martedì 19 luglio 2022

«Un solo frammento di Roswell svelerebbe tutta la verità sugli UFO»

 
L’ anniversario è passato un po’ in sordina: qualche articolo commemorativo, un documentario, un festival con concerti, conferenze, souvenir e folklore ... 

di Sabrina Pieragostini

Così il mondo ha celebrato il 75esimo anniversario dell’incidente UFO forse più famoso in assoluto- di certo il più citato anche a livello cinematografico: il caso Roswell. Un episodio a lungo dimenticato, riemerso negli Anni Settanta grazie alle indagini di alcuni ricercatori indipendenti e divenuto da quel momento in poi quasi un simbolo del cover-up di Stato. 

Cosa è precipitato realmente in questo remoto angolo degli Stati Uniti nel luglio 1947? Un velivolo proveniente da altri mondi o un pallone sonda top secret? Un mistero forse destinato a non essere mai risolto.

Giornali e tv, nel ripercorrere questo celebre incidente, hanno sposato la tesi ufficiale, quella del programma militare segreto. A precipitare in un ranch del New Mexico sarebbe stato un pallone sonda di alta quota dotato di microfono utilizzato tra il 1947 e il 1949 nel corso del Progetto Mogul per rilevare le onde sonore generate da eventuali test atomici compiuti dall’Unione Sovietica ...


Questa è stata la spiegazione fornita nel 1995 dall’USAF- l’Aeronautica degli Stati Uniti- in un report intitolato “The Roswell Report: Fact vs Fiction in the New Mexico Desert”, seguito due anni dopo da un rapporto definitivo, con il quale il Dipartimento della Difesa considerava il caso chiuso, intitolato appunto “The Roswell Report,  Case Closed”.

Secondo la versione dell’Air Force, all’epoca l’esercito aveva preferito parlare di dischi volanti piuttosto che rivelare l’esistenza di quel progetto classificato, ma poi davanti all’eccessivo clamore riscosso dalla notizia optò per una mezza bugia, ossia che era caduto un normale pallone meteo.

Questa marcia indietro avrebbe innescato una serie di fraintendimenti e indotto i soliti complottisti a creare quella “fiction” alla quale l’USAF ha contrapposto i suoi fatti: il mito dell’UFO caduto, la favola dell’equipaggio alieno senza vita, l’insabbiamento ad opera delle autorità militari sarebbero pure invenzioni. 
Tutto appare invece perfettamente spiegabile nel report dell’Aeronautica Militare, anche l’affermazione di vari testimoni oculari del tempo che videro dei corpi avvolti nei sacchi mortuari. In realtà, non erano altro che i manichini da crash test usati nel Progetto Mogul e sistemati all’interno di sacchi isolanti per proteggere le apparecchiature termosensibili di cui erano dotati.
Insomma, tutto torna. O forse no. 

Non tornano i ricordi di chi aveva vissuto quei giorni bizzarri, quando l’intera contea venne invasa da mezzi militari e soldati che per giorni passarono al setaccio il campo dell’incidente. Per cercare cosa? 

Non tornano le minacce e le intimidazioni denunciate da vari residenti, affinché non parlassero di quanto accaduto. A che scopo spaventarli a morte? 

Non torna neppure il racconto dell’addetto ai servizi funebri, al quale dopo lo schianto fu chiesto di fornire all’esercito alcune bare di misura piccola, come per bambini. Chi ci dovevano trasportare chiusi lì dentro, forse i manichini?


Senza contare poi le testimonianze giurate (dette “affidavit”) e le ammissioni fatte a distanza di decenni da alcuni dei protagonisti di questa assurda vicenda. A partire da Walter Haut: nel 1947 l’allora tenente prestava servizio nella base di Roswell come addetto stampa. Fu lui a scrivere quel famoso comunicato che l’8 luglio fece saltare sulla sedia parecchi generali: in sostanza, nel testo si diceva che il 509esimo Bomb Group aveva rinvenuto un UFO precipitato e che il disco volante era in possesso dell’Esercito degli Stati Uniti.  
Come sappiamo, nel giro di poche ore la notizia venne completamente smentita e l’errore fu attribuito all’autore del comunicato. 

L’ufficiale per anni, anche con i familiari più stretti, mantenne il totale silenzio su quell’episodio. Ma ormai anziano e malato, consapevole che molti dei testimoni oculari se ne stavano andando e desideroso di lasciare ai posteri la verità su quanto accaduto, Walter Haut decise di mettere per iscritto i suoi ricordi in un affidavit che doveva essere reso pubblico solo dopo la sua morte.

Dalle sue parole, emerge un quadro ben diverso da quello dipinto dall’USAF: furono due i velivoli misteriosi precipitati e di uno l’ex tenente fu diretto testimone, perché lo vide in un hangar della base e vide anche le creature che erano all’interno. 


In una intervista di alcuni anni fa, la figlia Julie Shuster raccontava: «Papà disse di aver visto i corpi, l’astronave e anche molto altro. Gli domandai quanto fosse grande l’UFO e lui mi rispose che aveva un diametro di 25 piedi (circa 7 metri).» Aveva sempre taciuto perché aveva promesso di non dire nulla finché fosse vivo al suo comandante, il colonnello Blanchard, al quale era molto affezionato. 

Promessa mantenuta, perché la testimonianza giurata di Haut venne resa nota solo nel 2007, dopo la sua scomparsa, nel libro scritto su Roswell da Don Schmitt insieme a Thomas Carey che ricorda: «Descrisse l’astronave delle dimensioni di un Maggiolino Volkswagen e definì i corpi simili per altezza a bambini».


Tra i vari testimoni intervistati dai due ricercatori c’era anche un altro militare che rimase talmente scioccato dopo aver visto quei corpi da avere avuto per molti anni gli incubi notturni. «La moglie mi disse che per 30 anni non avevano potuto dormire nella stessa camera da letto perché nel cuore della notte iniziava a urlare, aveva dei flash back, rivedeva quei volti, quei cadaveri», ha affermato Don Schmitt. Per molti testimoni oculari, è stato un trauma dal quale non si sono mai ripresi. Eppure molti di loro avevano combattuto nella Seconda Guerra Mondiale e ne avevano viste di atrocità. 

Ricordava ancora Julie Shuster, originaria di Roswell: «Conoscevo una signora, che era stata coinvolta insieme alla sorella e al marito in quell’incidente e non voleva raccontarmi niente. Un giorno mi disse: “Te lo dirò una volta per tutte, non fare mai più domande del genere a me e a mia sorella, mai, perché ho promesso sul letto di morte di mio marito che non avremmo mai rivelato quello che lui ci ha raccontato”. Ma tu prometti a tuo marito morente che non parlerai di un pallone sonda?»

Un altro testimone centrale della vicenda fu poi un altro militare, colui che per primo raggiunse il luogo dello schianto e insieme a un collega iniziò a raccogliere il materiale disseminato in un ampio raggio: il maggiore Jesse Marcel, capo dell’Intelligence militare del Roswell Army Air Field nel 1947. 

Storica la foto che lo ritrae mentre mostra alla stampa dei brandelli di carta stagnola. 

Ma anche lui, a distanza di decenni, ammise che non erano affatto quelli i detriti che aveva trovato nel ranch. 

Non solo, confessò che- rompendo ogni protocollo- quella sera era tornato a casa portando con sé un po’ dei detriti raccolti per farli vedere alla moglie e al figlio, un bambino al quale rimasero impressi per sempre nella memoria dei fogli sottilissimi ma indistruttibili, che se venivano piegati riprendevano subito alla forma originaria, e  sui quali apparivano delle lettere strane, simili a geroglifici. 

Una volta nonno, ai nipotini Jesse Marcel aveva raccontato anche di aver visto nel campo dello schianto del materiale di aspetto vetroso tipo fibre ottiche e che c’erano voluti 5 o 6 camion da due tonnellate e mezzo per portare tutti i rottami alla base.  Un po’ troppo anche per un pallone Mogul.

Ma è proprio li, tra quei frammenti, che si nasconde la chiave di volta dell’intera vicenda. Basterebbe trovarne uno, piccolissimo, da analizzare, per costringere il governo a dire tutta la verità. 

Lo pensa Nick Pope, l’ex funzionario del Ministero della Difesa di Sua Maestà incaricato di indagare proprio sugli UFO e ora ricercatissimo esperto del settore. In occasione del 75esimo anniversario dell’Incidente di Roswell , ha partecipato come relatore al convegno che si è articolato per tre giorni nella cittadina del New Mexico. «Roswell è letteralmente il ground zero del mistero della moderna ufologia. Se fermi uno per strada che non ha un particolare interesse per gli UFO, c’è una buona probabilità che abbia sentito comunque parlare di Roswell», ha detto Pope al quotidiano britannico The Sun.

«Ma 75 anni di indagini non ci hanno fatto avvicinare ad alcuna risposta. Sono un po’ in dubbio, visto che un incidente UFO è come un’indagine di polizia: le prime 48 ore sono decisive. 
Se non risolvi il caso nelle prime 48 ore, le tue possibilità di farlo diminuiscono rapidamente. Questa è la mia opinione pessimistica. 
Quella ottimistica è che ogni tanto i poliziotti riaprono un caso archiviato. Lo approfondiscono, qualche informazione spunta fuori- un nuovo testimone, un nuovo documento, una nuova foto. 
Oppure c’è una nuova tecnica forense per il DNA e all’improvviso il caso rimasto irrisolto per decenni ha una soluzione. Magari accadrà qualcosa del genere anche per Roswell.»

Per il famigerato crash, la novità potrebbe essere proprio un minuscolo pezzettino di quei rottami, una scheggia sfuggita ai controlli capillari. Se uscisse fuori adesso, avremmo la tecnologia per capire se è stata prodotta sulla Terra o se ha viaggiato nel cosmo. Un piccolissimo frammento farebbe saltare tutto. 
«Sia scettici che credenti concordano sul fatto che qualcosa è precipitato e quindi ci sono dei rottami. La gente ama prendersi dei souvenir e magari andando indietro al 1947 uno di quelli mandati li per ripulire tutto potrebbe essersi infilato un pezzettino di quel materiale in tasca e il nipote di quella persona potrebbe conservarlo in una scatoletta oppure in soffitta». Una scoperta casuale avrebbe effetti eclatanti. 
Continua infatti Nick Pope: «Per la scienza, se avessimo tra le mani un singolo frammento, sarebbe immediatamente possibile stabilire se è terrestre o alieno perché ci sono vari esami che francamente qualsiasi studente di chimica al liceo potrebbe fare e che ci direbbe se quella cosa è stata sottoposta ai raggi cosmici nello spazio profondo oppure no».

Un esperimento del genere, secondo l’ex funzionario britannico, costringerebbe il governo di Washington a rivelare ogni altro segreto ancora celato sugli UFO: con un effetto domino, se si accertasse l’origine extraterrestre dell’oggetto caduto in New Mexico 75 anni fa, cadrebbero uno dopo l’altro tutti gli altri misteri che avvolgono decine, centinaia di avvistamenti.
«Potrebbe indurre alla Disclosure, alla rivelazione dei segreti? 
Certo che si, perché o è una cosa o l’altra. 

Se esiste un frammento di quei rottami, da qualche parte in uno magazzino, in un hangar, dovunque sia, lo potresti analizzare a livello isotopico e stabilire se è stato nello spazio oppure no. E mostrerebbe anche se è qualcosa di straordinario e non di questa terra oppure no. Questo significherebbe la fine dei giochi.  Quindi ritengo che ci sia ancora molto lavoro da fare a questo proposito». 
L’indagine non si ferma, insomma, in attesa che il cold case venga finalmente risolto. Come nelle migliori serie poliziesche americane…



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