domenica 3 giugno 2018

Il giornalismo della maldicenza

di Giuseppe D'Avanzo

L'Italia ha molti guai e tra i suoi guai c'è, senza dubbio, il giornalismo. 

Nelle democrazie mature d'Occidente il giornalismo è spesso una parte della soluzione, qui da noi è un problema che rende più arduo venire a capo delle anomalie nazionali. 

Se questo avviene, un motivo c'è: l'informazione è stata degradata a chiacchiera. 
In un certo posto, a una certa ora del giorno, qualcuno dice qualcosa. 

Non è accaduto nulla. 
C'è uno che ha espresso un'opinione, ma quella diventa la notizia del giorno. 

Sulla finta notizia si raccolgono pareri, si scrivono editoriali, si titolano le prime pagine, si combinano interviste. 
Meglio se un tipo del centrosinistra si lancia contro Romano Prodi o uno del centrodestra dà sulla voce a Silvio Berlusconi (l'art. è del 2006 - NdC)
Ottimo se in questa routine si possa sistemare, con qualche ghirigoro, un pettegolezzo.. 

Si conoscono tra gli addetti molte frasi famose di questo canone giornalistico. Quella che qui conta suona così:
  «Non parlatemi di inchieste giornalistiche, che mi viene l'orticaria».


Un'inchiesta giornalistica è la paziente fatica di portare alla luce i fatti, di mostrarli nella loro forza incoercibile e nella loro durezza. 

Il buon giornalismo sa che i fatti non sono mai al sicuro nelle mani del potere e se ne fa custode nell'interesse dell'opinione pubblica e anche nell'interesse della politica perché senza fatti la politica annienta se stessa. 

È per proteggere se stessa che la democrazia prevede nel suo ordinamento costituzionale alcuni «rifugi della verità» garantiti - le università, le magistrature - e difende dai governi la libertà di stampa senza la quale, in un mondo che cambia, «non sapremmo mai dove siamo». 

Il giornalismo della chiacchiera e della maldicenza dimentica il suo dovere di raccontare «dove siamo». 
Non guarda ai fatti, non li cerca, non vuole trovarli, soprattutto non ne vuole tenere conto. 
Quando si ritrova improvvisamente qualche fatterello tra i piedi, lo trasforma in opinione. 
Screditata a opinione, la verità di fatto è fottuta perché diventa irrilevante. 


Ma è appunto in questo "salto" l'astuzia del gioco. Accantonata la realtà, quel che resta si può combinare a mano libera. Ogni cosa è uguale al suo contrario. Ognuno è uguale all'altro. Non contano più comportamenti, responsabilità, abitudini, attitudini, condotte, decisioni, direzioni, orizzonti. 

Liberatosi dalla inevitabilità dei fatti, questo giornalismo deforme è ora il padrone della scacchiera. Muove torri e pedoni. Nella notte dove tutto è nero, nel vuoto di realtà creato, il lettore è frastornato. «Chi ha fatto che cosa?», non trova mai una risposta...

...Continua qui (articolo del 10 luglio 2006): ricerca.repubblica.it

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