di Filippo Goti
Questa apparente contraddizione affonda le sue radici in un meccanismo psicologico sottile: il fallimento viene rivissuto all’interno di un flusso narrativo della memoria, in cui l’evento — reale o idealizzato — si ripresenta alla coscienza con ostinata ricorrenza.
Tale processo non solo perpetua l’esperienza, ma ne amplifica la portata, fissandola in profondità nella struttura psichica.
Così, ciò che è accaduto — e che avrebbe potuto essere altro — non passa: si ripete, scavando un solco di dolore nel racconto che l’anima fa di sé a sé stessa...
Il successo, al contrario, tende a essere vissuto come un dato atteso, talvolta persino dovuto.
Una volta raggiunto, perde rapidamente la sua carica generativa e si trasforma in un traguardo che “avrebbe potuto essere di più”, più pieno, più perfetto.
La mente ne smorza la forza, trasfigurandolo in un’ombra di ciò che avrebbe potuto essere.
A ben vedere, tre sono i meccanismi alla base di questa strisciante frustrazione:
La fantasia, intesa come dinamica proiettiva e amplificatrice della nostra sfera emotiva, che accresce ciò che non fu, fino a farne un mito del mancato.
L’idea distorta di sé, costruita su aspettative irrealistiche o su immagini interiorizzate, che ci impediscono di accettarci nella nostra concreta imperfezione.
L’incapacità di vivere il presente, che ci condanna a rincorrere ciò che fu o ciò che avremmo voluto fosse, senza mai radicarci nell’istante in cui ogni trasformazione è possibile.
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Filippo Goti nasce a Firenze il 26 ottobre 1970 e dedica la propria vita a una profonda ricerca in ambito spirituale e tradizionale.Studioso appassionato dello gnosticismo storico e delle tradizioni occidentali, si distingue per un approccio divulgativo rigoroso e privo di compromessi, respingendo categoricamente manipolazioni artefatte e confusioni che travisano la storia, la filosofia e i principi sacri che animano la ricerca spirituale dell'umanità... (www.amazon.it)
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