Tendiamo a pensare all'uomo primitivo in modo errato a causa della limitatezza delle informazioni che abbiamo a disposizione; infatti, nella valutazione del grado di raffinatezza di una civiltà scomparsa, pesano sia la deteriorabilità dei materiali sia l'immaterialità delle tracce simboliche della cultura; a questo proposito scrive l'antropologo e linguista Terrence W.Deacon nel suo libro 'La specie simbolica' (p.354):
"I fattori primari che determinano cosa si rinviene e cosa va perduto a distanza di decine di migliaia, o milioni, di anni sono la deteriorabilità o la fragilità del materiale e la natura degli ambienti in cui sono stati lasciati."
In parole povere, vuol dire che gli utensili in pietra sono reperti fossili conservati, quelli in legno o cuoio no; oppure che le pitture sulle pareti delle grotte e le incisioni su pietra o avorio vengono preservate, ma non le decorazioni del corpo, i vestiti, le sculture di legno e quant'altro.
La prevalenza dell'uso di simboli in una società, escludendo pure il linguaggio, non è nemmeno incorporata in alcun materiale, ma solo in rituali, consuetudini, e regole di vita quotidiana ...
Due teorie tentano di spiegare l'origine del linguaggio
Chomsky rigetta le teorie evoluzioniste del linguaggio e sostiene che il linguaggio attinge a una dotazione biologica innata, appartenente al DNA umano, non derivante da sistemi comunicativi precedenti. Egli ipotizza che alcuni elementi sconnessi si siano aggregati in modo imprevisto e abbiano formato la grammatica universale. Questa ipotesi è detta del salto linguistico.
Bickerton propone invece che gli ominidi abbiano incominciato a parlare un linguaggio molto rudimentale, un protolinguaggio composto solo da parole e privo di grammatica la cui comprensibilità era affidata al contesto d'uso.
Il linguista Derek Bickerton, negli anni '70, avanzò l'ipotesi che il linguaggio moderno sia piuttosto recente e che, in tempi più lontani, l'essere umano impiegasse un protolinguaggio, cioè un linguaggio rudimentale semplificato. Egli derivò tale ipotesi dai suoi studi degli anni '70 sulle lingue pidgin delle isole Hawaii. Le lingue pidgin sono lingue semplificate che si formano nelle situazioni in cui gruppi multietnici (coloni, migranti, lavoratori, ecc.) sono costretti a comunicare tra loro, pur continuando singolarmente ad usare la propria lingua nel gruppo di provenienza.
Il pidgin studiato da Bickerton era un miscuglio di cinese, giapponese, portoghese, filippino, inglese e lingue locali parlate da lavoratori attratti dal lavoro nelle piantagioni di canna da zucchero alla fine dell'800.
Dagli studi di Bickerton emerse che quando il pidgin viene impiegato anche da generazioni successive a quelle che lo hanno creato, esso si trasforma in una lingua creola dotata di un lessico e di una grammatica più articolata. Il fenomeno della creazione di lingue pidgin e creole è avvenuto in varie parti del mondo, sempre con le stesse caratteristiche, ed ha portato Bickerton alla convinzione che la lingua non sia un tutt'uno bensì un insieme di sistemi sovrapposti alla cui origine potrebbe esservi un linguaggio molto semplice: un protolinguaggio.
Tracce di questo protolinguaggio, secondo il linguista Ray Jackendoff, sono visibili anche oggi in quei casi di mancato sviluppo o impoverimento del linguaggio nei pazienti afasici o nei bambini cresciuti in isolamento. Bickerton propose l'idea che l'evoluzione linguistica sia avvenuta in due tappe: dal protolinguaggio dell'Homo erectus (un protolinguaggio composto da un lessico ridotto e nessuna organizzazione grammaticale), al linguaggio complesso dell'Homo sapiens sapiens.
Bickerton propose inoltre l'idea che l'introduzione di questo protolinguaggio abbia determinato un salto di qualità nell'organizzazione cerebrale e nel pensiero umano; infatti si può immaginare che la rappresentazione dei simboli linguistici, svincolata da una risposta motoria, si sia legata a rappresentazioni astratte, cioè a simboli con una pressione evolutiva richiedente un cervello di maggiori dimensioni.
Fasi evolutive del linguaggio secondo Bickerton
Fase 2: Creazione di protolinguaggi (a partire da Homo erectus)
Fase 3: Creazione di linguaggi complessi (Homo sapiens)
Relazione tra abbassamento della laringe e sviluppo del linguaggio
L'abbassamento della laringe è stato associato alla condizione fondamentale per lo sviluppo del linguaggio. Quest'evento datato circa 200.000 anni fa, sebbene importante, è ritenuto da T. Deacon soltanto una condizione necessaria ma non sufficiente. Scrive Deacon (p.342):
L'aumento incrementale del volume cerebrale negli ultimi due milioni di anni ha progressivamente accresciuto il controllo della corteccia sulla laringe, e fu quasi certamente insieme causa ed effetto del crescente uso della simbolizzazione vocale. [...] il maggiore uso della vocalizzazione in epoche successive dell'evoluzione del cervello avrebbe inevitabilmente imposto una selezione sulla struttura del tratto vocale ad accrescerne in quello stesso periodo la controllabilità.
I fattori che contribuirono alla coevoluzione cervello-linguaggio furono, secondo Deacon (pp.387-396), almeno quattro:
- abbassamento laringeo e complessità sintattica
- rimodellamento del cervello per la parola e i simboli
- produzione degli utensili in pietra e caccia di gruppo
- approvvigionamento da parte del maschio, legame di coppia e contratti di accoppiamento
Abbassamento della laringe a partire dall'Homo erectus
Nell'Australopiteco, la laringe, organo situato alla fine della trachea e contenente le corde vocali, si trovava in una posizione più elevata nel canale respiratorio, permettendo così un maggiore spazio per la deglutizione del cibo ma impedendo l’articolazione dei suoni e, conseguentemente, il linguaggio.
L’emissione di suoni che un australopiteco poteva produrre era probabilmente molto simile a un latrato. Il processo evolutivo ha dato vita a un mutamento genetico grazie al quale la laringe si è abbassata, il canale fonatorio si è allargato, la lingua è arretrata diventando più mobile e flessibile favorendo così la modulazione dei suoni.
Solo un grande numero di benefici adattativi può spiegare lo sforzo che la specie Homo fece per dotarsi di un linguaggio sempre più complesso: dovevano essere benefici così importanti per la sopravvivenza della specie da rendere fondamentale tale sforzo di apprendimento. A questo proposito scrive Deacon (p.364):
Si potrebbe intessere un racconto plausibile praticamente da quasi ciascuna delle miriadi di potenziali vantaggi propri di una comunicazione più efficiente: organizzare le battute di caccia; spartirsi il cibo; comunicare informazioni sulle fonti di cibo distribuite; pianificare la guerra e la difesa; trasmettere l'abilità nella creazione di utensili; condividere importanti esperienze passate; stabilire legami sociali tra individui; manipolare potenziali rivali o partner sessuali; accudire e addestrare i giovani; e si potrebbe proseguire.
L'importanza dell'impiego della comunicazione per ognuna delle possibilità d'uso prima citate ha contribuito, secondo Deacon, a determinare una pressione selettiva che ha incrementato ulteriormente le facoltà simboliche e ampliato la capacità cranica e, in particolare, la neocorteccia.
Vantaggi della comunicazione simbolica
Solo un grande numero di benefici adattativi può spiegare lo sforzo che la specie Homo fece per dotarsi di un linguaggio sempre più complesso: dovevano essere benefici così importanti per la sopravvivenza della specie da rendere fondamentale tale sforzo di apprendimento. A questo proposito scrive Deacon (p.364):
Si potrebbe intessere un racconto plausibile praticamente da quasi ciascuna delle miriadi di potenziali vantaggi propri di una comunicazione più efficiente: organizzare le battute di caccia; spartirsi il cibo; comunicare informazioni sulle fonti di cibo distribuite; pianificare la guerra e la difesa; trasmettere l'abilità nella creazione di utensili; condividere importanti esperienze passate; stabilire legami sociali tra individui; manipolare potenziali rivali o partner sessuali; accudire e addestrare i giovani; e si potrebbe proseguire.
L'importanza dell'impiego della comunicazione per ognuna delle possibilità d'uso prima citate ha contribuito, secondo Deacon, a determinare una pressione selettiva che ha incrementato ulteriormente le facoltà simboliche e ampliato la capacità cranica e, in particolare, la neocorteccia.
La simbolizzazione è l'architrave di tutte le relazioni umane, e i simboli che stabiliscono, ad esempio, le relazioni riproduttive richiedono processi di costruzione molto ritualizzati. Scrive Deacon (p.392):
La costruzione simbolica in atto in queste cerimonie (rituali del matrimonio e della pubertà) non implica tanto la dimostrazione di determinate relazioni simboliche, quanto l'uso degli individui e delle azioni come occorrenze simboliche.
La costruzione simbolica in atto in queste cerimonie (rituali del matrimonio e della pubertà) non implica tanto la dimostrazione di determinate relazioni simboliche, quanto l'uso degli individui e delle azioni come occorrenze simboliche.
I ruoli sociali vengono ridefiniti e gli individui assegnati esplicitamente ad essi. Moglie, marito, guerriero, suocero, anziano - sono tutti ruoli simbolici, non ruoli riproduttivi, e in quanto tali definiti entro un sistema completo di ruoli simbolici alternativi o complementari.
Il mondo virtuale in cui la simbolizzazione
ci fa vivere
Per mezzo del linguaggio possiamo, non soltanto comunicare ma, soprattutto, vivere in un mondo virtuale condiviso con altri.
Infatti, la rappresentazione simbolica di oggetti, eventi, relazioni che il linguaggio permette, fornisce un efficace sistema di riferimento per generare nuove rappresentazioni, predire eventi futuri, pianificare azioni, organizzare ricordi: cioè quella che il filosofo Charles S. Peirce ha chiamato semiosi illimitata (un processo di significazione continuo di segni che producono altri segni) che è diventato il paradigma della comunicazione di massa e, oggi, del web (che viene impropriamente chiamato mondo virtuale ma che è solo una parte del mondo virtuale di ogni individuo).
Simbolizzazione
Processo semiotico
Alcune definizioni
- "E' segno ogni cosa che possa essere assunta come un sostituto significante di qualcos'altro." (Umberto Eco - p.17 Trattato di semiotica generale - Bompiani)
- Un segno si trasforma in un simbolo quando gli viene attribuito lo stesso significato da due o più persone diventando così un fatto sociale.
Il vignettista Tullio Altan usa spesso l'ombrello (simbolo) come segno del 'prenderla in quel posto' (concetto), che ha un referente nella realtà (oggetto) che corrisponde ad un peggioramento della condizione umana (di solito un aumento delle tasse per il cittadino medio e problemi con la giustizia per i governanti).
Questa vignetta a sua volta è un 'simbolo' per il giornale che l'ha pubblicata (L'Espresso) di un 'concetto' che si può riassumere con "la legge è uguale per tutti" che rappresenta la volontà di far pagare a Berlusconi i suoi misfatti (oggetto). Ma più in generale le vignette di Altan sono un 'simbolo' (per i lettori che scelgono L'Espresso) di un 'concetto' che si può definire con "non sopportiamo le ingiustizie politiche" che rappresenta l'analisi della realtà politica e sociale italiana.
Per i linguisti Richards e Ogden, una cosa (simbolo) evoca un concetto mentale (idea) che ha un referente nella realtà (oggetto).
Secondo il filosofo Charles S. Peirce, in ogni situazione pratica di vita agiscono sempre tre elementi, che fondano la teoria dei segni (gli stessi di Richards e Ogden ma diversamente denominati): segno, interpretante e oggetto.
- "E' segno ogni cosa che possa essere assunta come un sostituto significante di qualcos'altro." (Umberto Eco - p.17 Trattato di semiotica generale - Bompiani)
- Un segno si trasforma in un simbolo quando gli viene attribuito lo stesso significato da due o più persone diventando così un fatto sociale.
Nella definizione di G. Zagrebelsky: "Il passaggio attraverso il quale dal segno inteso singolarmente si passa alla medesima percezione di ciò a cui esso allude da parte di due persone, o più persone, di tutte le persone, quello è il momento in cui il segno diventa veramente simbolo, come fatto psichico di natura sociale [...] Il simbolo è il punto di passaggio dalla soggettività all'oggettività dei significati" (p.13 Simboli al potere - Einaudi)
Fonte, articolo completo e consigli di lettura: www.pensierocritico.eu
Per approfondire: host.uniroma3.it
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