venerdì 16 marzo 2018

Miti e Leggende sull'Immortalità

Con il termine 'immortalità' si intende la capacità o possibilità di sopravvivere in eterno. Se si escludono le figure retoriche, ad esempio l'immortalità artistica e quella storica, esistono due accezioni del sostantivo: immortalità spirituale ed immortalità fisica.

Chiunque avverta nella realtà in cui viviamo un misterioso elemento impercettibile ai sensi ed impossibile da collocare nel regno della materialità, tende a sperimentare una visione trascendente della vita, e sulla scorta di questa consapevolezza coltiva l'idea che l'intera macchina della creazione non potrebbe funzionare in assenza di un 'motore' spirituale. L'idea dell'immortalità spirituale scaturisce proprio dalla convinzione che per via della sua essenza immateriale lo spirito sia immune dalle leggi che governano il cosmo e la materia, quindi dalla morte.

Un'ampia parte dell'umanità tuttavia non condivide questa visione. Molti interpretano la realtà esclusivamente in termini di biologia e casualità; sono cioè convinti che qualsiasi cosa esistente in natura sia il prodotto di una serie di meccanismi naturali che si sarebbero auto-assemblati per puro caso ...



A prescindere dalle convinzioni individuali, è innegabile che l'essere umano sia il solo aggregato di materia dotato di pensiero astratto, di creatività artistica, di senso dell'umorismo e di un libero arbitrio capace di elevarlo al di sopra dei propri istinti primordiali.

Alcuni raggruppano queste ed altre facoltà sotto il nome di Coscienza, o Spirito. Questa esclusività denota tuttavia un rovescio della medaglia; l'uomo è anche l'unico essere vivente consapevole della propria finitezza.

Il pensiero della morte - nostra ed altrui - ci addolora ed atterrisce. Perfino Gesù Cristo fu pervaso dall'angoscia nell'imminenza del proprio destino, presso l'orto degli ulivi. Coscienza, animalità e materia: elementi apparentemente inconciliabili, i quali tuttavia coesistono radicalmente in qualunque essere umano.

L'Anomalia Umana

Concetto - quest'ultimo - che sollecita la nostra prima riflessione. Che la sia esamini attraverso la lente del pensiero scientifico oppure quella del misticismo, la commistione appena descritta denota un'anomalia che mal si combina con il contesto in cui ha luogo. Se dopo miliardi di anni di presunta evoluzione zoologica nessuna delle centinaia di migliaia di specie animali esistenti sulla Terra ha sviluppato una Coscienza ad eccezione di quella umana, ebbene questa è un'anomalia scientifica. D'altro canto, se il Creatore divino scelse di collocare l'umanità in una condizione di perpetua, consapevole, dolorosa finitezza, apparentemente dovrebbe trattarsi di un'anomalia teologica, in quanto sembra contraddire l'idea che il Creatore in quanto essere supremo e perfetto sia espressione di compassione e bontà infinite.

L'anomalia darwiniana è motivabile sia in termini di casualità che di causalità. La casualità - come già illustrato - vorrebbe che sull'unico pianeta biocompatibile attualmente noto, lo spontaneo processo evolutivo di innumerevoli specie animali avrebbe prodotto un'unica specie dotata di pensiero astratto. Si tratta di un'eventualità teoricamente possibile e comunemente accettata come una cosa ovvia, tuttavia appare quanto meno ambigua dal punto di vista probabilistico. La spiegazione causale invece ipotizza che gli esseri umani, data la loro essenziale unicità rispetto a qualsiasi altro essere vivente sulla Terra, in realtà non sarebbero originari di questo pianeta. In parole povere noialtri umani saremmo una specie 'aliena' collocata in un habitat improprio, di conseguenza avremmo causato un grave squilibrio all'interno di un ecosistema altrimenti armonioso e preciso come un meccanismo ad orologeria.

L'anomalia teologica è stata oggetto di numerose speculazioni. I testi sacri di due delle più diffuse religioni della storia, Zoroastrismo e Giudaismo, si riferiscono ad essa in termini di Peccato Originale e conseguente Caduta del genere umano. Secondo la loro versione dei fatti, nella notte dei tempi gli esseri umani si sarebbero macchiati di una gravissima trasgressione delle leggi divine, punita dal Creatore con una sorta di 'declassamento' della loro condizione esistenziale: da un primordiale status di innocenza edenica e consapevolezza della propria immortalità spirituale, all'attuale status di paura, dolore e precarietà. Talune interpretazioni sostengono che la condizione edenica includesse l'immortalità fisica, versione che tuttavia - come vedremo nella seconda parte - non combacia con il mito dell'Albero della Vita rappresentato nel Libro della Genesi.

Il misticismo cristiano tende ad affermare che la condizione riservata dal Creatore agli esseri umani non sia valutabile né comprensibile, dal momento che oltre ad essere Eterno, Immutabile, Incomparabile e Perfetto, Egli sarebbe anche imperscrutabile, ed opererebbe attraverso modi inaccessibili al pensiero umano. Tale motivazione è reputata dai razionalisti come una sorta di ridicola scappatoia dogmatica, ma in realtà - nella sua intelligente umiltà - potrebbe essere la più ragionevole.

La dottrina gnostica motiva l'anomalia umana attribuendo al Dio del cosmo il ruolo di demiurgo, divinità inferiore rispetto al Sommo, Perfetto ed Altero Creatore. Una divinità imperfetta, dunque incapace di plasmare una realtà perfetta, ed anzi artefice di un mondo mal concepito e governato da leggi brutali ed inique.



Immortalità e Longevità

Sappiamo come nel corso dei millenni si siano susseguite dottrine esoteriche, filosofiche e religiose che hanno proposto il concetto secondo cui la mortalità del corpo non coincida - almeno non necessariamente - con quella dello Spirito. Alcune di esse si riferiscono alla sopravvivenza dello spirito come ad un qualcosa da conquistare individualmente, mediante le opere compiute nel corso dell'esistenza terrena; altre lo fanno in senso deterministico: solo chi è stato predestinato dal Creatore sopravvivrà in Spirito. Altre ancora non contemplano alcuna distinzione, asserendo che ogni singolo essere vivente sia in realtà uno spirito più o meno evoluto in rapporto alla propria anzianità ed alla qualità delle opere compiute durante le proprie reincarnazioni terrene.

Sappiamo inoltre che il fine ultimo delle avanguardie scientifiche e tecnologiche nel corso dei secoli sia stato quello di dimostrare che la mortalità del corpo fisico non debba necessariamente essere considerata come un evento inevitabile o permanente, ed in ultima analisi non debba necessariamente coincidere con quella della mente, dei ricordi, della personalità. Anche qui, abbiamo le scienze mediche e farmaceutiche che ufficialmente mirano a prolungare oltre ogni aspettativa la durata della vita umana. Abbiamo un sacco di gente che si è affidata a sistemi basati sulla conservazione dei cadaveri nell'attesa che il progresso scientifico produca soluzioni in grado di curare e resuscitare (criogenesi). Ed ultimamente abbiamo le biotecnologie, l'informatica, la genetica che si propongono di modificare la struttura biologica umana e fonderla con la tecnologia, così da prolungarne la longevità, possibilmente all'infinito.

Comparando i due approcci le differenze saltano immediatamente all'occhio. Mentre l'immortalità descritta dalle dottrine spirituali ha per oggetto una presunta entità immateriale, dunque non subordinata al regime della materia e del tempo, quella a cui fanno riferimento le discipline scientifiche interessa la corporeità, sia essa intesa sotto forma di potenziamento di un organismo biologico, ovvero di un supporto biotecnologico in grado di 'recepire' i 'dati' archiviati nel cervello di una persona defunta, così da farla 'rivivere' sotto nuove spoglie.

Questo ragionamento ha il merito di indirizzarci verso il primo caposaldo della discussione. La vera immortalità - intesa come vita realmente eterna - non potrà mai essere conseguita nel regno della materialità, e ciò a prescindere dai progressi raggiungibili da discipline quali le scienze e la tecnica.

La fisica ci insegna che qualsiasi cosa esistente in natura sia ineluttabilmente destinata a deteriorarsi e morire. 

Dal più minuscolo insetto al più imponente corpo celeste, l'entropia non fa sconti: puoi essere molto longevo, sopravvivere centinaia, migliaia o milioni di anni, ma non puoi evitare che un giorno il tempo giunga a riscuotere il conto, trasformandoti in qualcos'altro. Apparentemente quella della biodegradazione ha tutta l'aria di essere una legge di natura, inalterabile e realmente democratica. Si può supporre - e magari augurarsi - che i progressi compiuti dalle discipline di cui sopra riescano un giorno a prolungare la longevità degli esseri umani, ma non è possibile ignorare che si tratterebbe comunque di un'esistenza destinata a scomporsi e concludersi, prima o poi.

"Stando agli studi del biologo ed evoluzionista Steven Austad, anche eliminate le cause di invecchiamento e malattia, l’uomo avrebbe comunque a che fare con un numero di possibilità di morte che ne ridurrebbero la vita media a 'soli' 5.775 anni."
Fonte

Nel caso in cui - per amor di discussione - volessimo accantonare le considerazioni di cui sopra ed ipotizzare il raggiungimento di una innaturale, magica immortalità fisica, dovremmo considerare che colui il quale ne usufruisse, alla lunga si troverebbe a vivere un destino degno dei più allucinanti romanzi di H. P. Lovecraft. Prima o poi la Terra e gli astri si estinguerebbero, e costui si ritroverebbe a fluttuare nello spazio profondo in completa solitudine, nella più fredda e completa oscurità. Destino che rispecchia l'epilogo di una famosa leggenda irlandese di cui parleremo più avanti.

Di conseguenza, possiamo affermare che quando nel corso della storia umana i miti e le scienze hanno parlato di immortalità fisica, lo hanno fatto sempre impropriamente. Il pensiero scientifico e la semplice osservazione della realtà ci dicono che la struttura della materia sia incompatibile al concetto di eternità. Ciò che l'umanità sta inseguendo grazie agli studi scientifici e tecnologici è l'allungamento della longevità; non la vita eterna.


Al contrario, il concetto di immortalità descritto da coloro i quali credono nell'esistenza di uno spirito ci sembra più appropriato quantomeno concettualmente, in quanto presuppone un'immortalità sovrannaturale, ottenuta al di fuori delle leggi della materia e del tempo.

Molti articoli pubblicati su questo blog hanno cercato di sbirciare oltre il velo della materialità; il tema dello Spirito/Coscienza è così ampio e complesso da apparire inesauribile. In questa sede però punteremo i riflettori sulla nostra componente materiale, animale, e sulla sua più che comprensibile paura dell'oblio. Era inevitabile che l'infausto destino riservato alla persona speciale che vediamo quotidianamente riflessa nello specchio animasse le gesta - e le fantasie - di tanti uomini, i quali hanno votato le loro esistenze alla ricerca di un elemento che fosse in grado di imbrigliare le leggi di natura, spezzare il ciclo del deterioramento e ritardare la morte fino ai confini del tempo.


Benedizione o Maledizione?

Tuttavia, prima di inoltrarci nei miti sorti intorno alla ricerca della vita (quasi) eterna, vogliamo sottolineare come esista una nutrita scuola di pensiero che si oppone al perseguimento dell'immortalità fisica, avendo sviluppato un'idea pessimistica circa le conseguenze che una simile conquista potrebbe produrre. Il filosofo Jean Baudrillard non usò perifrasi quando affermò che: "... ciecamente sogniamo di superare la morte attraverso l'immortalità anche se da sempre l'immortalità ha rappresentato la peggiore delle condanne, il destino più terrificante." Il giornalista Herb Caen più ironicamente considerò che: "l'unica cosa sbagliata dell'immortalità è che tende ad andare avanti all'infinito."

Se inquadrato in ottica antropologica e sociologica è innegabile che l'eventuale conseguimento di un'immortalità 'di specie' potrebbe produrre conseguenze nefaste per l'equilibrio della comunità umana.


"Con la limitazione delle nuove nascite, la nostra civiltà cesserebbe di rinnovarsi e di produrre nuove idee. I vivi farebbero di tutto per impedire ulteriori nascite; le loro idee ed i vecchi oligopoli si cristallizzerebbero. Questo, vedete, sarebbe una vera maledizione per l'intera l'umanità."
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Anche spostando il punto di vista dalla società al singolo individuo, ed elaborando il concetto fino alle sue estreme conseguenze, ci ritroviamo di fronte ad una serie di potenziali prospettive non molto allettanti.

"Immagina di dover assistere all'invecchiamento ed alla morte di tutti coloro che ami, mentre tu resti perennemente giovane. Come potrebbe una persona sperare di coltivare un qualsiasi attaccamento emotivo e personale verso un altro essere umano? A che punto smetterebbe di preoccuparsi? L'apatia sarebbe una cosa positiva o negativa?"
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Quello dell'apatia, con conseguente trasformazione o soppressione delle qualità connaturate alla nostra essenza umana e mortale, è un tema molto gettonato nelle discussioni filosofiche circa le implicazioni prodotte da un'ipotetica vita (quasi) eterna.

"Senza una scadenza esistenziale, smetteresti di fare. La percezione del tempo tende ad accelerare con l'invecchiamento. Chiunque con 10.000 anni di età vivrebbe il tempo in maniera estremamente più veloce rispetto al proprio prossimo, e ciò lo renderebbe del tutto separato dal resto del mondo. Il tempo per costui non significherebbe alcunché. La sua mente si indebolirebbe progressivamente fino a trasformarsi in una sorta di roccia, una cosa inerte, che resta immobile milioni e milioni di anni."
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Si tratta del primo dato sorprendente emerso durante questo approfondimento: le persone che temono e/o disprezzano la possibilità di prolungare indefinitamente la durata dell'esistenza fisica sembrano essere altrettanto numerose di quelle che invece farebbero di tutto per ottenerla. I detrattori sostengono che un simile destino alla lunga si rivelerebbe doloroso ed orribile ben oltre i limiti dell'umana immaginazione.
Dunque è proprio da questa prospettiva che vogliamo iniziare il nostro percorso; dall'immortalità intesa come una maledizione.

L'Ebreo Errante

Il mito più conosciuto che attribuisce all'estrema longevità una connotazione negativa è quello dell'Ebreo Errante. La leggenda cristiana narra che un uomo ebreo, reo di avere oltraggiato Gesù durante l'evento della Passione, sarebbe stato maledetto dal Messia con le seguenti parole: "attenderai fino al mio ritorno." La maledizione avrebbe reso quell'uomo immortale, condannandolo a vagare senza scopo né riposo sulla terra fino alla Seconda Venuta del Cristo.

"Le caratteristiche dell'errante variano a seconda delle differenti versioni del racconto leggendario: a volte si dice che fosse un antico ciabattino o mercante di Gerusalemme; a volte una guardia dei sommi sacerdoti oppure il custode del palazzo di Ponzio Pilato, o ancora un romano-giudeo. Per molti comunque incarnerebbe colui che, in ultima istanza, non avendo accolto, o comunque soccorso il Cristo sofferente, fu costretto a vagare per sempre."
Fonte

E' interessante notare come il mito dell'Ebreo Errante tenda a confondersi con la realtà storica. Il cronista medievale inglese Roger of Wendover riferì nel suo Flores Historiarum che un arcivescovo della Grande Armenia in visita in Inghilterra nel 1228, avesse affermato che in quel paese vivesse un uomo chiamato Cartaphilus - successivamente ribattezzato con il nome di Joseph - che sosteneva di essere stato il custode del palazzo di Ponzio Pilato e di avere schiaffeggiato Gesù mentre si dirigeva verso il Calvario, sollecitandolo ad accelerare il passo. Secondo l'uomo, Gesù gli aveva risposto: "Vado, ma tu attenderai fino al mio ritorno." E da quel momento Cartaphilus aveva smesso di invecchiare ed ammalarsi. Successivamente si era convertito al Cristianesimo ed aveva intrapreso sotto il nome di Joseph una vita irreprensibile nella speranza - infine - di essere salvato. Un'integrazione italiana della storia narra che il nome dell'Errante successivamente fosse stato ancora modificato in Giovanni Buttadeo.

Il mito proseguì a confondersi con il resoconto storiografico grazie ad uno dei più famosi astronomi e astrologi italiani del XIII secolo, nonché "il più autorevole trattatista di astrologia del Medioevo italiano." Si chiamava Guido Bonatti, e riferì di un passaggio dell'Ebreo errante presso la città di Forlì, nel 1267.

Una Cronaca rimata del XIII secolo realizzata da Philippe Mousqkes, arcivescovo di Tournai, fece eco al racconto di Roger of Wendover confermando la presenza dell'Errante in Armenia, nel XIII secolo.

Nel XVI secolo l'Ebreo Errante ricomparve, citato in una lettera attribuita a Chrysostomo Dedalaeo Vestphalo, nella quale viene narrato come Paul af Eitzen, vescovo di Schleswig, in Danimarca, affermò che nel 1547 avesse incontrato l'Errante in una chiesa di Amburgo ed avesse intrattenuto con lui una lunga conversazione. In quell'occasione il nome dell'Errante era Ahasvero (o Assuero, nome persiano citato anche nel Libro di Ester della Bibbia).

Circa un secolo più tardi la leggenda fu codificata in un pamphlet di quattro pagine intitolato Kurtze Beschreibung und Erzählung von einem Juden mit Namen Ahasverus (Descrizione di Kurtze di un Ebreo di Nome Assuero), secondo alcuni stampato a Leida nel 1602 da un certo Christoff Crutzer. Tuttavia non esistono prove dell'esistenza di una tipografia presso Leida in quell'anno. Successivamente il libretto fu accusato di strumentalizzare la leggenda per propagandare sentimenti di antisemitismo. Infatti il mito fu accostato metaforicamente alla condizione delle genti ebraiche, iniziata con la presunta condanna divina che li disperse nel mondo come punizione per la crocifissione del Cristo.

Una variante della storia fu applicata anche a Longino, il soldato che trafisse il costato di Gesù mentre era appeso alla croce, e la cui lancia nel mito diventò una potente reliquia cristiana. Ancora un'altra versione dichiara che l'Errante fosse il servo Malco, al quale San Pietro mozzò un orecchio nel giardino del Getsemani (Giovanni 18:10), e che in seguito fu condannato a vagare fino alla Seconda Venuta.

Attualmente il mito dell'Ebreo Errante è più vivo che mai, dal momento che numerose opere artistiche e di fiction continuano a citarlo regolarmente. Se il racconto fosse vero, questo personaggio starebbe ancora vagando in mezzo a noi, nell'attesa del ritorno del Messia.


Miti Classici

Torniamo indietro nel tempo fino alla Grecia classica, per dare un'occhiata a quelli che probabilmente furono i primi miti che attribuirono al concetto di immortalità un'accezione negativa.

Le storie di personaggi mitologici quali Ade, Sisifo e Prometeo testimoniano come in effetti molta mitologia greca sollevi la questione se l'immortalità sarebbe una cosa realmente positiva per gli esseri umani. Il destino, il caso, o anche il sadismo degli deisono in grado di tramutare in un istante la più desiderabile delle benedizioni nella più tragica delle maledizioni.

Il mito greco che meglio incarna questo concetto è quello di Eos e Titone. La leggenda narra che Titone - figlio di Laomedonte e fratello di Priamo - fosse un giovane talmente bello da fare innamorare l'Aurora - la bella ed eternamente giovane Eos - la quale lo rapì conducendolo in cielo, e lo scelse come sposo. La dea ottenne per lui da Giove il privilegio dell'immortalità, ma si scordò di richiedere anche l'eterna giovinezza; fu così che Eos, eternamente giovane, fu condannata a restare unita per sempre a Titone, eternamente vecchio.

Utnapishtim

Il mito di Eos e Titone ricorda la storia di Utnapishtim, personaggio dell'Epopea di Gilgamesh, che ricevette dagli dei il dono dell'immortalità, ma non quello dell'eterna giovinezza. Torneremo sul Gilgamesh nella seconda parte dell'articolo.

La Sibilla Cumana

Identiche similitudini riscontrabili anche nel mito della Sibilla di Cuma. Nell'antichità il titolo di Sibilla Cumana spettava alla somma sacerdotessa dell'oracolo di Apollo (divinità solare) ed Ecate (dea lunare pre-ellenica), oracolo situato in una località della Magna Grecia chiamata Cuma, nei pressi del Lago d'Averno, in una caverna conosciuta come Antro della Sibilla. L'importanza della Sibilla nel mondo romano era pari a quella del celebre oracolo di Delfi in Grecia.

Secondo il mito, la Sibilla di Cuma grazie ai suoi poteri attirò su di se l'attenzione di Apollo, il quale in cambio di una notte con lui le offrì la possibilità di esprimere un desiderio. La donna domandò in dono tanti anni di vita quanti granelli di sabbia fosse stata capace di stringere nelle proprie mani. La richiesta indispettì il dio del sole, il quale decise di esaudire in modo beffardo il desiderio, donandole la vita eterna ma non l'eterna giovinezza. Con il trascorrere del tempo la Sibilla invecchiò, perse sostanza fisica e si ridusse lentamente ad un piccolo e fragile corpo immortale, così minuscolo da poter vivere in un vaso. Il suo contenitore fu appeso ad un albero; la Sibilla non aveva bisogno di cibo o acqua, in quanto impossibilitata a morire di fame o di sete. Per cui fu lasciata in quel vaso a fare da bersaglio allo scherno dei bambini: "Sibilla, Sibilla, perché non ci dici che cosa desideri?" Al che lei replicava debolmente sempre con le stesse parole: "Vorrei tanto morire."


La Punizione di Ashwathama

Il Mahabharata (traduzione dal sanscrito: Grande Epopea della Dinastia Bharata) è uno dei due grandi poemi epici sanscriti dell'antica India (l'altro è il Ramayana). Si tratta di un'importante fonte di informazioni circa lo sviluppo dell'Induismo tra il 400 aC e il 200 dC. Dagli induisti è considerato sia un testo sulla legge morale che una fedele documentazione storiografica. L'epopea narra della lotta per la conquista del potere tra la famiglia Kaurava e la famiglia Pandavas. Il poema è composto da quasi 100.000 distici, pari a circa sette volte la lunghezza dell'Iliade e dell'Odissea messe insieme. Sebbene sembri improbabile che sia stato scritto da una singola persona, la sua paternità è attribuita al saggio Vyasa, che nel testo stesso appare come personaggio secondario nelle vesti del nonno comune alle due famiglie in guerra.

Il Mahabharata è talmente lungo, ed ha una trama talmente intricata, da scoraggiare la maggior parte dei lettori occasionali. Tutto ciò perché si tratta di un'epopea stracolma di personaggi, ognuno dei quali è correlato all'altro in moltissimi modi diversi. Tra i personaggi secondari della saga vi è il potente guerriero Ashwatthama.

Ashwatthama era nato con una gemma incastonata nella fronte, una pietra magica da cui scaturivano tutte le sue straordinarie abilità militaresche. Era stato allevato ed istruito affinché diventasse un valoroso guerriero ed arciere. Durante la guerra del Mahabharata, Ashwatthama combatté nel campo del Kaurava al fianco del proprio padre. Successivamente, una serie di tragici equivoci in larga parte scaturiti dal suo cieco odio nei confronti della stirpe dei Pandavas, lo indusse ad usare la terribile arma chiamata Brahmastra per uccidere il figlio non ancora nato dell'ultimo discendente dei Pandavas. In tal modo pose fine all'antichissimo lignaggio dei Pandavas.

Infuriato a causa della perdita provocata da Ashwatthama, il Signore Krishna maledisse il guerriero, gli strappò la gemma dalla fronte e lo condannò a vagare sulla Terra all'infinito, gravato dal peso dei propri peccati (secondo talune versioni, perennemente ammalato di lebbra), senza mai poter ricevere alcun amore né compassione. La leggenda narra che da quel funesto giorno Ashwatthama vaghi sulla Terra in cerca di salvezza.

Come nel caso dell'Ebreo Errante, anche qui il mito tende a confondersi con la realtà. E' infatti noto come nei secoli successivi numerose persone abbiano affermato di aver incontrato Ashwatthama in carne ed ossa. Un medico residente nel Madhya Pradesh - stato federato dell'India centrale - testimoniò di avere avuto un paziente con una ferita incurabile sulla fronte. Nessun medicamento faceva effetto su quella ferita. Quando il medico iniziò a manifestare uno spiccato interesse accademico verso quella strana ferita incurabile, il paziente fuggì e sparì senza lasciare traccia.

Una tradizione locale afferma che vicino alla corporazione municipale di Burhanpur vi sia un villaggio contenente un maniero chiamato Asirgarh. Secondo la gente del posto, ogni mattina Ashwatthama in persona si recherebbe presso il maniero per depositare dei fiori alla base di una statua di Shiva. Altri resoconti - infine - affermano che Ashwatthama viva ancora oggi tra le tribù stanziate ai piedi dell'Himalaya.

Nuovamente un mito sull'immortalità che sottolinea a chiare lettere come l'ambiguo 'dono' dell'immortalità fisica possa diventare una tragica maledizione se coniugato alla volubilità del fato e degli dei ed all'ignoranza degli esseri umani.

Questa pericolosa incompatibilità è stata resa in modo magistrale da un un racconto piuttosto recente, non mitologico ma profondamente archetipico; entrato di forza nell'immaginario collettivo sotto forma di perfetta rappresentazione degli impulsi stanti alla base della brama di vita eterna, e delle conseguenze - spesso sottovalutate - che una simile conquista potrebbe comportare.


Il Ritratto di Dorian Gray

Stiamo parlando de Il Ritratto di Dorian Gray, primo ed unico romanzo di Oscar Wilde, pubblicato per la prima volta nel numero di luglio del 1890 sulla rivista mensile inglese Lippincott.

Il romanzo - ambientato nella Londra vittoriana del XIX secolo - narra di Dorian Gray, giovane di bell'aspetto che si lascia plagiare dalle idee edonistiche del mecenate Lord Henry Wotton, e diventa talmente schiavo del proprio narcisismo da sprofondare in una spirale di meschinità ed innaturalità.

Wotton e Dorian si conoscono mentre quest'ultimo sta posando come modello per un ritratto del pittore Basil Hallward. L'immagine 'immortalata' del dipinto è talmente splendida da suscitare l'invidia di Dorian, incapace di accettare che quella figura sia destinata a restare eternamente giovane e bella, mentre egli - controparte originale vivente - dovrà invecchiare e sfiorire.


"Io dovrei restare eternamente giovane, mentre è quell'immagine che dovrebbe invecchiare! Darei la mia anima affinché ciò accadesse."

In altre parole, corrotto dalla propria ossessione per la bellezza e la giovinezza, Dorian giunge a stipulare un patto col diavolo per poter rimanere eternamente giovane e bello; sarà il suo ritratto a mostrare i segni della decadenza fisica e corruzione morale.

Dopo aver ceduto la propria anima al diavolo Dorian acquisisce il dono dell'immortalità. Non invecchia e sembra essere immune da tutte le malattie ed infezioni. Tuttavia la sua progressiva corruzione morale, combinata all'influenza nefasta del luciferino Lord Henry, rende il giovane una persona sempre più spregevole.

Il concetto di immortalità ne Il Ritratto di Dorian Gray ha una connotazione estremamente negativa; si tratta di qualcosa che sulle prime appare inebriante e potente, la quale tuttavia con il trascorrere del tempo rivela alcune inevitabili controindicazioni. Che cosa resta, dopo aver vissuto fino in fondo qualsiasi possibile emozione? Solo apatia, noia, ed un profondo senso di colpa a causa delle scelte compiute.

L'atto finale del romanzo rappresenta il sincero desiderio di rinascita; di ricominciare per non commettere gli stessi errori. Ma questo proposito è inattuabile; non esiste alcuna possibilità di redenzione. Dorian è ormai un corpo perfetto ma completamente svuotato dall'assenza di quella Coscienza che volle usare come merce di scambio, ed il finale della storia non lascia spazio ad alcun ottimismo.


Jack o'Lantern

Concludiamo questa rassegna di miti 'maledetti' con un'antica leggenda druidica diventata fiaba irlandese e successivamente icona della (tristemente) popolare festa di Halloween. Stiamo parlando della storia di Stingy Jack, fabbro irlandese di un'epoca imprecisata, entrato nella leggenda con il nome di Jack o' Lantern.

Stingy Jack era un uomo ormai condannato alla dannazione a causa dei propri vizi e del proprio animo avido e cinico. Un sera il diavolo si presentò nella locanda in cui Jack era solito ubriacarsi, per reclamarne l'anima. Come ultimo desiderio Jack chiese astutamente al diavolo di trasformarsi in una moneta con cui avesse potuto pagarsi un'ultima bevuta. Quando il diavolo acconsentì, Jack lestamente infilò la moneta nel proprio borsello, sigillandolo con una croce d'argento, cosicché il diavolo non potesse più uscirne. In cambio della libertà il diavolo gli promise di ritardare di una decade la 'riscossione' della sua anima; soddisfatto, Jack lo lasciò andare.


Dieci anni più tardi il diavolo si ripresentò a reclamare il dovuto, e stavolta Jack lo raggirò chiedendogli di raccogliere una mela da un albero, prima di carpirgli l'anima. Il diavolo si prestò nuovamente al gioco ed acconsentì. Al che Jack incise astutamente una croce sul tronco dell'albero, in modo tale che il diavolo restasse intrappolato sulla sua cima, ed impossibilitato a ridiscenderne. Ancora una volta Jack ottenne un beneficio come prezzo per cancellare l'incisione e lasciare andare il diavolo. Il prezzo da pagare fu l'impegno a rinunciare definitivamente alla sua anima, risparmiandogli la dannazione eterna. Il diavolo accettò.

Anche qui la morale della storia ci mette di fronte ai limiti del pensiero umano. Il furbo (ma non troppo) Jack infatti non aveva pensato proprio a tutto. Quando giunse il suo momento andò a bussare alle porte del Paradiso, ma dati i suoi trascorsi non gli fu permesso di entrare. Disorientato da questa condizione di 'morto vivente' Jack decise allora di presentarsi all'Inferno, ed a quel punto il diavolo gli rammentò il patto e gli negò l'ingresso, condannandolo ad errare per sempre sotto forma di anima tormentata, in un perenne limbo fatto di solitudine, freddo ed oscurità. Di fronte alle sue rimostranze il diavolo - mosso a compassione - gli fece dono di un tizzone ardente, che Jack posizionò all'interno di una rapa (nelle versioni successive diventò una zucca). Da quel giorno Jack 'o' Lantern iniziò un infinito girovagare alla disperata ricerca di qualcuno o qualcosa che fosse in grado di donargli l'eterno riposo.

Ciascuna di queste storie ha il merito di rimarcare un aspetto sottovalutato da chiunque sogni di conquistare l'immortalità fisica. Per quanto evoluti, intelligenti e furbi (ma non troppo, proprio come Jack) riteniamo di essere, noi umani siamo irreparabilmente ignoranti di fronte al Grande Mistero della vita. In altre parole nessuno può garantirci che ciò che tendiamo a considerare come la più munifica delle benedizioni, possa rivelarsi in realtà l'esatto opposto, cioè la più pericolosa ed irreparabile delle maledizioni.

Non c'è problema

Aspetto - questo - che è stato sottovalutato da un ampio insieme di persone, le quali hanno votato la loro esistenze alla ricerca della chiave per vivere in eterno, o per andarci vicino. Nella seconda parte dell'articolo ci occuperemo di queste persone, dei miti sorti intorno alle loro opere, e delle nozioni che hanno lasciato in eredità ai posteri.

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