potevano godere di alcuni privilegi. Inoltre, data l’estrazione sociale, era facile che disponessero di terme private in casa.
Per le altre donne, a meno che non si trattasse di schiave o delle più basse classi sociali, la soluzione era la vasca per lavarsi dentro casa, oppure l’uso dei catini.
Possiamo dunque dire che abbiamo ereditato l’amore per le terme dai romani, ma nel tempo abbiamo maturato un maggiore senso della privacy, soprattutto grazie alle innovazioni tecnologiche che ci permettono di avere l’acqua corrente in casa.
C’è anche un altro aspetto che ci avvicina molto ai nostri antenati, riguarda il taglio dei capelli. Mentre oggi copiamo i tagli più chic dai VIP, nell’antica Roma erano i consoli prima e gli imperatori poi, insieme alle loro consorti, a dettare quale fosse il taglio più alla moda, e anche lo stile della barba.
Ciò che colpisce gli archeologi è che esistono rasoi in bronzo risalenti al neolitico, ma quasi nessun rasoio di epoca romana, perché fabbricati in ferro, quindi distrutti dalla ruggine.
Da quei pochi oggetti che sono sopravvissuti al passare del tempo si nota che i rasoi erano pensati per essere usati su altre persone e non su sé stessi. Esistevano delle figure apposite, i tonsores, cioè gli antenati dei moderni barbieri.
Le persone più ricche potevano permettersi un tonsor personale, mentre la gran parte della popolazione affollava le botteghe in città, botteghe che si riempivano sin dalle prime luci dell’alba, diventando così luogo di ritrovo e di “gossip”.
Grazie all’intensa mole di lavoro, molti tonsores si arricchirono nel corso degli anni, come ci raccontano Marziale e Giovenale. Le botteghe erano organizzate in modo rudimentale, ma allo stesso tempo tradizionale: in un’enorme stanza le panche per attendere il proprio turno erano addossate contro le pareti, mentre al centro si trovava una seduta singola, dove il tonsor lavorava sul cliente di turno.
Come già detto, erano gli imperatori a dettare la moda, e già allora c’erano coloro che amavano curare il loro aspetto, come Nerone, che oggi definiremmo un dandy, e coloro che invece erano molto più sbrigativi e all’apparenza trasandati, come Augusto, che non amavano perder tempo ad acconciare la chioma.
L’unico vezzo che si concedevano gli uomini romani, soprattutto i giovani modaioli e gli anziani che volvano nascondere le stempiature, era quello di acconciare i capelli ai lati del viso in piccoli boccoli con un ferro incandescente, chiamato calamistrum, come dimostrano le statue e le monete che ci sono pervenute dopo secoli di oblio.
Esattamente come per i capelli, erano sempre loro, gli imperatori, a dettare legge su come portare la barba.
Il taglio della barba, più all’epoca dei romani che ai nostri giorni, era un vero e proprio rito di passaggio per i giovani romani che entravano nel mondo adulto.
Durante la repubblica e nei primi anni dell’impero gli uomini dovevano radersi: gli unici che potevano sottrarsi a questo obbligo erano i soldati e i filosofi. Anche gli schiavi dovevano radersi: i padroni più benevoli li mandavano da un tonsor professionista, mentre altri, meno magnanimi, li facevano radere tra di loro.
La rasatura, all’epoca, avveniva in modo molto diverso rispetto ad oggi: il viso veniva appena tamponato con acqua, e non esistevano schiume da barba, dopobarba, o rasoi affilati. Il rasoio veniva passato sulla nuda pelle, e non sempre il tonsor aveva una mano leggera; c’erano però anche quelli più attenti, come ci racconta Marziale in un suo epitaffio di un tonsor defunto:
“Per umana e leggera tu gli sia
Terra, e lo devi, più leggera
Della sua mano d’artista non sarai”.
Marziale ci fornisce un vero e proprio ventaglio di scelta sui tonsores: mano più pesante o più leggera, più concentrato sul lavoro o sui pettegolezzi dei clienti, se lenti o celeri nel loro lavoro:
“…Le stimmate che io porto sul mento
Quante un grugno ne ostenta
Di pugile in pensione, non mia moglie
Me l’ha fatte, folle di furore,
con le sue unghie, ma il braccio
scellerato d’Antioco e il suo ferraccio…”
Come già detto, gli unici esenti da questo obbligo erano i filosofi e i soldati: quando divenne imperatore Adriano, ufficiale militare e appartenente alla dinastia degli imperatori d’adozione, e si fece crescere la barba per nascondere una brutta cicatrice sul viso, la popolazione maschile tirò un sospiro di sollievo, facendosi finalmente crescere la barba e sottraendosi alla tortura della rasatura.
Tutt’altra storia era invece il rituale di bellezza delle donne. La routine era diversa tra le donne del popolo e le matrone dell’aristocrazia, e conosciamo nel dettaglio solo le abitudini di queste ultime. Le donne frequentavano molto meno le terme rispetto agli uomini e, certamente, chi aveva la possibilità di andare alle terme private evitava quelle pubbliche.
Le donne si lavavano, più o meno sommariamente a seconda dell’estrazione sociale, appena alzate dal letto, prima di indossare l’amictus. Poi il rituale era uguale a quello che si fa ancora oggi: qualcuno in gergo lo chiamerebbe trucco e parrucco.
In epoca repubblicana l’acconciatura era molto semplice e sbrigativa: i capelli venivano divisi con una riga al centro e poi legati dietro alla nuca, oppure acconciati in un cercine; al contrario, in epoca imperiale le acconciature erano molto più elaborate, come mostrano le varie raffigurazioni di Messalina per esempio.
Come gli uomini dovevano sottoporsi agli arnesi dei tonsores, allo stesso modo anche le donne dovevano pazientare mentre le ornatrices, le estetiste dell’epoca, cercavano di ricreare le acconciature più strane, con il terrore di essere punite se il risultato non avesse soddisfatto la cliente, o peggio la padrona.
Come ci racconta Giovenale, le acconciature cominciarono a svilupparsi vero l’alto, con il risultato che alcune donne, particolarmente basse, avessero sulla testa un’acconciatura più alta di loro (ovviamente il poeta esagerava le sue parole).
Le ornatrices lavoravano meglio con le clienti più anziane: quando i capelli sulla testa diventavano più radi a causa dell’età, si ricorreva alle parrucche; non era difficile, né tantomeno improbabile, incontrare una matrona un giorno con i capelli neri corvini e un altro con i capelli rosso fuoco.
Un’altra tappa importante nella toeletta delle matrone era il trucco: naturalmente non c’era la varietà di cosmetici che abbiamo a disposizione oggi, ma ciò non frenava le matrone più vanitose che tenevano al proprio aspetto.
Com’era fino al periodo della belle époque, il pallore veniva considerato una cosa da nobili perché implicava una vita agiata lontana dal duro lavoro nei campi (ricordiamo che l’abbronzatura venne sdoganata alla fine degli anni Venti, quando Coco Chanel apparì abbronzata a un evento pubblico a Parigi dopo una vacanza sulla Costa Azzurra).
Le matrone si ricoprivano il volto e le braccia di polvere bianca, l’antenata della moderna cipria, ricavata dal gesso o dalla bacca, nome comune del carbonato basico di piombo; sulle labbra e sulle gote si applicavano i resti della lavorazione del vino oppure la polvere ocra, mentre la cenere contornava gli occhi e colorava le ciglia.
Per concludere questo viaggio nelle abitudini romane, possiamo affermare che, nonostante il passare dei secoli e il progresso, molte delle abitudini dei romani sono sopravvissute fino ai nostri giorni, anche se non proprio identiche.
L’affluenza alle terme è rimasta viva soprattutto nei paesi nordici, dove sono ancora luoghi di incontro e socializzazione, mentre per i popoli “meridionali” è più normale un affollamento simile dopo un allenamento in palestra o in piscina.
Eppure, fa strano riflettere che gesti che a noi sembrano alquanto moderni abbiano migliaia di anni di storia.
Fonte: www.vanillamagazine.it
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