sabato 18 dicembre 2021

Il mito della carne coltivata in laboratorio: una review

Abstract

Per soddisfare la crescente domanda di cibo da parte della popolazione umana in continuo aumento, la carne coltivata (chiamata anche carne in vitro, carne artificiale o carne coltivata in laboratorio) viene presentata dai suoi sostenitori come una buona alternativa per i consumatori che vogliono essere più responsabili ma non vogliono modificare la loro dieta. 

Questa review vuole aggiornare le conoscenze attuali su questo argomento, concentrandosi su pubblicazioni recenti e su aspetti non ben descritti in precedenza. La conclusione principale è che non sono stati osservati grandi progressi nonostante le molte nuove pubblicazioni. Infatti, in termini di questioni tecniche, è ancora necessaria la ricerca per ottimizzare la metodica di coltivazione cellulare. 

Inoltre, è quasi impossibile riprodurre la diversità delle carni provenienti da varie specie, razze e i differenti tagli.

Sebbene i benefici non siano ancora noti, sono stati ipotizzati quelli potenziali in termini di salute e gli svantaggi della carne coltivata. 

A differenza della carne convenzionale, le cellule muscolari sviluppate in coltura possono essere più sicure, non avendo organi digestivi adiacenti. D’altra parte, a causa di questo elevato livello di moltiplicazione cellulare, è probabile una certa disregolazione come succede per le cellule tumorali. Allo stesso modo, non è ancora chiara la regolazione della sua composizione nutrizionale, soprattutto per quanto riguarda i micronutrienti ed il ferro ...

 


In termini di aspetti ambientali, i potenziali vantaggi della carne coltivata per quanto concerne le emissioni di gas serra sono oggetto di controversie, anche se verrà utilizzata meno terra rispetto a quanta ne serve per l’allevamento del bestiame, in particolare per quello dei ruminanti. 

Tuttavia, è necessario tenere in considerazione più criteri per effettuare un confronto con l’attuale produzione di carne. La carne coltivata dovrà competere con altri sostituti della carne, in particolare con le alternative di origine vegetale. 
L’accettazione da parte dei consumatori verrà fortemente influenzata da molti fattori e sembrerebbe che i consumatori non gradiscano il cibo non di origine naturale. Eticamente, la carne coltivata mira ad utilizzare un numero notevolmente inferiore di animali rispetto all’allevamento convenzionale. 

Tuttavia, alcuni animali dovranno essere comunque allevati per poter raccogliere le cellule per la produzione di carne in vitro. Infine, in questa review è stata discussa la posizione incerta della carne coltivata dal punto di vista religioso. In effetti, le autorità religiose stanno ancora discutendo la questione se la carne in vitro sia Kosher o Halal (cioè, conforme alle leggi alimentari ebraiche o islamiche).


Introduzione – Contesto dell’allevamento animale oggi

La popolazione mondiale, 7.3 miliardi ad oggi, dovrebbe superare i 9 miliardi entro il 2050. La Food and Agricolture Organization (FAO) ha previsto che nel 2050 sarà necessario il 70% in più di cibo per soddisfare la domanda della popolazione in crescita, cosa che appare come un grande sfida a causa delle risorse limitate e della scarsità dei terreni coltivabili. Anche se il consumo di carne sta diminuendo nei paesi sviluppati, il suo consumo globale è in aumento perché, in linea generale, i consumatori non sono disposti a ridurre il consumo di carne, in particolare nei paesi in via di sviluppo come Cina, India e Russia (1). Queste popolazioni che appartengono sempre di più della classe media, cercano prodotti maggiormente di lusso, come carne o altri prodotti di origine animale (ad es. formaggio, latticini). I sistemi zootecnici contribuiranno a fronteggiare il problema della sicurezza alimentare e nutrizionale nel mondo (2). 

L’allevamento di animali deve produrre maggiori quantità di carne, latte e uova di alta qualità e a prezzi accessibili, attraverso sistemi di produzione che siano rispettosi dell’ambiente, socialmente responsabili ed economicamente sostenibili (3). Nonostante l’ampia gamma di servizi economici, ambientali, culturali e sociali a livello locale, regionale e globale forniti dall’allevamento (4), ad oggi una percentuale significativa di specie zootecniche viene allevato secondo il modello dell’allevamento intensivo. Nonostante un contributo inferiore alla produzione di gas serra (GHG) e all’utilizzo di acqua rispetto all’allevamento estensivo, l’allevamento intensivo si concentra principalmente sul rendimento (ovvero sulla quantità di latte o di carne prodotta) piuttosto che su altri servizi ed effetti come l’interazione con l’ambiente, il cambiamento climatico, il minor utilizzo di antibiotici, il benessere animale o la sostenibilità (5-8). 

Di conseguenza, si stanno sviluppando modi più efficienti di produzione delle proteine per sostenere la crescita della popolazione mondiale, nel rispetto delle sfide odierne, come le questioni ambientali e il benessere degli animali (9). 
Tra le varie soluzioni, compare la carne coltivata che viene presentata dai suoi sostenitori come un’alternativa sostenibile per i consumatori che vogliono essere più responsabili ma che non desiderano modificare la composizione della loro dieta (10-13). La storia della carne coltivata è stata illustrata da Hamdan et al. (14), e un’analisi bibliometrica delle pubblicazioni su questo argomento è stata effettuata da Fernandes et al. (15). 

Infatti, a partire dalla prima pubblicazione sulla carne coltivata del 2008, il numero delle pubblicazioni è aumentato notevolmente (89% del totale) dopo il 2013. Nell’agosto dello stesso anno in un programma televisivo è stato preparato e degustato il primo hamburger realizzato con carne coltivata in laboratorio (16).

La start-up israeliana Future Meat Technologies (FMT), ha da poco inaugurato nella città di Rehovot il primo stabilimento al mondo dedicato interamente alla produzione della “clean meat” su larga scala.

La produzione di carne coltivata

Pro e contro del processo di coltivazione

L’obiettivo di questo processo è quello di ricreare la complessa struttura dei muscoli degli animali partendo da poche cellule. Ad un animale vivo viene effettuata una biopsia. Questo frammento di muscolo viene sezionato per liberare le cellule staminali, che hanno la capacità di proliferare ma che possono anche trasformarsi in tipologie differenti di cellule, come le cellule muscolari e le cellule adipose (16). 
Le cellule inizieranno a dividersi dopo essere state inserite in un appropriato terreno di coltura, che fornirà nutrienti, ormoni e fattori di crescita. 

Sappiamo che miglior terreno di coltura è quello contenete siero fetale bovino (FBS), un siero ricavato dal sangue di un vitello morto, che potrebbe essere un fattore limitante e non accettabile per vegetariani o vegani. Possono essere coltivate più di un trilione di cellule e queste cellule si uniscono naturalmente per formare miotubi non più lunghi di 0.3 mm; i miotubi vengono quindi inseriti in un anello e fatti crescere fino a formare un piccolo pezzetto di tessuto muscolare come descritto in diverse review (17, 18). 

Questo pezzetto di muscolo può moltiplicarsi fino a formare più di un trilione di fibre (13). Queste fibre sono attaccate ad uno scaffold simile ad una spugna che le inonda di sostanze nutritive e le allunga meccanicamente, “esercitando” le cellule muscolari ad aumentare le loro dimensioni e il loro contenuto proteico (17, 18). Secondo questo processo sarà necessario un numero inferiore di animali per produrre enormi quantità di carne grazie alla proliferazione cellulare; ciò eviterà l’uccisione di troppi animali ma, potenzialmente, potrà voler dire l’uccisione di un numero maggiore di vitelli se viene utilizzato ancora l’FBS. Nel corso di questo processo, le cellule vengono mantenute in un ambiente controllato che simula la temperatura corporea di una vacca, per accelerare lo sviluppo della carne coltivata in laboratorio (17, 18). 

Uno dei problemi iniziali che caratterizzano questa tipologia di coltura è rappresentato dal siero utilizzato, poiché la carne in vitro mira all’eliminare la macellazione. Quindi è un controsenso utilizzare un terreno ricavato dal sangue di vitelli morti. Inoltre, questo siero è costoso ed incide in larga misura sul costo di produzione della carne. Uno degli obiettivi principali delle start-up di laboratorio (circa 25-30 al momento della stesura di questo documento) sparse in tutto il mondo che lavorano sulla carne coltivata, è quello di trovare un terreno più economico derivato da ingredienti vegetali che sia efficiente come l’FBS. Apparentemente (secondo comunicazioni personali), questo problema è stato risolto, almeno nei prototipi di ricerca per produrre carne coltivata. Una volta risolto questo problema su scala industriale (ed è probabile che venga risolto), la carne in vitro potrebbe diventare competitiva in termini di costi di produzione e di etica animale se paragonata alla normale carne da allevamento. Oltre all’FBS, vengono comunemente impiegati anche antibiotici e fungicidi per evitare la contaminazione delle colture cellulari. 

Tutte le start-up affermano che anche questo problema è stato risolto. Tuttavia, poiché gli animali d’allevamento come tutti i mammiferi inclusi gli esseri umani, producono naturalmente ormoni e fattori di crescita per supportare il proprio sviluppo, anche la coltura cellulare ha bisogno di ormoni, fattori di crescita, ecc., all’interno del terreno di coltura per sostenere la proliferazione e la differenziazione cellulare. Ad oggi le domande che si pone la ricerca sono: come possiamo produrre questi composti su scala industriale e come è possibile garantire che nessuno di essi abbia effetti negativi sulla salute umana a breve e a lungo termine? Questa è una questione importante dato che, nell’Unione Europea (a differenza di altre parti del mondo), i promotori ormonali della crescita sono vietati nei sistemi di allevamento convenzionale per la produzione di carne. 

Infine, siamo ancora lontani dal vero muscolo, che è costituito da fibre organizzate, vasi sanguigni, nervi, tessuto connettivo e cellule adipose (19-21). 

Ecco perché le varie start-up che lavorano in questo settore hanno sviluppato strategie diverse: alcune lavorano con cellule staminali o con cellule muscolari per riprodurre fibre muscolari non organizzate, che è l’approccio più semplice, mentre altre cercano di riprodurre sottili fettine di muscoli (cioè, fibre muscolari unite ad altre tipologie cellulari abbastanza bene embricate tra di loro). 
Tuttavia, la realizzazione di un pezzo di carne spesso come una vera bistecca è ancora un sogno, vista la necessità di perfusione di ossigeno all’interno della carne per imitarne la diffusione all’interno dei tessuti veri. Inoltre, è difficile immaginare se i produttori di carne in vitro saranno in grado nel prossimo futuro di offrire ai consumatori un’ampia gamma di carni che rifletta la diversità dei muscoli o dei tagli ottenuti dagli animali. 

Infatti, la qualità sensoriale (cioè il sapore) della carne differisce tra le specie (maiale, pollame, ovini, bovini, ecc.) e all’interno della stessa specie, varia in base a razza, genere, tipologie di animali (cioè giovani tori, manzi, giovenche e vacche nel caso dei bovini), alle condizioni di allevamento (a seconda, ad esempio, del luogo di allevamento) e principalmente anche in base alla tipologia di muscoli con diversa localizzazione anatomica (22). 

Quindi ancora devono essere controllati molti processi complessi per rendere la carne in vitro più attraente per i consumatori, come succede (più o meno) per qualsiasi altro nuovo prodotto alimentare.

Salute e sicurezza

I sostenitori della carne in vitro affermano che è più sicura della carne convenzionale, basandosi sul fatto che la carne coltivata in laboratorio è prodotta in un ambiente completamente controllato da ricercatori o produttori, in assenza di altri organismi, mentre la carne convenzionale proviene da un animale a contatto con il mondo esterno, sebbene ogni tessuto (muscoli compresi) sia protetto dalla pelle e/o dalle mucose. 

Infatti senza organi digestivi nelle vicinanze (nonostante il fatto che la carne convenzionale sia generalmente protetta), e quindi senza alcuna potenziale contaminazione al momento della macellazione, le cellule muscolari coltivate non hanno le stesse opportunità della carne allevata di incontrare agenti patogeni intestinali come E. coli, Salmonella o Campylobacter (10), tre patogeni responsabili di milioni di episodi di malattia ogni anno (19). Tuttavia, possiamo affermare che gli scienziati (o i produttori) non sono completamente in grado di controllare tutto, e qualsiasi errore o svista può avere conseguenze drammatiche in caso di problemi di salute. 
Al giorno d’oggi ciò si verifica frequentemente durante la produzione industriale di carne tritata. 

Un altro aspetto positivo legato alla sicurezza della carne coltivata è che non viene prodotta da animali allevati in uno spazio confinato, quindi risulta possibile eliminare il rischio di un focolaio di malattia e non vi è la necessità di effettuare costose vaccinazioni contro malattie come l’influenza. 
D’altro canto possiamo affermare che per produrre carne coltivata in vitro le cellule, e non gli animali, vivono comunque in numero elevato nelle incubatrici. 

Sfortunatamente, non conosciamo tutte le conseguenze della carne coltivata per la salute pubblica, poiché la carne in vitro è un prodotto nuovo. Alcuni autori sostengono che il processo di coltura cellulare non è mai perfettamente controllato e che possono verificarsi alcuni meccanismi biologici imprevisti. 

Ad esempio, dato il gran numero di moltiplicazioni cellulari in atto, è probabile che si verifichi una deregolazione delle linee cellulari come accade nelle cellule tumorali, sebbene possiamo immaginare che le linee cellulari deregolate possano essere eliminate e non destinate alla produzione o al consumo. Ciò potrebbe avere potenziali effetti sconosciuti sulla struttura muscolare, e sul metabolismo e sulla salute dell’uomo quando tale carne viene consumata (21). La resistenza agli antibiotici è conosciuta come uno dei maggiori problemi che affliggono il settore della zootecnia (7). La carne coltivata viene mantenuta in un ambiente controllato e un attento monitoraggio può facilmente fermare qualsiasi segno di contaminazione. 

Tuttavia, se vengono aggiunti antibiotici per prevenire qualsiasi tipo di contaminazione, anche se occasionalmente per fermare contaminazioni e malattie precoci, il ragionamento precedente appare meno convincente. Inoltre, è stato ipotizzato che anche il contenuto di nutrienti della carne coltivata potrebbe essere controllato, regolando i grassi utilizzati nel terreno di produzione. Infatti, il rapporto tra acidi grassi saturi e acidi grassi polinsaturi può essere facilmente modificato. I grassi saturi possono essere sostituiti da altre tipologie di grassi, come gli omega-3, ma il rischio di un maggiore irrancidimento deve essere tenuto sotto controllo. 
Tuttavia, negli attuali sistemi di allevamento sono state messe a punto nuove strategie per aumentare il contenuto di acidi grassi omega-3 nella carne (23). Inoltre, non è stata sviluppata alcuna strategia per far si che la carne coltivata contenga alcuni micronutrienti specifici per i prodotti di origine animale (come la vitamina B12 e il ferro) che contribuiscono alla buona salute dell’uomo. Inoltre, l’effetto positivo di qualsiasi (micro)nutriente può essere potenziato se introdotto in una matrice appropriata. Nel caso della carne in vitro non è certo se gli altri composti biologici, e il modo in cui sono organizzati nelle cellule in coltura, possano potenziare gli effetti positivi dei micronutrienti sulla salute umana. L’assorbimento di micronutrienti (come il ferro) da parte delle cellule in coltura deve quindi essere ben compreso. 

Non possiamo escludere una diminuzione dei benefici dei micronutrienti per la salute del consumatore dovuta al terreno di coltura, a seconda della sua composizione. E l’aggiunta di sostanze chimiche al terreno rende la carne coltivata un cibo più “chimico” con un’etichetta meno pulita.

Confronto sull’impatto ambientale con l’allevamento convenzionale

In linea generale, la produzione di carne coltivata viene presentata come ecologica, perché dovrebbe produrre meno GHG (cosa ad oggi controversa), consumare meno acqua ed utilizzare meno terreno (questo punto è ovvio) rispetto alla produzione di carne convenzionale (13, 24, 25), in particolare se parliamo di ruminanti. Tuttavia, questa tipologia di confronto è incompleta e talvolta distorta almeno in parte, come verrà discusso qui di seguito. Per quanto riguarda i GHG, è vero che le specie zootecniche, e principalmente ruminanti (cioè i bovini), sono responsabili di una percentuale significativa delle emissioni mondiali di GHG, in gran parte dovute alle emissioni di metano dal tratto digerente degli erbivori. 

Pertanto, l’attenuazione delle emissioni di metano (uno dei più potenti GHG) viene presentata come uno dei potenziali e più importanti benefici che possano derivare della carne in vitro quando paragonata all’allevamento convenzionale. L’allevamento del bestiame è, come noto, associato all’emissione di tre GHG [soprattutto metano (CH4), ma anche anidride carbonica (CO2) e protossido di azoto (N2O)]. Invece, le emissioni della carne coltivata sono rappresentate principalmente da CO2 e dovute all’impiego di energia fossile per il riscaldamento delle cellule coltivate. 
Tuttavia, in termini di carbonio equivalente, non c’è l’unanimità sulle emissioni di gas serra derivanti dalla produzione di carne coltivata in laboratorio rispetto alla carne convenzionale: un primo studio ha dato un vantaggio alla carne coltivata (25) mentre un secondo studio è stato inconcludente (26). 

In uno studio recente, Lynch et al. (24) hanno concluso che inizialmente il surriscaldamento globale potrebbe risultare inferiore con la carne coltivata piuttosto che con l’allevamento di bestiame, ma non nel lungo periodo perché il CH4 , a differenza della CO2 , non si accumula nell’atmosfera così a lungo. In alcuni casi, i sistemi di allevamento dei bovini sono caratterizzati da un picco maggiore del surriscaldamento rispetto alla carne in vitro. Tuttavia, il loro effetto di surriscaldamento diminuirà e si stabilizzerà con i nuovi tassi di emissione. 

D’altra parte, persisterà il surriscaldamento dovuto al gas CO2 di lunga durata della carne in vitro. Aumenterà anche con un basso consumo di carne, essendo in alcuni casi addirittura superiore a quello della produzione bovina. Hanno concluso che, per quanto riguarda le emissioni di gas serra, il potenziale vantaggio della carne coltivata rispetto all’allevamento dei bovini non è così scontato. 
Peraltro alcuni scienziati (27) hanno dimostrato che i sistemi convenzionali di produzione di carne bovina negli Stati Uniti (finissaggio in recinti per l’ingrasso con tecnologie che ne migliorano la crescita) producono meno emissioni di gas serra e richiedono un minor numero di animali, acqua e terreno, con un’impronta di carbonio relativamente bassa per produrre manzo, rispetto agli altri sistemi di alimentazione convenzionali. In verità, con un intervallo di tempo più breve dalla nascita alla macellazione, i sistemi convenzionali richiedono meno energia di mantenimento. 
Quindi, i rispettivi impatti della carne bovina e delle carni coltivate in vitro dipenderanno dalla disponibilità dei sistemi per la generazione di energia e dei sistemi di produzione che verranno messi in atto. 

Per quanto riguarda il consumo di acqua, i media affermano che sono necessari 15.000 litri di acqua dolce per produrre 1 kg di carne bovina. In realtà, il 95% di questa quantità di acqua viene utilizzata per far crescere le coltivazioni, le piante e i foraggi che servono per alimentare gli animali. 

Gran parte di quest’acqua non verrebbe risparmiata se gli animali d’allevamento venissero rimossi dai pascoli e dai terreni. Pertanto, metodi diversi danno risultati molto diversi per lo stesso prodotto di origine animale. È ormai accettato che la produzione di 1 kg di carne bovina richieda 550-700 litri di acqua, come rivisto alcuni anni fa (28, 29). Questo punto di riferimento è importante per effettuare il confronto dei fabbisogni idrici per la produzione di carne coltivata in vitro. Purtroppo il confronto era non equo perché fatto su 15.000 L. Dovrebbe basarsi sui 550-700 L. 

Un altro problema è la qualità dell’acqua, che potrebbe non essere così buona quando proveniente da laboratori per la carne coltivata, se teniamo in considerazione le attività dell’industria chimica per la produzione dei fattori di crescita e degli ormoni necessari per la coltura cellulare. In effetti, potrebbero verificarsi sprechi e fuoriuscite di prodotti chimici e questi prodotti potrebbero contaminare l’acqua scaricata nell’ambiente dagli incubatori della carne, cosa che, tuttavia, è molto improbabile che si verifichi in circostanze altamente controllate. Per quanto riguarda lo sfruttamento dei terreni, è ovvio che la carne coltivata avrà bisogno di meno terra rispetto alla produzione di carne convenzionale, che è in gran parte basata sul pascolo. Tuttavia, ciò non equivale ad un vantaggio per la carne coltivata. In effetti, il bestiame svolge un ruolo chiave nel mantenimento del contenuto di carbonio e della fertilità del suolo, dato che il letame prodotto dagli animali è una fonte di materia organica, azoto e fosforo. Inoltre, se è vero che la produzione di mangimi per gli animali d’allevamento richiede 2.5 miliardi di ettari di terreno (cioè circa il 50% della superficie agricola mondiale), 1.3 miliardi di ettari (di terreno utilizzati per la produzione di mangimi) corrispondono a prati non coltivabili, utilizzabili solo per l’allevamento del bestiame (30). 

Lo sfruttamento del suolo è un paragone distorto e ingiusto tra carne coltivata e carne convenzionale. In verità, in questa tipologia di paragone, gli autori non tengono conto della diversità delle attività ambientali e degli impatti dei sistemi di allevamento (non solo emissioni di GHG e consumo di acqua, ma anche stoccaggio del carbonio e biodiversità di piante e animali) (4 , 31).

Confronto sulle problematiche relative al benessere animale con l’allevamento convenzionale

Il benessere degli animali è una delle principali preoccupazioni per alcune parti della nostra società moderna. Ad esempio, Mark Post ha osservato che c’è una crescente tendenza verso la consapevolezza relativa al benessere animale tra la comunità occidentale (16). Pertanto, esistono alcuni difensori degli animali che riescono facilmente ad accettare il concetto di carne coltivata ed alcuni che hanno anche definito la carne coltivata come “carne senza vittime” (32). 

Nonostante il processo di creazione della carne richieda campioni muscolari provenienti da animali, il numero di animali macellati viene ridotto in modo significativo (33). Tuttavia, al giorno d’oggi, le questioni relative al benessere degli animali riguardano principalmente gli allevamenti di bovini e la produzione industriale di suini e pollame. In effetti, con le loro concentrazioni di animali molto elevate e le relative economie di scala, queste unità industriali competono fortemente anche con le piccole aziende a conduzione familiare, che stanno diminuendo in tutto il mondo. 
Inoltre, se il bestiame viene rimosso e sostituito dalla carne coltivata, una serie di attività collegate all’allevamento andrà persa. I sistemi di allevamento svolgono infatti numerose funzioni: oltre a fornire le proteine per l’alimentazione umana, il bestiame garantisce un reddito alle popolazioni rurali e quindi sostiene gran parte delle comunità rurali del mondo. Il bestiame non produce soltanto carne, latte e uova, ma anche lana, fibre e cuoio. 

Inoltre garantisce anche l’esistenza di attività socio-culturali (come eventi che attraggono i turisti, vedi la transumanza), di prodotti locali e del senso di appartenenza al territorio grazie ai formaggi e agli altri prodotti con Denominazione di Origine Protetta (4, 31).

Mercato e legislazione

Una recente review (34) ha illustrato (i) il mercato della carne coltivata in vitro ed (ii) ha individuato le principali tematiche relative al consumo, alla politica e alle normative per la carne coltivata.

Mercato

Il primo hamburger in vitro è stato realizzato nel 2013 dopo 2 anni di sviluppo, dal professor Mark Post dell’Università di Maastricht. Il prezzo di questa innovazione è stato di oltre $ 300.000 nel 2013. Questo costo elevato è stato spiegato dal fatto che il professor Post ha utilizzato prodotti e componenti (come ormoni e sostanze nutritive) tradizionalmente utilizzati nella scienza medica. Subito dopo la presentazione di questa innovazione, il professor Post ha ricevuto ulteriori investimenti ed ha fondato un team di ricercatori per sviluppare carne in vitro all’interno di una nuova start-up chiamata Mosa Meat. 

Oggi afferma che nel 2021 lo stesso hamburger verrà a costare circa 9 $ US, che è ancora un costo elevato rispetto al classico hamburger da 1 $ (35). Inoltre, Mosa Meat ha recentemente annunciato lo sviluppo di un terreno privo di siero secondo le FAQ del loro sito web (36). Ancora nessuna tipologia di carne coltivata è in procinto di raggiungere gli scaffali dei negozi e il progetto ha bisogno di ulteriori ricerche per abbassarne il prezzo. Gli allevatori sono preoccupati per i costanti progressi compiuti dalla suddetta ricerca. In effetti, la produzione potenzialmente senza sforzo e a basso costo della carne in vitro dovrebbe renderla più economica rispetto alla carne normale. 

Inoltre, il problema del deterioramento e degli agenti patogeni differisce tra carne coltivata e carne convenzionale: mantenere la contaminazione lontano dalla carne coltivata sarà una sfida quando la produzione avverrà su larga scala e verrà utilizzata una fabbrica e non un laboratorio. 

Tra le soluzioni, la carne coltivata si presenta come una buona alternativa (37, 38) per i consumatori che vogliono essere più responsabili ma che non desiderano modificare la composizione della loro dieta (10-13). Un recente sondaggio descrive il potenziale consumatore di carne coltivata (che è in fase di sviluppo) come un soggetto giovane, molto istruito, che ha una certa familiarità con la carne in vitro e che è disposto a ridurre il proprio consumo di carne macellata (39). A causa dell’aumento della domanda di analoghi proteici, le vendite di carne coltivata potrebbero aumentare nel prossimo futuro (34). In effetti, alcuni ricercatori considerano questa nuova carne un prodotto vegetariano, una buona notizia per quei consumatori (il cui numero è in continuo aumento) che stanno introducendo più scelte vegetariane e vegane nelle loro diete (40, 41). Ad esempio, Informa Agribusiness Intelligence stima che entro il 2021 le vendite nel Regno Unito di analoghi della carne cresceranno del 25% e le alternative al latte del 43%; tale crescita porterà le vendite totali nel Regno Unito delle alternative al latte da 149 milioni di £ (208 milioni $ US) a 299 milioni di £ (400 milioni $ US) (34). 

In effetti, le start-up della carne coltivata, così come i casari degli allevamenti e i produttori di salumi, avranno una vasta gamma di opportunità per creare la propria versione del prodotto, portando ad un’ulteriore diversificazione del marchio e della competitività sul mercato, oltre ad impegnarsi in lavori più specializzati all’interno di una nuova economia della conoscenza (34). 
Inoltre, diversi studi hanno dimostrato che l’accettazione della carne coltivata varierà sostanzialmente in base alle popolazioni (42), al genere (43) e in base alla quantità di informazioni fornite su tale argomento (43). Inoltre, come detto in precedenza, la carne coltivata in vitro è una delle soluzioni presentate come una buona alternativa per i consumatori che vogliono essere più responsabili, ma che non desiderano modificare la composizione della loro dieta. 
Come per qualsiasi prodotto alimentare, i consumatori non saranno disposti ad accettare alcun compromesso in termini di sicurezza alimentare o addirittura a pregiudicare di molto il gusto o altre caratteristiche dell’alimento (42). I consumatori, infatti, vengono ancora fortemente influenzati dalla qualità sensoriale della carne. 

Infatti, negli ultimi anni le alternative alla carne di origine vegetale si sono sviluppate e sono migliorate molto in termini di caratteristiche sensoriali, perché sono stati fatti molti progressi nell’imitare la carne vera. Pertanto, nonostante un’elevata qualità sensoriale/organolettica, questi sostituti della carne non devono essere considerati come un passaggio intermedio che porta all’accettazione e al maggior consumo di carne in vitro. In effetti, nel prossimo futuro le vendite di analoghi della carne a base di proteine di origine vegetale e di micoproteine potrebbero aumentare più di quelle della carne coltivata. 

Questi sostituti della carne detengono una quota di mercato importante (19, 43), soprattutto alla luce del fatto che sono stati investiti 16 miliardi di dollari in start-up e aziende che offrono sostituti della carne a base vegetale (673 milioni di dollari nel 2018), che è molto più degli investimenti in start-up che si occupano della realizzazione di carne coltivata in laboratorio (circa 100-200 milioni dal 2015). 
Pertanto, alcuni scienziati ritengono che la carne coltivata sia già obsoleta dato che i progressi fatti nella realizzazione delle alternative alla carne a base vegetale sono già a buon punto (44). Inoltre, l’industria della carne del futuro sarà senza dubbio più complessa dell’industria della carne di oggi, con un numero maggiore sul mercato di prodotti a base di carne o di sostituti della carne provenienti da fonti o da processi di lavorazione differenti (19, 43). 

Tutte le fonti proteiche contengono intrinsecamente sia vantaggi che svantaggi che andranno ad influire sulla loro possibilità di essere commercializzate ed accettate da parte dei consumatori (43). Affinché i nuovi prodotti abbiano successo, devono rappresentare delle alternative commercialmente valide alla produzione di carne convenzionale. Il successo della carne coltivata come alternativa, sostitutiva o complementare, alla carne convenzionale giocherà un ruolo importante perché è probabile che i consumatori facciano riferimento a prodotti con un posizionamento simile sul mercato (38, 42, 45). Infatti, se verranno risolti i problemi di appetibilità (come avviene oggi almeno per alcune “carni” di origine vegetale) e se i sostituti della carne saranno competitivi in termini di prezzo, i consumatori saranno più aperti a modificare le proprie abitudini di acquisto (43, 46, 47). 

Tuttavia, le alternative più impegnative da un punto di vista tecnologico alla carne richiedono anche un grado di cambiamento socio-istituzionale da moderato ad alto (38). Un recente studio condotto da Van derWeele et al. (38) mostra che le alternative rappresentate dalla carne coltivata e dalla carne di origine vegetale richiedono entrambe un moderato grado di cambiamento socio-istituzionale (dagli attuali modelli alimentari occidentali), sebbene non richiedano lo stesso livello di cambiamento tecnologico, dato che, a differenza della carne coltivata, alcuni prodotti a base vegetale sono già in fase di commercializzazione (Figura 1). 

In breve, per avere successo, i nuovi prodotti a base di carne bovina (dall’industria della carne bovina convenzionale o dall’industria del “FoodTech”) dovranno essere competitivi e sostenibili e in linea con le abitudini di consumo e i modelli culturali dei consumatori. Infatti, la carne coltivata richiede un notevole cambiamento tecnologico, che può compromettere la crescita del suo consumo. Le proteine vegetali, invece, sono presenti in alcuni prodotti già in commercio. Alcune fonti proteiche esistenti sono ben accettate (manzo, maiale, carne di pollame, proteine da colture, ecc.), mentre altre vengono consumate o accettate in misura di molto inferiore (come la carne di cavallo, di porcellino d’India, ecc.), nonostante vengano già consumate in alcuni paesi.

Figura 1. Livello di cambiamento socio-istituzionale e tecnologico richiesto per le alternative alla carne. Adattato da Van der Weele et al. (38).

Legislazione

Esiste un piccolo ma importante corpo di letteratura sulla legislazione della carne coltivata, con Schneider (48) che prende in considerazione la regolamentazione negli Stati Uniti e Petetin (49) che prende in considerazione la regolamentazione nell’Unione Europea (34). In termini di status, la carne in vitro si trova nel limbo tra carne e non carne. Nell’aprile 2018, la Francia aveva già vietato l’uso di parole attribuibili alla carne e ai latticini per designare prodotti vegetariani e vegani. L’impiego della parola “carne” per la carne in vitro non è stato ancora deciso (50). Negli Stati Uniti gli allevatori stanno appoggiando una nuova legge nel Missouri, la quale afferma che un prodotto per essere chiamato “carne” deve provenire da un animale reale, come indicato nella maggior parte dei dizionari. Inoltre, gli scienziati della carne fanno una distinzione tra “muscolo” e “carne”, con quest’ultima che rappresenta il risultato di un processo biologico naturale di invecchiamento muscolare successivo alla macellazione e dovuto alla cessazione dell’apporto di ossigeno alle cellule muscolari (51). 

La “carne coltivata” dovrebbe essere chiamata carne? In caso contrario, la carne in vitro dovrebbe essere regolamentata allo stesso modo della carne normale? (52). È probabile che la risposta sulla legislazione richiederà tempo ed è possibile che la definizione di “carne” varierà da un paese all’altro. Il CEO del Cattle Council of Australia, Margo Andrae, sta già avvertendo le “aziende che producono carne coltivata” di evitare di ripetere una battaglia sui termini come è successo con “latte” e “latticini”; secondo la sua opinione tale carne dovrebbe “essere chiamata per quello che è, cioè una proteina coltivata in laboratorio” (50). 

Inoltre, le varie start-up hanno strategie nettamente diverse basate su scelte di marketing; infatti alcune chiamano il prodotto “proteine animali” mentre altre lo chiamano “carne artificiale”. I primi sono mossi dalla volontà di dire la verità ai consumatori, i secondi dal desiderio di essere provocatori al fine di aumentare l’interesse dei consumatori (43).

Percezione dell’opinione pubblica

Il modo in cui i consumatori percepiscono e accettano, o rifiutano, la carne coltivata in vitro è oggetto di controversie (42, 53).

Percezione del consumatore

I sostenitori della carne coltivata temono che il nome possa scoraggiare i consumatori, conferendo una possibile connotazione di un prodotto “falso”. In effetti, la mancanza di accettazione da parte dei consumatori potrebbe rappresentare un grave ostacolo all’introduzione della carne coltivata (54). 

Inoltre, sembra difficile valutare l’accettazione da parte dei consumatori di un prodotto che si trova in una fase precoce (che ancora non esiste) come lo è la carne coltivata. È ampiamente riconosciuto che il nome dato ad un oggetto o ad un fenomeno può influire sulle successive valutazioni ed opinioni su di esso. Per questo, per la carne coltivata sono stati proposti diversi nomi che hanno un’influenza sull’opinione del consumatore (55, 56). Infatti, “carne in vitro”, “carne pulita”, “carne coltivata”, “carne coltivata in laboratorio”, “carne sintetica” e altri nomi (15) suggeriscono che questo prodotto innovativo è privo di macellazione, più rispettoso nei confronti dell’ambiente e un’alternativa possibile agli attuali sistemi di allevamento intensivo. Comunque, alcuni autori hanno dimostrato (57) che i consumatori tendono a rifiutare con forza il nome “carne in vitro”. Inoltre, il termine “coltivato” è meno disprezzato rispetto ai termini “artificiale” e “coltivato in laboratorio” (57). 
Ciò è confermato dallo studio di Siegrist et al. (54), che ha concluso come i partecipanti abbiano un basso livello di accettazione della carne coltivata perché percepita come poco naturale. Inoltre, hanno scoperto che dare informazioni ai partecipanti all’indagine sulla produzione di carne coltivata e sui suoi benefici ha l’effetto paradossale di aumentare l’accettazione della carne tradizionale (54). Bryant et al. (58) e Siegrist e Sütterlin (59) hanno sostenuto che una maggiore accettazione può essere favorita da descrizioni meno tecniche riguardanti la carne coltivata. Ciò può essere spiegato dal fatto che il processo di produzione “high-tech” viene associato a qualcosa di troppo scientifico e poco naturale, e quindi influisce negativamente sull’immagine del prodotto. 

Nella realtà, i consumatori sembrano non gradire il cibo non genuino. Nello studio di Verbeke et al. (42), condotto in tre paesi dell’UE, i ricercatori hanno dimostrato che “le reazioni iniziali dei consumatori quando hanno appreso della carne coltivata erano supportate da sentimenti di disgusto e da motivazioni riguardanti l’assenza di genuinità. 

Dopo aver riflettuto, i consumatori hanno previsto pochi benefici personali diretti in seguito al consumo di carne coltivata, però hanno riconosciuto i possibili benefici per la società globale. I rischi personali percepiti dovuti al consumo di carne coltivata erano in gran parte basati su motivazioni riguardanti l’assenza di genuinità e sull’incertezza, quindi si sviluppava una sorta di paura dell’ignoto.” 

In futuro, i consumatori potranno accettare il progresso scientifico, e quindi la carne coltivata, ma chiederanno un processo di controllo e delle normative affidabili per garantire la completa sicurezza di questo prodotto. In un recente sondaggio, Bryant et al. (58) hanno chiesto ai partecipanti di Stati Uniti, India e Cina la loro disponibilità a provare occasionalmente o ad acquistare regolarmente carne coltivata, e a mangiare carne coltivata invece della carne convenzionale o di sostituti della carne di origine vegetale. 

La disponibilità a provare o a mangiare carne coltivata è stata piuttosto alta: il 64.6% dei partecipanti era disposto a provarla e il 49.1% era disposto ad acquistarla regolarmente e a mangiarla al posto della carne convenzionale (48.5%). Gli autori hanno interpretato questi risultati come a favore della carne coltivata, affermando che “indicano un sostanziale e potenziale mercato per la carne coltivata” con le conseguenze che la carne coltivata potrebbe sostituire una quantità significativa di carne convenzionale, sempre secondo Bryant et al. (58). 
Tuttavia, ciò contraddice i risultati di un sondaggio condotto da Hocquette et al. (60), secondo il quale la maggior parte dei consumatori più istruiti di diversi paesi non acquisterebbe regolarmente carne coltivata, sebbene un terzo degli intervistati abbia risposto “Non lo so”. Inoltre, è probabile che la visione dei consumatori di carne coltivata cambi nel tempo dopo aver ricevuto maggiori informazioni.

Etica

Le questioni etiche sono sempre più importanti quando si fanno delle scelte alimentari (61) e questo favorisce lo sviluppo di preoccupazioni nel singolo individuo o a livello di società (21). Sebbene vengano riconosciuti i potenziali vantaggi della carne coltivata per quanto riguarda l’etica e le questioni ambientali, molti consumatori nutrono preoccupazioni sulla sicurezza alimentare, principalmente a causa della percezione della carne coltivata come una cosa poco naturale (42, 53), come discusso anche in precedenza. 

La carne in vitro, come ogni nuova tecnologia, solleva inevitabili problemi etici. Uno degli scopi principali di questa innovazione, secondo i sostenitori della carne coltivata, è quello di fermare le pratiche crudeli subite dagli animali che a volte vengono confinati in spazi ristretti e macellati in condizioni disumane. 

Inoltre, le condizioni di vita degli animali allevati intensivamente portano spesso a malattie, infezioni, problemi comportamentali e sofferenza. Comunque, a causa della mancanza di un sistema nervoso, le cellule coltivate e la carne in vitro dovrebbero essere esenti dal provare qualsiasi tipologia di dolore (62, 63), sebbene le biopsie da fare sugli animali per raccogliere le cellule possano sollevare alcune problematiche relative al benessere animale. Di fatto, alcuni scienziati considerano questa nuova carne (artificiale) un prodotto vegetariano (62, 64, 65). 

La carne coltivata mira ad utilizzare un numero notevolmente inferiore di animali rispetto all’allevamento convenzionale. In effetti, dal punto di vista del benessere animale, questo potrebbe essere interessante per alcuni vegetariani, vegani e per gli onnivori coscienziosi interessati a diminuire il consumo di carne per motivi etici (64). Il concetto riportato sopra sarebbe più veritiero se, come hanno affermato alcune start-up, si sviluppasse una nuova tipologia di terreno che non preveda l’utilizzo di FBS da vitelli morti. In realtà, alcuni vegani evitano il cibo di origine animale a causa del sapore della carne. Altri prenderebbero in considerazione l’ipotesi di mangiarlo se venisse prodotto in un ambiente privo di crudeltà e animal friendly (66). 

Invece, mentre molti autori scientifici riconoscono i potenziali benefici etici della carne artificiale, vale a dire un miglioramento del benessere animale, una diminuzione delle patologie legate all’alimentazione, delle tossinfezioni alimentari, dell’impiego delle risorse e delle emissioni di gas serra (32), altri autori, come già detto in precedenza, non sono convinti del fatto che la produzione di carne artificiale potrà avere una bassa impronta di carbonio. 
Tuttavia, è chiaro che l’impatto ambientale della carne artificiale è difficile da valutare perché attualmente si basa su analisi speculative (21). Ma non è così semplice, ci sono alcune questioni da considerare. Ad esempio, attualmente gli animali devono ancora essere utilizzati nella produzione di carne coltivata in laboratorio, anche se in numero inferiore, per il solo prelievo muscolare. 
Gli animali devono essere comunque allevati in modo tale che le loro cellule possano essere raccolte, secondo procedure dolorose o indolori, per produrre carne in vitro. “Di conseguenza, la carne coltivata in laboratorio comporta ancora lo sfruttamento degli animali, che è la cosa che i sostenitori della carne artificiale vogliono evitare” (66).

Naturalezza

Tuttavia, anche se questa descrizione rimane vera per alcuni sistemi di allevamento intensivo (visto che tale tipologia di allevamento rimane una pratica crudele per molte persone), non vale per una percentuale significativa di allevamenti presenti nel mondo, in particolare per molti sistemi estensivi in Francia o in alcuni paesi africani. 
In una recente review, alcuni autori (67) hanno concluso che l’intensificazione sostenibile e l’agroecologia potrebbero unirsi per un futuro migliore, grazie all’adozione di approcci trasformativi per la ricerca di sistemi di allevamento ecologicamente sicuri, socialmente equi ed economicamente sostenibili.

Religione e consumo di carne

La carne in vitro, come ogni altra nuova avanguardia, solleva numerose questioni etiche, filosofiche e religiose. Principalmente a causa del suo status incerto, le autorità religiose stanno ancora discutendo quanto segue: se la carne in vitro può essere ritenuta Kosher (consumabile secondo le leggi alimentari ebraiche), Halal (per i consumatori musulmani, quindi conforme alle leggi islamiche) o cosa fare nel caso in cui non ci fossero animali disponibili per pratiche rituali (consumatori Indù). 

Per quanto riguarda la religione ebraica, l’opinione dei rabbini è divisa. Alcuni pensano che la carne coltivata possa essere considerata Kosher solo se le cellule originali sono state prese da un animale macellato Kosher. Altri sostengono che, indipendentemente dall’origine delle cellule utilizzate per produrre la carne coltivata, perderanno sicuramente la loro identità originale. 
Pertanto, l’esito non può definirsi vietato al consumo (68). 

Per la comunità islamica, la domanda cruciale è se la carne coltivata è conforme o meno alle leggi islamiche, più comunemente definita “Halal o non Halal”. Poiché la carne realizzata in laboratorio è un’invenzione recente, il giurista islamico tradizionale (cui spesso i musulmani fanno riferimento) non ha mai approfondito il suo status Halal. Pertanto, i giuristi islamici contemporanei si sono fatti carico di questa missione. 
Lo status di Halal della carne in vitro può essere risolto identificando la fonte di origine delle cellule e del siero utilizzato durante la coltivazione della carne in laboratorio. Di conseguenza, la carne in vitro viene considerata Halal solamente se la cellula staminale proviene da un animale macellato con metodo Halal e se nel processo non vengono utilizzati né sangue né siero. 
In realtà, il siero dovrebbe essere evitato a meno che non si possa dimostrare che la carne non subirà alterazioni a seguito del contatto con il siero stesso (essendo ritenuto potenzialmente impuro) (14).

Conclusione

Per soddisfare la crescente domanda di cibo da parte di una popolazione in continua crescita nel 2050, la FAO ha concluso che sarà necessario un 70% in più di cibo. In questo contesto, i sistemi di allevamento saranno un elemento di vitale importanza nel gestire la garanzia di alimenti e di nutrimento nel mondo. 

Tuttavia, per evitare critiche all’allevamento zootecnico in merito a questioni ambientali e di benessere animale, si stanno sviluppando metodi più efficienti di produzione delle proteine al fine di supportare la crescita della popolazione mondiale. Un’opzione è quella di coltivare le cellule muscolari in un mezzo di coltura appropriato; ad oggi il più efficiente viene ritenuto un terreno contenente FBS. Il terreno di coltura dovrebbe fornire nutrienti, ormoni e fattori di crescita, in modo tale che le cellule muscolari proliferino prima di essere trasformate in muscolo e quindi producano un’enorme quantità di carne partendo da un numero limitato di cellule. 

Si spera che, grazie ai progressi della tecnologia, l’FBS venga sostituito, almeno nei laboratori di ricerca, ma forse non sarà del tutto possibile anche a livello industriale. Inoltre, dato che nell’Unione Europea i promotori della crescita ormonale sono vietati nei sistemi di allevamento convenzionali per la produzione di carne, questo rimane ancora un problema. Va detto che questa nuova tecnologia è in grado di produrre fibre muscolari disorganizzate che sono molto lontane dall’assomigliare al muscolo reale, e questo rappresenta un enorme limite nel cercare di riprodurre l’ampia gamma di carni che rappresentano la diversità delle specie e delle razze animali, così come le varie tipologie di muscoli o di tagli. Inoltre, anche la presenza dei vasi sanguigni, del sangue, del tessuto nervoso, dei grassi intramuscolari e del tessuto connettivo influisce sul gusto della carne. In effetti, molti hamburger costituiti da analoghi della carne vegetariani considerati “buoni” mancano di consistenza e sapore risultando piatti dal punto di vista del gusto. 

La qualità nutrizionale della carne coltivata può essere teoricamente controllata regolando la composizione dei grassi utilizzati nel terreno di produzione. Questo è anche il caso della carne convenzionale, grazie a strategie di nuova concezione messe in atto nei sistemi di allevamento che possono incrementare il contenuto di acidi grassi omega-3 nella carne. Tuttavia, il controllo della composizione dei micronutrienti nella carne coltivata è ancora un problema di ricerca. 

Infine, dovrà essere attentamente controllato e documentato l’impatto del consumo di carne coltivata sulla salute umana. Per quanto riguarda i gas serra, non c’è il consenso sui potenziali vantaggi (nel breve o nel lungo periodo) in termini di emissioni di gas serra derivanti dalla carne coltivata in laboratorio rispetto alla carne convenzionale. 

Nonostante il suo attuale prezzo elevato, probabilmente in futuro i costi di produzione della carne coltivata diminuiranno. Ciò potrebbe favorire l’accettazione da parte dei consumatori, nonostante esista un forte rifiuto di quei nomi che fanno riferimento alla carne “in vitro” o “coltivata”. Nonostante ciò, la carne coltivata entrerà in concorrenza con altri sostituti della carne già presenti sul mercato e meglio accettati dai consumatori, come i prodotti di origine vegetale. Da un punto di vista etico, la carne coltivata mira ad utilizzare un numero notevolmente inferiore di animali rispetto alla zootecnia convenzionale, cosa che rende il prodotto attraente per i vegetariani e i vegani. 

Tuttavia, alcuni animali dovranno essere comunque allevati in modo tale che le loro cellule possano essere raccolte per produrre carne in vitro. Inoltre, le autorità religiose stanno ancora discutendo se la carne in vitro può essere ritenuta Kosher (consumabile secondo le leggi alimentari ebraiche) e Halal (per i consumatori musulmani, conforme alle leggi islamiche). In conclusione, sembra chiaro che i progetti di ricerca sulla carne coltivata abbiano una portata limitata poiché lo sviluppo della carne in vitro è ancora un processo agli inizi. Il prodotto evolverà continuamente in linea con nuove scoperte e progressi che ottimizzeranno la produzione, la qualità e l’efficienza della divisione cellulare. Resta da vedere se questo progresso sarà sufficiente affinché la carne artificiale diventi competitiva rispetto alla carne convenzionale e al numero crescente di analoghi vegetali della carne.

The Myth of Cultured Meat: A Review

Sghaier Chriki1 and Jean-François Hocquette2
ISARA, Agroecology and Environment Unit, Lyon, France
INRAE, University of Clermont Auvergne, Vetagro Sup, UMR Herbivores, Saint-Genès-Champanelle, France
REVIEW article, Front. Nutr., 07 February 2020 – https://doi.org/10.3389/fnut.2020.00007

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