venerdì 13 aprile 2018

La ricchezza interiore

Tratto dal libro "Le Grandi Verità" - Edizioni Mediterranee

L'uomo della civiltà occidentale riversa tutta la sua attenzione sul mondo da lui creduto esterno, e tutta la sua attività la indirizza verso fini che hanno attinenza con quel mondo. 

Anche la preparazione, la cultura, la professionalità, la perizia, insomma tutte quelle doti che sono patrimonio della persona, sono importanti solo per quanto possono valere nella società, per quanta importanza possono attribuire a chi le possiede e, conseguentemente, per quanta stima o prestigio riescono a fargli riscuotere.

Questo finalizzare la propria vita verso obbiettivi che riguardano il mondo esterno, fa sì che l'intimo dell'essere, con tutti i suoi moti dell'animo, rimanga per l'uomo occidentale assolutamente sconosciuto. Le ragioni che determinano i comportamenti, almeno quelle più recondite, rimangono ignorate, e quando i comportamenti sono anomali si vorrebbero correggere senza prendere in considerazione le cause intime che li scatenano.

A tale ignoranza della propria vita intima fa coronamento un vuoto interiore abissale. Così, mentre ciascuno cerca di organizzare e di programmare la propria vita di relazione, nessuno dedica il suo tempo ad analizzare se stesso. A tale attività esteriore non fa riscontro una riflessione, una meditazione tesa a lievitare le qualità intime migliori: la capacità di sentire ...


Chi non è capace di vibrare interiormente, chi si annoia se non è posto in contatto con situazioni dinamiche che dànno sensazioni forti, chi non ha la sensibilità di sentirsi pago anche con la sua sola vita intima, è una creatura che non possiede la più vera e la più bella ricchezza, quella interiore.

Avere una vita interiore od essere interiormente ricchi significa trovare nel proprio intimo tutti quegli incentivi, quei motivi che fanno vivere e che generalmente sono cercati nel mondo esterno; significa avere una vita di pensiero che non sia vòlta esclusivamente a indirizzare e dirigere la propria attività; significa non annoiarsi restando soli con se stessi e avere tanta sensibilità da emozionarsi con la meditazione come altri si emozionano nell'ammirazione, per esempio, di paesaggi sconosciuti.

Tutto ciò non significa vivere staccati dalla realtà, in un mondo di fantasia; al contrario; significa vivere più intensamente, avere la capacità di vibrare non solo con gli stimoli grossolani ma anche con le sole sfumature; soprattutto significa avere delle doti e delle qualità interiori tali da costituire un mondo in attività anche nell'isolamento più totale, ed essere, in mezzo agli uomini, un punto di orientamento da cui possano trarre forza e ispirazione per la loro vita.

Chi possiede la ricchezza interiore non vive mai solo per se stesso; ecco perché essa non può e non deve essere considerata come un insieme di qualità di cui ornarsi. Sarebbe un errore considerarla fine a se stessa; e se è auspicabile, non lo è perché valorizza chi la possiede; è importante e auspicabile perché amplia lo spazio in cui l'uomo può avere esperienze e, quindi, stimoli che incrementano il destarsi alla vita di coscienza.

Chi non ha una sua vita interiore, chi cerca stimoli esclusivamente dalle situazioni del mondo esterno, finisce col saturarsi di quelle situazioni, e per trovare nuovi stimoli, si direbbe per fuggire la noia, per richiamare l'attenzione degli altri su di sé, per colmare in qualche modo il suo vuoto interiore, può perfino ammalarsi. Quale motivo di interesse, di autocompatimento sono le proprie malattie!

State attenti a non far diventate scopo della vita i vostri malanni più o meno immaginari; cercate di non creare, o di non esagerare, i vostri problemi; cercate di non farli diventare qualcosa che serva a colmare il vostro vuoto interiore.

Chi dà sapore alla vita solo per mezzo degli stimoli che gli vengono dal mondo esterno, quando questi gli vengono a mancare, o non gli dicono più nulla, si trova faccia a faccia col suo vuoto interiore e resta attanagliato dall'angoscia. Nasce così il problema di come sfuggire all'angoscia. 


I frutti del vuoto interiore

Le soluzioni che si adottano possono essere molteplici e più o meno tragiche. Dalla ricerca di conforto e di aiuto da parte di qualche sedicente maestro, alle droghe e al suicidio.

Certo è che le soluzioni sono tutte errate perché non sradicano la causa dell'angoscia che, appunto, è il vuoto interiore, ma si limitano a tamponare l'effetto cioè a tacitare l'angoscia stessa.

Cercare il conforto della protezione di qualche "istruttore spirituale " è una illusione. Nessuno può fare per il singolo quello che il singolo personalmente, individualmente deve fare; nessuno può togliervi quello che, inevitabilmente, per il vostro progresso individuale, dovete fare. Chi vi promette avanzamenti nella via dello spirito, o immunità dagli avvenimenti dolorosi, vi illude. Noi stessi, se erroneamente pensate che vi promettiamo tutto ciò, siamo per voi involontaria fonte di illusione.

Non dovete venire a noi sperando che noi possiamo farvi crescere, maturare spiritualmente o colmare il vostro vuoto interiore senza una partecipazione viva e diretta da parte vostra.

Noi siamo come il cibo per l'affamato, il quale non si sazia al solo guardare il cibo ma deve portarlo alla bocca, altrimenti non si sfamerà, né si sfamerà guardando gli altri sfamarsi. Non dovete venire a noi sperando che noi, per voi, risolviamo i vostri problemi o vi diamo serenità allontanando i motivi del vostro affanno. Noi, al massimo, possiamo insegnarvi a risolvere i problemi, a trovare in voi stessi quella forza che fa restare sereni e padroni di sé anche nelle avversità più dure. Ma sempre dovete essere voi stessi gli artefici di un tale vostro intimo cambiamento.

Ricorrere alla droga per obliare l'angoscia che nasce dal vuoto interiore è eludere il problema nel peggior modo. Non si deve credere, però, che drogati siano solo Coloro che assumono sostanze chimiche alienanti. Se drogato è colui che è ricorso a eccitanti per stordirsi e sfuggire all'assillo dei propri problemi o alla noia del proprio vuoto interiore, i drogati sono molti di più di coloro che sono bollati con un tale aggettivo: in un certo senso, drogato è colui che si stordisce con l'alcool, chi fa del sesso un eccesso, chi è posseduto dal gioco, chi si serve della religione o della politica per evadere dalla realtà, colui che riesce a vibrare, a vivere solo schiacciando gli altri, chi fa delle gare sportive un pretesto per sfogare la sua bestialità, e così via. 


I negatori della vita

Vi sono alcuni che, non sapendo come colmare il proprio vuoto interiore, finiscono con l'uccidersi. Rifiutano la vita che, a loro giudizio, non sa dare un valido motivo di essere vissuta e non si accorgono che, invece, sono loro che non sanno trovare una ragione di vita.

Piuttosto che rifiutare la vita, qualunque scopo si dia ad essa, sarà sempre uno scopo valido. Forse vivere solo perché si ha uno scopo che trascina, una qualunque mèta che si vuole raggiungere, può essere simile a trovare nelle droghe eccitanti lo stimolo a vivere; ma piuttosto che non vivere, cioè essere abulici, inerti, rinunciatari, è meglio essere degli esaltati, dei fanatici, degli invasati. Cadere nell'abulìa, nell'inerzia, nell'assenza di desiderio, è come suicidarsi, perché il desiderio è vita e vivere, anche in modo opposto al raggiungimento delle qualità interiori, alla fine porta sempre a quelle qualità, alla costituzione della coscienza individuale.

Dal proprio vuoto interiore alcuni sono portati a distruggere le qualità degli altri, dei loro simili , per sentirsi meno poveri, meno mancanti della vera ricchezza. Sono creature che comunemente si definiscono ciniche perché beffardamente disprezzano tutto.

Così facendo, oltre che distruggere se stessi distruggono gli altri. Ciò è una forma di omicidio perché, come è suicidio l'abulia, il rinunciare a lottare per vivere, così distruggere l'attività, il pensiero, le intenzioni altrui è come distruggere la loro vita nei confronti dell'umanità.

Chi veramente vale non ha bisogno di minimizzare il valore altrui; 
non teme il confronto perché neppure se lo pone; 
non vive per essere il più bravo ma ciò che fa lo fa per amore al fare, al creare. 
Chi ha questo amore non sente sacrificio e non chiede ricompensa; 
la sua ricchezza interiore è mercede sufficiente; 
non aspetta che gli altri facciano o diano l'esempio; 
non è trascinato dalla decadenza e dal dilagare della disonestà e dell'angoscia e dell'ingiustizia 
ma, al contrario, vi si oppone facendosi modello di comportamento, perché sa 
che quando il denaro diventa padrone degli uomini,
quando gli scandali si susseguono senza più scandalizzare,
quando la giustizia colpisce solo i deboli ed i poveri,
quando la ragione più non vale e si pensa solo ai propri diritti,
quando si cerca solo lo svago,
quando il divertimento più non diverte,
quando, per fare il proprio dovere, è necessario avere paura, allora, perché non accada il peggio,
è il momento di capire che ognuno è responsabile
e che a ciascuno individualmente
spetta rendere bello e funzionante il suo mondo.

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