martedì 15 agosto 2023

Via di fuga dal buco nero

La singolarità sarebbe una imperfezione e la materia catturata dall'abbraccio gravitazionale avrebbe una via di fuga, una porta d'uscita, un wormhole.

di Davide Patitucci

Una porta sul retro di un buco nero, da dove la materia ingoiata potrebbe trovare via di fuga dal suo abbraccio gravitazionale. 

Lo ipotizza uno studio teorico spagnolo del 2016, che suggerisce che la materia ingoiata da un buco nero possa sopravvivere alla sua forza gravitazionale distruttiva, trovando una via di fuga

I buchi neri sono tra gli oggetti più affascinanti e misteriosi dell’Universo. Potrebbero nascondere la chiave per conciliare il mondo dell’infinitamente piccolo, governato dalla meccanica quantistica, con quello dell’infinitamente grande descritto dallaRelatività Generale di Einstein. 
All’interno di un buco nero, infatti, le leggi della fisica così come le conosciamo cessano di funzionare. E non è l’unica bizzarria di questi mostri cosmici, che ingoiano tutto ciò che capiti loro a tiro, luce compresa...
 

Secondo alcune teorie, potrebbero nascondere passaggi spazio-temporali, come quelli descritti nel film Interstellar.

Ne sono convinti i fisici teorici dell’Institute of Corpuscular Physics dell’Universitat de València (IFIC, CSIC-UV).

In uno studio pubblicato su Classical and Quantum Gravity, ipotizzano che la materia precipitata dentro un buco nero riesca a sopravvivere al suo abbraccio gravitazionale. E a sbucare da un’altra parte del Cosmo.

Merito di una sorta di uscita di sicurezza, nascosta nelle viscere del buco nero. Secondo i ricercatori spagnoli, la regione più interna di questi cannibali cosmici, dove la curvatura dello spazio-tempo diventa infinita - gli scienziati la chiamano singolarità - sarebbe, in realtà, un’imperfezione della struttura geometrica dello spazio-tempo.

«I buchi neri sono un laboratorio teorico straordinario per testare nuove idee sulla gravità», spiega Gonzalo Olmo, uno degli autori della ricerca. Gli studiosi spagnoli hanno applicato le strutture geometriche dei cristalli, o del grafene, allo studio dei buchi neri. 
«Proprio come i cristalli presentano delle imperfezioni nella loro struttura microscopica, allo stesso modo - continua Olmo - la regione centrale di un buco nero può essere interpretata come un’anomalia nello spazio-tempo. Abbiamo esplorato tutte le possibili opzioni, prendendo spunto da ciò che osserviamo in Natura».

Utilizzando questa analogia con la geometria dei cristalli, nei modelli teorici sui buchi neri la regione centrale assume l’aspetto di una superficie sferica molto piccola. Un risultato che i fisici teorici spagnoli hanno interpretato come l’esistenza, all’interno del buco nero, di un cunicolo spazio-temporale: un cosiddetto wormhole.

Soluzioni matematiche delle equazioni di Einstein, i wormhole, tecnicamente noti come ponti di Einstein-Rosen, sono dei passaggi segreti al confine tra scienza e fantascienza. 

A dar loro una precisa cornice scientifica è il fisico statunitense Kip Thorne, uno dei massimi esperti mondiali di Relatività Generale. I wormhole sono come buchi nello spazio-tempo, capaci di mettere in comunicazione due punti molto distanti dell’Universo, attraverso una scorciatoia. Come i cunicoli scavati da un verme in una mela, che permettono all’animale di attraversarla da una parte all’altra.

Questi studi teorici, che tanto affascinano produttori e sceneggiatori di Hollywood, non ci garantiranno a breve di raggiungere i più lontani recessi del Cosmo. I wormhole, secondo le previsioni dei fisici teorici, hanno, infatti, un diametro inferiore al nucleo di un atomo e, per attraversarli, un esploratore spaziale dovrebbe essere trasformato in uno spaghetto sottilissimo. Questo tipo di modelli possono, però, secondo gli autori dello studio, aiutare gli scienziati a comprendere la natura più intima della materia. Alla ricerca di una cosiddetta Teoria del Tutto, in grado di mettere d’accordo microcosmo e macrocosmo, meccanica dei quanti e Relatività einsteiniana.

Fonte: www.asi.it


Secondo l'astrofisico Stephen Hawking (1942 - 2018): "I buchi neri non esistono"

Già anni fa (1971), il fisico aveva proposto un meccanismo secondo il quale si potevano generare coppie di particelle quantistiche entangled (particelle intrinsecamente legate tra loro e capaci di interagire anche a distanza): se una delle due fosse caduta nel buco nero, l’altra sarebbe sfuggita via in direzione opposta, portando con sé una parte infinitesima dell’energia del buco nero stesso.

Hawking ha poi perfezionato questa teoria, immaginando che l’orizzonte degli eventi sia caratterizzato da “fluttuazioni quantistiche dello spazio-tempo” (no, non è una super-cazzola: si tratta di una specie di increspature nel tessuto a quattro dimensioni teorizzato dalla relatività generale di Einstein) che permettono, di tanto in tanto, a una delle due particelle entangled di rompere il legame con la propria compagna, sfuggire al buco nero e rubargli parte della sua energia
Se tutto questo fosse vero, in effetti, l’appellativo di buco (oltre che l’aggettivo nero) non sarebbe più calzante. Forse in futuro dovremo chiamarli setacci grigi. O no?
Fonte: www.wired.it


Il teorema dell’area del buco nero (1971) di Hawking, noto anche come seconda legge della meccanica dei buchi neri, afferma che l’area totale dell’orizzonte di un buco nero classico non può diminuire nel tempo.
L’affermazione era un curioso parallelo della seconda legge della termodinamica, che afferma che l’entropia, o il grado di disordine all’interno di un oggetto, non dovrebbe mai diminuire.
La somiglianza tra le due teorie suggeriva che i buchi neri potessero comportarsi come oggetti termici, che emettono calore – una proposta che confondeva, dato che i buchi neri per loro stessa natura si pensava non lasciassero mai uscire l’energia, o la irradiassero. 

Hawking alla fine ha fatto quadrare le due idee nel 1974, mostrando che i buchi neri potrebbero avere entropia ed emettere radiazioni su scale temporali molto lunghe se i loro effetti quantistici fossero presi in considerazione. 
Questo fenomeno è stato soprannominato radiazione di Hawking e rimane una delle rivelazioni più fondamentali sui buchi neri.

Cinquant'anni dopo un team di fisici guidato da Maximiliano Isi, ricercatore al Kavli Institute for Astrophysics and Space Research del MIT, lo ha confermato, utilizzando le osservazioni dell’evento di onde gravitazionali GW150914il primo segnale di onde gravitazionali rilevato dal Laser Interferometer Gravitational-wave Observatory (LIGO), nel 2015.

Il segnale, prodotto di due buchi neri che hanno generato un nuovo buco nero, insieme a un’enorme quantità di energia che si è increspata nello spazio-tempo come onde gravitazionali, è stato ‘ascoltato’ per la prima volta dai padovani Gabriele Vedovato e Marco Drago e reso pubblico dopo mesi di verifiche serrate.



Se il teorema dell’area di Hawking è valido, allora l’area dell’orizzonte del nuovo buco nero non dovrebbe essere più piccola dell’area totale dell’orizzonte dei suoi buchi neri genitori.

Rianalizzando il segnale di GW150914 prima e dopo la collisione cosmica e hanno trovato che in effetti l’area totale dell’orizzonte degli eventi non è diminuita dopo la fusione – un risultato che riportano con il 95% di attendibilità.

I ricercatori hanno ora in programma di testare i futuri segnali di onde gravitazionali per vedere se potrebbero confermare ulteriormente il teorema di Hawking o essere un segno di una nuova fisica che piega le leggi.
L’articolo del team (2021) è pubblicato sulla rivista Physical Review Letters.

Per approfondire: 

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