lunedì 17 agosto 2015

Le bugie più clamorose sul cervello

Nell'età dell'oro delle neuroscienze, l'organo più complesso, misterioso e meraviglioso del corpo umano è spesso soggetto a eccessive semplificazioni o colossali equivoci. 

Abbiamo raccolto, e demolito uno per uno, i più diffusi falsi miti che lo riguardano.

È GRIGIO

Falso. 
Diciamocelo chiaramente, il cervello "dal vivo" non è il massimo da vedere: immerso nella formaldeide dei laboratori, assume un aspetto grigiastro, tendente al giallo (non molto dissimile da questo corallo-cervello, chiamato così perché lo ricorda da vicino). 

Ma finché è in vita, il cervello mostra anche altri colori: rosso-rosato, per la presenza dei vasi sanguigni che lo irrorano; bianco, per la cosiddetta sostanza bianca, che comprende i fasci di fibre nervose che connettono le centinaia di miliardi di neuroni presenti al suo interno; e nero, nella substantia nigra, una formazione neuronale di colore scuro implicata in alcune funzioni motorie.

C'è naturalmente anche il grigio della materia grigia, l'insieme dei corpi di neuroni: ma il nome serve più che altro a differenziarla dal colore chiaro della sostanza bianca ...

NE USIAMO SOLTANTO IL 10% 

Falso. 

Il cervello è un organo dispendioso dal punto di vista energetico ed evolutivo: non avrebbe senso avere un tale surplus di cellule nervose inutilizzate. 

Il falso mito ha origine nelle dichiarazioni dello scrittore e psicologo americano William James, secondo il quale sfruttiamo solo una piccola parte delle nostre risorse mentali. 
Le tecniche di imaging cerebrale lo hanno smentito, mostrando che gran parte del cervello è coinvolta anche durante le attività più semplici, come dormire. 

La percentuale ha senso solo se si pensa alla natura delle cellule del cervello, costituite per il 90% da cellule gliali, con la funzione di nutrimento, a supporto di un 10% di neuroni.



QUELLO UMANO È IL PIÙ GRANDE 

Non esattamente. 

Il cervello umano pesa in media 1360 grammi, più o meno quanto quello di un delfino (considerato peraltro un animale intelligente). 
Quello di un capodoglio - meno brillante dei delfini - arriva a 7800 grammi, quello di un orango ad appena 370 grammi. 
Come si nota, non sono le dimensioni assolute del cervello a determinare l'intelligenza del suo "proprietario"; piuttosto, è il rapporto delle sue dimensioni con il resto del corpo. Per gli uomini, questa relazione è di circa 1:50. Per gli altri mammiferi, è in media 1:180, e negli uccelli è di 1:220.

SOTTO PRESSIONE LAVORA MEGLIO

Falso

Vi sarà capitato di pensarlo dopo aver portato a termine con successo una scadenza che sembrava insormontabile. Ma il fatto di essere riusciti nell'impresa non significa aver svolto un lavoro di qualità. Lo stress è un pungolo efficace che spinge ad accelerare i tempi e a smettere di procrastinare. 
Ma gli ormoni rilasciati nei momenti frenetici sono efficaci solo in brevi situazioni di emergenza: alla lunga, finiscono con l'interferire con l'abilità del cervello di assimilare conoscenza. Sotto pressione è più facile compiere errori di omissione e portare a termine il compito in modo sbrigativo. Senza contare che le grandi idee arrivano quando la mente è lasciata libera di divagare.


EMISFERO SINISTRO, ORDINE; DESTRO, CREATIVITÀ 

Non è proprio così. 

Il mito affonda le sue radici nelle prime osservazioni degli effetti di lesioni cerebrali effettuate nell''800, quando si scoprì che un danno in uno o nell'altro emisfero causava la perdita di specifiche abilità. 

Ma studi successivi e le moderne tecniche di imaging cerebrale hanno dimostrato che emisfero sinistro e destro sono fortemente interconnessi, e che sia i compiti strategici, verbali e matematici, sia quelli creativi e relativi all'immaginazione implicano attività in tutto il cervello, non solo in una delle due parti.

L'EFFETTO MOZART FUNZIONA 

Ascoltare un piacevole brano musicale fa aumentare il livello di dopamina (un neutrasmettitore che solleva il tono dell'umore) nel cervello, un fattore che molto probabilmente migliora le prestazioni cognitive. 

Ma questo non accade solo con la musica classica: funzionerebbe anche con Justin Bieber (se vi piace), o addentando una barretta di cioccolato. 
Il mito ha origine da uno studio dell'Università della California ad Irvine del 1993, in cui si sosteneva che l'ascolto di 10 minuti di Sonata di Mozart avesse migliorato alcune funzioni cognitive di un gruppo di soggetti. La ricerca è stata poi smentita da successive analisi.
(11 problemi da curare con la musica)

L'ALCOL BRUCIA I NEURONI 

Non esattamente. 

Una sonora sbronza ha effetti evidenti sul modo di ragionare di chi ha bevuto. Ma non è corretto affermare che l'alcol "uccide" le cellule cerebrali. 
Piuttosto, può danneggiare le parti terminali del neurone, i dendriti, alterando la trasmissione del segnale nervoso (e con essa il modo in cui i neuroni comunicano). 
Si tratta per lo più di un effetto transitorio. 

Ma i bevitori incalliti possono sviluppare la cosiddetta sindrome di Korsakoff, un deficit di memoria associato a una degenerazione neuronale. Essa non è dovuta direttamente all'alcol, ma alla carenza di tiamina, una vitamina il cui assorbimento è ostacolato dall'assunzione di alcol.

SE SI LESIONA È PER SEMPRE 

Non è sempre così. 

Il termine "lesione cerebrale" fa subito pensare a forme di disabilità permanenti e a danni irreversibili, ma fortunatamente non è sempre così. Esistono danni cerebrali di minore entità, e per definizione transitori, come la commozione cerebrale, da cui il cervello di riprende in modo rapido. Quest'ultima consiste in una perdita di coscienza di breve durata dovuta in genere a un trauma cranico e non porta a danni cerebrali permanenti. 

La plasticità cerebrale, cioè la capacità del cervello di costruire nuove sinapsi e trovare nuovi percorsi per compiere determinate azioni, laddove i vecchi siano stati compromessi, consente spesso un parziale recupero anche da lesioni cerebrali più serie, ma localizzate. Favorire lo sviluppo di queste nuove strategie cognitive è il compito della riabilitazione neuropsicologica.

DOPO I 40 È TUTTO UN DECLINO

Per fortuna, no. 

Alcune facoltà cognitive peggiorano con l'avanzare dell'età, è vero, ma altre vanno incontro a un deciso miglioramento. 
Da giovani sarà più facile apprendere le lingue, svolgere più compiti contemporaneamente, tenere a mente un numero di telefono appena dettato o concentrarsi solo sugli stimoli davvero utili in un contesto distraente. 

Con l'età, però (in condizioni di invecchiamento normale, e non patologico) arrivano un significativo miglioramento delle funzioni linguistiche - dato dall'esperienza - una migliore abilità nell'appianare i conflitti sociali e nel giudicare le persone, oltre alla capacità di regolare con più facilità le proprie emozioni.

OGNI AREA HA UN COMPITO PRECISO 

Non proprio. 

Se è vero che il cervello è organizzato in modo standard, con certe aree specializzate in particolari compiti e connesse ad altre in base a pattern conosciuti, è però anche un organo eccezionalmente plastico, e non è corretto localizzare un determinato compito esclusivamente in una limitata porzione di esso. Imparare una nuova disciplina, come per esempio suonare uno strumento, modellerà e cambierà le connessioni in alcune aree deputate al controllo motorio. 

Allo stesso modo, nei non vedenti, le aree normalmente deputate alla percezione visiva saranno dedicate, per esempio, all'ascolto. Inoltre, come abbiamo già ricordato, il cervello è più interconnesso di quanto si sia abituati a pensare, e le sue aree lavorano quasi sempre in stretta collaborazione.

LA MEMORIA SI PUÒ ALLENARE

No.

I giochi di enigmistica non vi renderanno più abili nel ricordare (né tantomeno più intelligenti). 

La memoria non è un muscolo che si possa potenziare con esercizi ripetuti: vale a dire, un generico training scollegato da precisi contenuti non migliorerà le vostre performance cognitive generali. 

Diverso è il discorso per chi deve affrontare un compito specifico (per esempio un esame, o un discorso pubblico). In quel caso, il tempo speso ad allenarsi sarà direttamente proporzionale ai risultati finali. 
Naturalmente, mantenere uno stile di vita attivo, curioso e interessato agli stimoli esterni (lettura dei giornali, mostre, viaggi, incontri con gli amici) servirà comunque da fattore protettivo contro il declino cognitivo, soprattutto in età avanzata.

LA MEMORIA È UN REGISTRATORE FEDELE 

Ci piacerebbe fosse vero, ma non è così.

La nostra capacità di ricordare non è infallibile, ma soggetta a fattori che possono causare distorsioni, dubbi, riscritture e veri e propri "vuoti". 

Tra questi troviamo interferenze successive o precedenti il ricordo in questione, che vanno a sovrapporsi alla traccia, deformandola; ma anche le emozioni associate a quel determinato momento, o il contesto in cui un ricordo viene revocato. 
Studi dimostrano, per esempio, che il modo in cui vengono formulate le domande ai testimoni oculari di incidenti o rapine influisce notevolmente sulla rievocazione dell'episodio da parte degli interrogati.

Fonte: www.focus.it

4 commenti:

  1. Posso aggiungere una cosa? Il nostro cervello non è immutabile. Cresce, migliora, poi invecchia e perde colpi. Ricordiamocelo quando ci beviamo una bottiglia di vino o fumiamo un pacchetto di sigarette. Dobbiamo prendercene cura, nutrirlo nel modo giusto e fornirgli tutti gli elementi di cui ha bisogno, anche con un aiuto esterno ( http://www.cristalfarma.it/it/prodotti/illumina.html ), altrimenti la vecchiaia sarà un incubo!

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