Nelle terre oltre atlantico, “scoperte” da Cristoforo Colombo molte genti trovarono fortuna e tanta terra per mantenersi liberi.
Accadde poi che la cura personale della terra, da cui trarre sostegno alimentare, venne considerato disdicevole se si avevano i “mezzi” per comprare schiavi a cui affidare la cura della terra e dei raccolti per conto del “padrone”.
Credo che questo abbandono della cura personale del cibo per sostenere il proprio corpo sia l’errore fondamentale a cui si legano tutti gli altri errori che danno, variegata errata, forma alle società moderne disaggregate e disaggreganti.
Sembra una maledizione del cielo quella che colpisce le società che si strutturano nel gioco-giogo antico fra padroni e schiavi.
Invece, non ha nessun bisogno di intervenire il celato cielo; gli abitanti della terra sembrano non riconoscere in quel gioco-giogo antico la grande madre di tutti i mondi economici più sofisticati che nel tempo che scorre inesorabile si possano immaginare...
Se voi possedeste un orto e da quel pezzettino di terra, poniamo il caso e per esempio, provenissero l’aglio, le cipolle, le carote, le patate, i pomodori, le zucchine, le melanzane, i fagioli, i piselli, l’uva, le pesche, le mele, le pere e quanta e altra frutta e verdura vi potesse permettere l’ampiezza del vostro terreno unita alla vostra capacità di prendervi cura dei frutti che quella terra potrebbe darvi, senza chiedervi nessuna ricompensa. (Eh si perché alla Terra è sconosciuto il vostro mondo economico.)
Questo cibo, vegetariano in questo nostro esempio, sarebbe “toccato” dalla Terra, dagli insetti (api per esempio), dall’acqua piovana e/o da quella proveniente dal vostro rubinetto o dall’eventuale ruscello vicino che si spera limpido, dal vento, dal sole, da qualche animaletto curioso o semplicemente affamato. Questo sarebbe il miglior cibo che potreste immaginare per sostenere il vostro corpo; semplicemente perché è stato “toccato” solo dalla natura e da voi. Sarebbe anche il miglior cibo che voi potreste immaginare di mettere su una tavola, attorno alla quale si trovasse riunita la vostra famigliola, per il pranzo o per la cena.
La chiave dell’aggettivo “migliore” che accompagna il termine “cibo” si trova nel verbo “toccare”. Se voi “toccate” il vostro cibo e vostra moglie (per esempio se fosse anche la madre dei vostri bambini) “toccasse” quel cibo per cucinarlo contribuirebbe, con il suo “tocco” ad armonizzare quel cibo destinato a sostenere i vostri organismi in costante trasformazione. È notorio che il corpo si “ricambia continuamente”. Basterebbe vedere i vostri figli crescere, per rendervi conto di questo costante ricambio dei “mattoni” che costituiscono il vostro corpo-casa.
Sono i vostri pensieri, le vostre preoccupazioni, le vostre speranze, le vostre gioie, le vostre rabbie, il vostro tremendo odio, le vostre delusioni, le eventuali vostre malattie che “entrano” nel cibo che “toccate”.
Non ci credete?
Allora spiegatemi cosa è un feromone.
Allora spiegatemi cosa è un feromone.
Questo termine proviene dal latino fero(r)mone: che porta (fero) una sostanza eccitante (dal greco Hormon: che eccita). Il termine, quindi, indica una sostanza chimica emessa da un animale capace di influenzare lo sviluppo o la riproduzione di altri individui della stessa specie.
Fatevi raccontare qualcosa dai cercatori (non asessuati) di feromoni umani. A proposito, mentre cercate informazioni, non fatevi abbindolare da chi vi offre feromoni umani capaci di far cadere ai vostri piedi la preda, maschio o femmina, che vi piacerebbe cacciare.
Ho accennato al feromone, per rafforzare quel verbo “toccare” che, prima, ho posto alla base del rapporto, “personale”, che si instaura con il cibo, non solo per rendere visibile che la biochimica umana ancora nasconde informazioni – stabilite voi se per fortuna o no – ai cercatori di brevetti biochimici.
Se dunque “toccare il cibo” significa informarlo di se; provate a immaginare quanto si siano trovati incastrati coloro che, pensando di esseri diventati padroni di anime e di corpi, hanno ingerito cibo coltivato, raccolto e cucinato dai loro schiavi.
Provate a immaginare che questo sia stato il vero motivo per cui la schiavitù, nel cosiddetto nuovo mondo, ha cercato strade diverse; preferendo le menti ai corpi.
Cucinare, mentre si è nervosi o “arrabbiati”, dà informazioni “destabilizzanti” al cibo; lo sanno bene i cuochi dei ristoranti, lo sanno bene le madri, quando si vedono il cibo, malinformato, assaggiato e rifiutato.
Provate a immaginare quanto possiate disinteressarvi del fatto che, i pomodori che avete, per esempio, acquistati, portati a casa e che cucinerete per voi e per i vostri bambini, siano stati raccolti, sempre per esempio, da africani sfruttati, schiavizzati e meno che sottopagati; che quindi quei pomodori siano stati “impregnati” dalla sofferenza, dalla delusione, dalla rabbia per lo sfruttamento schiavista subito.
Provate pure a disinteressarvene; tanto ci penseranno quei pomodori, quelle carote, quelle patate, quelle cipolle, quelle ulive, che diverranno un micidiale olio, quell’uva, che diverrà un micidiale vino, a ricordarselo per voi.
E non illudetevi che queste “informazioni” riguardino solo il cibo. Sapeste quanto sono “tragicamente informati” i vestiti, le scarpe, la tecnologia, provenienti da paesi dove anche i bambini diventano “vuoti a perdere” di una società schiava del mondo economico di turno. Ecco perché l’uomo è si ciò che pensa e ciò che fa, ma è anche ciò che mangia, è anche ciò che lo veste, è anche ciò che lo rende tecnologicamente opulento, non evoluto.
Fatevi raccontare qualcosa dai cercatori (non asessuati) di feromoni umani. A proposito, mentre cercate informazioni, non fatevi abbindolare da chi vi offre feromoni umani capaci di far cadere ai vostri piedi la preda, maschio o femmina, che vi piacerebbe cacciare.
Ho accennato al feromone, per rafforzare quel verbo “toccare” che, prima, ho posto alla base del rapporto, “personale”, che si instaura con il cibo, non solo per rendere visibile che la biochimica umana ancora nasconde informazioni – stabilite voi se per fortuna o no – ai cercatori di brevetti biochimici.
Se dunque “toccare il cibo” significa informarlo di se; provate a immaginare quanto si siano trovati incastrati coloro che, pensando di esseri diventati padroni di anime e di corpi, hanno ingerito cibo coltivato, raccolto e cucinato dai loro schiavi.
Provate a immaginare che questo sia stato il vero motivo per cui la schiavitù, nel cosiddetto nuovo mondo, ha cercato strade diverse; preferendo le menti ai corpi.
Cucinare, mentre si è nervosi o “arrabbiati”, dà informazioni “destabilizzanti” al cibo; lo sanno bene i cuochi dei ristoranti, lo sanno bene le madri, quando si vedono il cibo, malinformato, assaggiato e rifiutato.
Provate a immaginare quanto possiate disinteressarvi del fatto che, i pomodori che avete, per esempio, acquistati, portati a casa e che cucinerete per voi e per i vostri bambini, siano stati raccolti, sempre per esempio, da africani sfruttati, schiavizzati e meno che sottopagati; che quindi quei pomodori siano stati “impregnati” dalla sofferenza, dalla delusione, dalla rabbia per lo sfruttamento schiavista subito.
Provate pure a disinteressarvene; tanto ci penseranno quei pomodori, quelle carote, quelle patate, quelle cipolle, quelle ulive, che diverranno un micidiale olio, quell’uva, che diverrà un micidiale vino, a ricordarselo per voi.
E non illudetevi che queste “informazioni” riguardino solo il cibo. Sapeste quanto sono “tragicamente informati” i vestiti, le scarpe, la tecnologia, provenienti da paesi dove anche i bambini diventano “vuoti a perdere” di una società schiava del mondo economico di turno. Ecco perché l’uomo è si ciò che pensa e ciò che fa, ma è anche ciò che mangia, è anche ciò che lo veste, è anche ciò che lo rende tecnologicamente opulento, non evoluto.
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