lunedì 30 novembre 2020

Stephanie Kelton: quando i soldi finiscono si stampano

 
Che il deficit non debba essere più un tabù, gli economisti della MMT (Teoria Monetaria Moderna) lo dicono d tempo.
Ora non sono più gli unici.

Intervista a Stéphanie Kelton.

di Riccardo Staglianò

Senza che nessuno ce l’abbia detto stiamo vivendo un assaggio di «Teoria Monetaria Moderna» (MMT). E, a occhio, non ci dispiace. D’altronde cos’altro è il permesso di Bruxelles agli Stati membri di spendere senza preoccuparsi dei sacri vincoli di bilancio, con la fondamentale complicità della BCE che comprerà debito pubblico fino a quando serve? 

Tra sirene di ambulanza e bollettini medici l’opinione pubblica ha altro a cui pensare ma, rispetto all’ortodossia economica europea, non è un’eresia da poco. La stessa che da anni predica la scuola scismatica americana di cui Stephanie Kelton, professoressa all’università Stony Brook e alla New School di New York, nonché autrice di Il mito del deficit, è probabilmente l’interprete più convincente.

Piccolo assaggio, perché il menu completo dice che «i governi che emettono la propria valuta non possono mai “finire i soldi”, né possono diventare insolventi sui titoli di debito emessi nella loro stessa valuta. Perché possono semplicemente creare dal nulla "tutto il denaro di cui hanno bisogno"». 
Servono più terapie intensive? Ristori a chiunque abbia perso qualcosa? 
Stampando moneta si può ...


E se vi sembra una provocazione – certe recensioni nostrane ridicolizzano la tesi come «albero della cuccagna» mentre in America il libro è stato pacificamente nella classifica del New York Times, non di Lotta comunista è solo perché ci hanno cresciuto nell’analogia fuorviante che il bilancio di un governo sia come quello di una famiglia, per cui non si spende più di quanto si abbia.

E invece, professoressa?

«Il capitalismo è basato sulla spesa. L’unico modo per cui non si fermi è che la produzione venga smaltita, la gente compri. Le famiglie spesso lo fanno indebitandosi e finisce male. Mentre i governi con sovranità monetaria non possono fare bancarotta e ripagheranno il loro debito. La differenza è che i primi sono utilizzatori di moneta, i secondi emettitori».
 
Perché questo debito non ricadrebbe sulle spalle dei nostri figli?

«Perché bisogna cambiare il punto di vista. Neppure Obama lo capiva quando diceva che era anti patriottico indebitarsi con le carte di credito perché quel debito finiva nelle banche cinesi. Il debito pubblico, quand’è nella valuta nazionale, non è vero debito. 
È un’altra forma di pagamento: io li chiamo dollari gialli (dal colore delle obbligazioni Tre asury) per distinguerli dai dollari verdi, il contante. 
Quando i bond arrivano a maturazione, tu governo li ripaghi, con gli interessi, stampando dollari. È come avere un conto corrente e un conto deposito, ma il titolare sei sempre tu!».

Ma se si mette in circolazione troppa moneta, non si innesca l’inflazione che toglie potere d’acquisto alle persone?

«In teoria sì, ma l’ultima volta che è stato veramente un problema erano gli anni Settanta e il motivo principale furono gli shock petroliferi, non la moneta circolante. In ogni caso la versione ufficiale è che a sconfiggerla fu il governatore della Federal ReservePaul Volcker, alzando i tassi di interesse, mentre sempre più studi dimostrano che gran parte del merito va alla liberalizzazione del gas naturale di Carter. 
Ora, quanto a shock, il coronavirus potrebbe far fallire fino alla metà delle imprese. 
Non è l'inflazione la nostra priorità. ».

Il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, ha proposto che il debito Covid sia cancellato (smentito poi da Gentiloni e Lagarde dopo l’intervista). 
Serviva una pandemia perché la vostra teoria diventasse, anche senza nominarla, più mainstream?

«Ne avrei fatto volentieri a meno, ma è un dato di fatto. Ricordo ancora dibattiti di un anno fa in cui si parlava delle “insostenibili finanze europee” mentre oggi nel mondo i governi stanno stanziando oltre 11 trilioni di dollari come stimolo. È un momento propizio per far uscire la MMT dai circoli specialistici».

Come lei chiarisce nella prefazione, però, la MMT non è praticabile da noi perché, con l’euro, è come se avessimo una valuta estera. Perché dovremmo appassionarci?

«Amo l’Italia ma mi chiedo: quanto è diffusa la consapevolezza dei ristretti margini di manovra che l’euro, per com’è stato pensato, comporta? 
L’idea era che, nel mercato unico, dove l’adesione alla moneta unica avesse comportato alti livelli di disoccupazione, si poteva emigrare dove c’era più lavoro. Ma forse si sono sottovalutati i costi. Ora però la BCE vi sostiene, con tassi di interesse sotto l’1 per cento. 
È il momento per spingere verso una sovranità monetaria europea, in cui la Banca centrale potrà stampare moneta al bisogno».

Sì, la BCE si sta comportando in modi inediti: ma durerà?

«Non so rispondere, ma se smettesse di sostenervi così energeticamente, dove finireste se doveste pagare tassi dal 4 al 6 per cento su un debito nel frattempo schizzato al 170? Ricordiamo lo scenario greco: fin quando la gente lo tollererebbe? 
Preferisco credere che la BCE abbia infine compreso il suo ruolo di garante. 
Sin dall'inizio l’unione monetaria doveva essere il primo passo verso una vera unione economica che, dopo due decenni, non si è ancora realizzata. 
Ora potremmo essere più vicini a quel traguardo.
D’altronde la governatrice Christine Lagarde ha rivendicato un ruolo attivo nella lotta al cambiamento climatico. Ma una volta che ammetti di poter spendere, lo puoi fare per la sanità, per il lavoro e per tante altre cose fondamentali».

È davvero sicura che dare il potere ai politici di stampare moneta invece che ai banchieri centrali sia una buona idea? Un recensore molto critico lo paragonava a dare le chiavi del casinò a un ludopatico ...

«La Mmt fornisce linee guida economiche, non soluzioni chiavi in mano. Ogni Stato può scegliere cosa prendere dei nostri contributi. Se l’Italia si fida più dei governatori che dei ministri, va bene. 
La cosa importante sta nel sottotitolo del libro: “Un’economia al servizio del popolo”. Significa che le persone devono sapere che il debito non è un tabù, esistono punti di vista alternativi e se ne può chieder conto a chi comanda. Sarebbe bello che chi governa fissasse alcuni traguardi economici e si potesse verificare quali e quanti vengono raggiunti. La premier neozelandese l’ha fatto ed è stata ricompensata».

Lei è stata per anni consigliera di Bernie Sanders, che ha perso. Però è stata anche tra gli otto consulenti economici del candidato Biden: sarà sensibile alle vostre ricette?

«Cosa il presidente potrà fare dipende molto dalla circostanza se i democratici controlleranno o meno il Senato. Ha annunciato 2 trilioni contro il riscaldamento climatico, 700 miliardi sulle infrastrutture, altrettanti per l’istruzione e così via. 
Sono numeri importanti che testimoniano una nuova ambizione. Superiore rispetto a quella di Obama nel 2008, troppo preoccupato dal deficit. Biden non vuole patrimoniali sui ricchi, ma non si può avere tutto subito».

Uno dei passaggi più seducenti è quello sulla garanzia pubblica di un lavoro, una sorta di keynesismo del ventunesimo secolo. Come funzionerebbe?

«Le comunità locali dovrebbero individuare lavori socialmente utili che poi sarebbero pagati dallo Stato. Immagino un’economia della cura, che va dal piantare alberi all’aiutare gli anziani. Sarebbe una rete di salvataggio per chi è disoccupato, fin quando resta tale. Molto meglio che ricevere un sussidio. In quest’economia di guerra è più facile coglierne l’utilità, ma penso che dovrebbe essere mantenuta anche in “tempo di pace”».

Così, sostiene, potreste finanziare anche un servizio sanitario universale, lo scandalo numero uno del vostro modello.

«Sì. Durante la campagna elettorale l’ho ripetuto alla sfinimento: spiegate che il Medicare per tutti non sarebbe un costo supplementare, ma il contrario. Oggi il 18 per cento del nostro Pil va nel sistema sanitario più inefficiente del mondo. Con un sistema più simile al vostro, risparmieremmo un sacco. Corrisponderebbe a un taglio delle tasse. Tranne Sanders e, una sola volta, la senatrice Warren, nessuno l’ha detto così chiaramente. Chi può essere contrario a una cosa che costa meno e funziona meglio? Eppure...».


Stephanie Kelton, 51 anni, economista, per anni consigliera di Bernie Sanders e nel gruppo degli otto consiglieri economici di Joe Biden. 

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