(Questo articolo è stato scritto nel 2009)
PRIMA PARTE
C'era una volta una bella penisola, fatta a forma di stivale, che si allungava ridente nel più bel mare del mondo, il Mediterraneo.
La penisola era popolata di pastori, agricoltori e commercianti, quasi tutti ex-beduini in via di urbanizzazione. Non particolarmente colti magari, erano certamente un popolo di gente allegra e calorosa.
Parlavano l’arabo antico, una lingua molto ostica per gli altri popoli, che si adattava invece alla perfezione per loro espressioni gutturali. Vivevano in grande armonia, scambiandosi prodotti agricoli e commerciando da una regione all'altra, in un perfetto equilibrio naturale, risultato di una tradizione millenaria.
Accadde che in posto lontano ebbe luogo una terribile guerra, alla fine della quale furono scoperti dei campi di concentramento, nei quali erano stati sterminati alcuni milioni di esseri umani (sul conto preciso c’è ancora qualche discordanza, ma erano comunque tantissimi, e la cosa non fu bella da vedere).
Questi esseri umani appartenevano ad una tribù particolare, chiamata “austriaci”, derivata dal ceppo dolomitico - quello di Abrahmberger, Isakson a Jacobhauser - e aveva avuto origine proprio nel nord della penisola italica, nella zona compresa fra il Veneto e l’attuale Germania ...
PRIMA PARTE
C'era una volta una bella penisola, fatta a forma di stivale, che si allungava ridente nel più bel mare del mondo, il Mediterraneo.
La penisola era popolata di pastori, agricoltori e commercianti, quasi tutti ex-beduini in via di urbanizzazione. Non particolarmente colti magari, erano certamente un popolo di gente allegra e calorosa.
Parlavano l’arabo antico, una lingua molto ostica per gli altri popoli, che si adattava invece alla perfezione per loro espressioni gutturali. Vivevano in grande armonia, scambiandosi prodotti agricoli e commerciando da una regione all'altra, in un perfetto equilibrio naturale, risultato di una tradizione millenaria.
Accadde che in posto lontano ebbe luogo una terribile guerra, alla fine della quale furono scoperti dei campi di concentramento, nei quali erano stati sterminati alcuni milioni di esseri umani (sul conto preciso c’è ancora qualche discordanza, ma erano comunque tantissimi, e la cosa non fu bella da vedere).
Questi esseri umani appartenevano ad una tribù particolare, chiamata “austriaci”, derivata dal ceppo dolomitico - quello di Abrahmberger, Isakson a Jacobhauser - e aveva avuto origine proprio nel nord della penisola italica, nella zona compresa fra il Veneto e l’attuale Germania ...
Questa tribù prendeva il nome dal monte di Astrion, dove il loro Dio gli si era rivelato, che si trova appunto nelle Dolomiti Orientali.
Come simbolo sacro gli austriaci usavano la stella alpina, il noto fiore a sei punte che cresce solo in alta montagna. In casa tenevano un candelabro a quindici braccia, che serviva per appenderci la scodellina di felpa, con la piuma infilata nel mezzo, man mano che i numerosi familiari rientravano dal lavoro.
C'è chi dice che questi austriaci fossero continuamente costretti a fuggire perchè non restavano simpatici a nessuno; altri invece sostengono che questa tribù non sia mai esistita; altri ancora dicono che sia esistita, ma che si trattasse di una tribù diversa dalla loro, poi andata perduta fra le pieghe della storia.
In ogni caso, quelli che avevano scelto di chiamarsi austriaci coltivavano dei particolari libri sacri, nei quali venivano indicati dal loro Dio come il "popolo eletto", e siccome questo Dio sosteneva anche di essere l'unico nell'universo, avevano dedotto senza esitazione di essere i preferiti su qualunque altro essere umano.
E’ quindi possibile che questo abbia generato, nel corso del tempo, qualche frizione con i popoli che li ospitavano, che invece per qualche motivo si ritenevano uguali a tutti gli altri. Anche perché questi austriaci non si limitavano a sostenere di essere “preferiti da Dio” in senso metaforico, ma pretendevano di essere trattati in modo diverso in molti aspetti della vita reale: ad esempio, se un non-austriaco – che loro chiamavano, con una sfumatura di disprezzo, “terym” – faceva a botte con un altro terym, nessuno si scomponeva. Se invece un terym si azzardava a picchiare un austriaco – magari perchè gli aveva rubato una gallina - veniva subito accusato di perseguitare la stirpe di Astrion, e si sentiva appioppare il fastidioso appellativo di “antidolomita”.
“Veramente io rivorrei solo la mia gallina!” - urlava il terym, stragonfio di rabbia.
“No! – gli rispondevano gli austriaci, facendo blocco intorno al malmenato - tu l’hai picchiato perchè ce l’hai con noi. Guarda come sanguina. Questa è cattiveria pura!”
“Ma cazzo, è la quinta gallina che mi ruba in tre giorni!”
“Non importa. Il fatto è che tu te ne approfitti per picchiarlo, perchè sai che lui è un dolomita. Quindi per punizione la gallina non te la ridiamo, e se ti azzardi a toccarlo di nuovo ti manderemo le maledizioni divine. Dio è dalla nostra parte, non dimenticarlo, e se vogliamo ti facciamo spedire direttamente all’inferno.”
Gli austriaci infatti avevano scoperto che nei libri sacri dei terym, leggermente diversi dai loro, era stata aggiunta questa curiosa faccenda dell’inferno, che permetteva ai sacerdoti della religione gemella di controllare le masse con enorme facilità, usandolo come deterrente universale. Nel libro originale degli austriaci Dio ti mandava al massimo la dissenteria, oppure un’invasione di cavallette, ma la minaccia dell’inferno era chiaramente più efficace, e anche loro ogni tanto se ne approfittavano, per risolvere le piccole dispute con i terym.
Tanto nessuno stava lì a riflettere sul fatto che i libri fossero diversi, ma il Dio che li aveva scritti fosse lo stesso.
A quel punto infatti il derubato – un pò per la paura dell’inferno, un pò perchè magari la gallina era vecchia e malandata – decideva di lasciar perdere, e tornava brontolando a casa sua.
Il problema è che a furia di dargli ragione, gli austriaci si sono definitivamente convinti di avere più diritti degli altri, e questo potrebbe aver esacerbato i diversi popoli che li ospitavano, portando ad episodi di intolleranza sempre più vistosi e deplorevoli.
A peggiorare le cose c’era il fatto che gli austriaci, ovunque si trovassero nel mondo, si lamentavano perennemente di non riuscire ad integrarsi con il resto della popolazione, e quando si veniva a sapere che i primi a non volersi mescolare erano proprio loro, la gente si incazzava non poco.
Serviva a poco, a quel punto, mostrare il libro sacro, per far vedere che l’ordine di non mescolarsi agli altri popoli non era un capriccio qualunque, ma veniva direttamente da Dio.
“Chissenefrega del tuo libro! - rispondeva urlando il terym - Piagnucoli dal mattino alla sera perchè nessuno ti vuole, poi appena uno di noi si prova ad invitare a cena una delle vostre ragazze, arriva subito il rabbino che la prende a bastonate perchè non vuole che si sposino!” (Il rabbino è il tipico sacerdote austriaco, che si distingue per i calzoni di pelle corti sopra il ginocchio, e le lunghe trecce incolte lungo le guance, trafitte qua e là da piccole stelle alpine).
“Ma ti bastono io - urlava furente il terym – altro che libro sacro!”
E così gli austriaci dovevano nuovamente far fagotto, e andare umilmente a chiedere ospitalità da qualcun altro.
Prima o poi però la voce si sparse, e ad un certo punto gli austriaci iniziarono a prendere botte ancora prima di arrivare in una nuova città.
“Ma come avranno fatto - si domandavano stupiti, mentre si leccavano le ferite - a sapere che stavamo arrivando?”
“Io l’ho sempre detto che dovremmo tagliarci i capelli come tutti gli altri – diceva uno dei più giovani – Con quelle trecce ci riconoscono tutti ormai.”
“Non sono i capelli, è la barba – replicava un terzo - Nessuno oggi porta delle barbe così lunghe. Le nostre poi sono più rosse di tutti gli altri.”
“Secondo me è il cappotto – suggeriva un quarto – Cacchio, è il sette di agosto, ci sono trenta gradi all’ombra, e noi ci presentiamo col colbacco e il cappotto di lana! E’ chiaro che ci cuccano subito, no?”
Ma i loro libri sacri dicevano che barba e capelli non si toccano, e che il cappotto va portato tutto l’anno, per cui erano obbligati a trovare un’altra soluzione.
Qualcuno pensò allora di comperare una macchina, per entrare in città facendosi vedere soltanto dal collo in su.
“Nascondiamo la barba sotto una sciarpa – suggerì con malizia - raccogliamo le trecce sotto il cappello, e il cappotto in macchina non lo nota nessuno. Visto da fuori sembra una giacca qualunque.”
“Ma siamo in troppi – obiettò un altro – Come facciamo a starci tutti in una macchina sola?”
“Ci infiltreremo un pò alla volta – rispose il primo – a piccoli gruppi, sette od otto al massimo. Così evitiamo anche di dare nell’occhio. Una volta in città ci disperdiamo fra la folla, e uno di noi torna fuori con la macchina, a prenderne degli altri.”
L’idea sembrava buona, e una volta superato il trauma iniziale (per l’acquisto in contanti della macchina a cui furono obbigati dal rivenditore terym) provarono a metterla in pratica. Si accorserò però che, per un motivo o per l’altro, qualcosa finiva sempre per andare storto.
A qualcuno restava impigliata una treccia nella cintura di sicurezza, proprio mentre era fermo al semaforo, a un altro spuntava una stella alpina da sotto il colbacco, mentre parcheggiava tutto sudato nel centro di Viareggio, soffocato dalla sciarpa bollente, sotto lo sguardo incuriosito dei bagnanti, il terzo inciampava nel cappotto mentre cercava di uscire di nascosto dal portapacchi, e alla fine venivano comunque individuati e cacciati. E in più gli bruciavano la macchina nuova di pacca.
Insomma, per gli austriaci ormai la vita era diventata un inferno, e a furia di girovagare si resero conto che ormai la loro reputazione li precedeva dappertutto. Si radunarono quindi in un piccola località della Svizzera, per decidere cosa fare del proprio destino.
Furono giorni difficili per tutti. Dalle loro capanne uscivano strazianti lamenti, coperti ogni tanto dalle malinconiche litanie dell’antica tradizione dolomitica.
Prima o poi però la voce si sparse, e ad un certo punto gli austriaci iniziarono a prendere botte ancora prima di arrivare in una nuova città.
“Ma come avranno fatto - si domandavano stupiti, mentre si leccavano le ferite - a sapere che stavamo arrivando?”
“Io l’ho sempre detto che dovremmo tagliarci i capelli come tutti gli altri – diceva uno dei più giovani – Con quelle trecce ci riconoscono tutti ormai.”
“Non sono i capelli, è la barba – replicava un terzo - Nessuno oggi porta delle barbe così lunghe. Le nostre poi sono più rosse di tutti gli altri.”
“Secondo me è il cappotto – suggeriva un quarto – Cacchio, è il sette di agosto, ci sono trenta gradi all’ombra, e noi ci presentiamo col colbacco e il cappotto di lana! E’ chiaro che ci cuccano subito, no?”
Ma i loro libri sacri dicevano che barba e capelli non si toccano, e che il cappotto va portato tutto l’anno, per cui erano obbligati a trovare un’altra soluzione.
Qualcuno pensò allora di comperare una macchina, per entrare in città facendosi vedere soltanto dal collo in su.
“Nascondiamo la barba sotto una sciarpa – suggerì con malizia - raccogliamo le trecce sotto il cappello, e il cappotto in macchina non lo nota nessuno. Visto da fuori sembra una giacca qualunque.”
“Ma siamo in troppi – obiettò un altro – Come facciamo a starci tutti in una macchina sola?”
“Ci infiltreremo un pò alla volta – rispose il primo – a piccoli gruppi, sette od otto al massimo. Così evitiamo anche di dare nell’occhio. Una volta in città ci disperdiamo fra la folla, e uno di noi torna fuori con la macchina, a prenderne degli altri.”
L’idea sembrava buona, e una volta superato il trauma iniziale (per l’acquisto in contanti della macchina a cui furono obbigati dal rivenditore terym) provarono a metterla in pratica. Si accorserò però che, per un motivo o per l’altro, qualcosa finiva sempre per andare storto.
A qualcuno restava impigliata una treccia nella cintura di sicurezza, proprio mentre era fermo al semaforo, a un altro spuntava una stella alpina da sotto il colbacco, mentre parcheggiava tutto sudato nel centro di Viareggio, soffocato dalla sciarpa bollente, sotto lo sguardo incuriosito dei bagnanti, il terzo inciampava nel cappotto mentre cercava di uscire di nascosto dal portapacchi, e alla fine venivano comunque individuati e cacciati. E in più gli bruciavano la macchina nuova di pacca.
Insomma, per gli austriaci ormai la vita era diventata un inferno, e a furia di girovagare si resero conto che ormai la loro reputazione li precedeva dappertutto. Si radunarono quindi in un piccola località della Svizzera, per decidere cosa fare del proprio destino.
Furono giorni difficili per tutti. Dalle loro capanne uscivano strazianti lamenti, coperti ogni tanto dalle malinconiche litanie dell’antica tradizione dolomitica.
Ad un certo punto, nel bel mezzo di queste sofferenze, un certo Theodor von Herzevich schizzò in piedi, colpito da un’idea folgorante:
“Torniamocene a casa!” - Disse indicando con sguardo profetico la finestra davanti a lui.
“Giusto! - disse un altro - Cosi nessuno ci romperà più le scatole!”
“E’ vero, che idea geniale!” – aggiunse un terzo.
“Ma… a casa dove, scusate?” – domandò un quarto con leggero imbarazzo.
“Ah già cazzo – disse il primo, mentre la stanza piombava nel silenzio – Non ci avevo pensato…”
“In effetti - commentò un secondo – è da un pò che manchiamo da quelle parti. Quanto sarà, più o meno?”
“Ormai sono più di duemila anni, a occhio e croce.”
“Minchia! Così tanto siamo stati in giro?”
“Oh ragazzi, una diaspora è una diaspora! Mica è una passeggiata qualunque.”
“D’accordo, però adesso come facciamo a presentarci….. Qualcuno di voi non ha dietro per caso un vecchio documento, qualcosa che possa dimostrare…”
Le teste dondolarono sconsolate, insieme alle treccine bisunte.
“Niente di niente? Nemmeno… chessò, una antica cessione di proprietà, tramandata magari dai bisnonni…”
“A quel tempo non c’erano cessioni di proprietà - osservò qualcuno – Ognuno stava a casa sua.”
“Qualche antica ricevuta di scambio, allora? Mi sembra che praticassero il baratto, in quel periodo …”
“Io ho le fatture del mercatino di Amsterdam - disse uno di loro - Però hanno la data dell’anno scorso, e inoltre sono in fiorini olandesi.”
“No, quelle non servono. Nient’altro?”
“Torniamocene a casa!” - Disse indicando con sguardo profetico la finestra davanti a lui.
“Giusto! - disse un altro - Cosi nessuno ci romperà più le scatole!”
“E’ vero, che idea geniale!” – aggiunse un terzo.
“Ma… a casa dove, scusate?” – domandò un quarto con leggero imbarazzo.
“Ah già cazzo – disse il primo, mentre la stanza piombava nel silenzio – Non ci avevo pensato…”
“In effetti - commentò un secondo – è da un pò che manchiamo da quelle parti. Quanto sarà, più o meno?”
“Ormai sono più di duemila anni, a occhio e croce.”
“Minchia! Così tanto siamo stati in giro?”
“Oh ragazzi, una diaspora è una diaspora! Mica è una passeggiata qualunque.”
“D’accordo, però adesso come facciamo a presentarci….. Qualcuno di voi non ha dietro per caso un vecchio documento, qualcosa che possa dimostrare…”
Le teste dondolarono sconsolate, insieme alle treccine bisunte.
“Niente di niente? Nemmeno… chessò, una antica cessione di proprietà, tramandata magari dai bisnonni…”
“A quel tempo non c’erano cessioni di proprietà - osservò qualcuno – Ognuno stava a casa sua.”
“Qualche antica ricevuta di scambio, allora? Mi sembra che praticassero il baratto, in quel periodo …”
“Io ho le fatture del mercatino di Amsterdam - disse uno di loro - Però hanno la data dell’anno scorso, e inoltre sono in fiorini olandesi.”
“No, quelle non servono. Nient’altro?”
“Io avrei una cartolina del monte di Astrion - disse un altro – Però non so a quanto possa servire: dietro c’è scritto solo ‘saluti da Astrion’, e basta.”
“E’ importante, invece, stai scherzando? Quella dimostra chiaramente che veniamo da quelle parti! Tirala fuori intanto, che la mettiamo da parte.”
L’austriaco frugò nel suo valigione, estrasse la cartolina e la passò all’amico.
“Ma qui non c’è nemmeno il francobollo! - disse quello esaminandola – Ma chi te l’ha mandata, scusa?”
“Mia zia, l’anno scorso. Però me l’ha portata a mano, quando è venuta su a Natale, perchè diceva che le poste costavano troppo.”
Tutti lo guardarono con disprezzo.
“E’ per quello che non l’ha nemmeno firmata - aggiunse con un filo di voce, abbassando lo sguardo sul pavimento - sapeva che me l'avrebbe data di persona.”
Nel frattempo qualcuno si era accorto che von Herzovich li stava fissando dal fondo della stanza, con uno strano sorriso sulle labbra. Quando fu sicuro che tutta l’attenzione fosse rivolta verso di lui, von Hertzovich disse:
“Siete proprio sicuri di non avere niente da mostrare? Niente niente niente?”
Gli altri si guardarono intorno, allargando le mani in segno di sconforto.
“E’ importante, invece, stai scherzando? Quella dimostra chiaramente che veniamo da quelle parti! Tirala fuori intanto, che la mettiamo da parte.”
L’austriaco frugò nel suo valigione, estrasse la cartolina e la passò all’amico.
“Ma qui non c’è nemmeno il francobollo! - disse quello esaminandola – Ma chi te l’ha mandata, scusa?”
“Mia zia, l’anno scorso. Però me l’ha portata a mano, quando è venuta su a Natale, perchè diceva che le poste costavano troppo.”
Tutti lo guardarono con disprezzo.
“E’ per quello che non l’ha nemmeno firmata - aggiunse con un filo di voce, abbassando lo sguardo sul pavimento - sapeva che me l'avrebbe data di persona.”
Nel frattempo qualcuno si era accorto che von Herzovich li stava fissando dal fondo della stanza, con uno strano sorriso sulle labbra. Quando fu sicuro che tutta l’attenzione fosse rivolta verso di lui, von Hertzovich disse:
“Siete proprio sicuri di non avere niente da mostrare? Niente niente niente?”
Gli altri si guardarono intorno, allargando le mani in segno di sconforto.
“E questo cosa sarebbe, secondo voi? – disse von Herzovich, mostrando a tutti il libro sacro.
Centinaia di sguardi interrogativi lo fissavano pieni di speranza. Von Herzovich aprì il grande libro, e lesse a voce alta:
“Ripensando alla sorte subìta dai loro padri che peccarono contro di me, abbandoneranno la loro caparbietà e la loro malizia. Io li ricondurrò nella terra promessa con giuramento ai loro padri, ad Abrahmberger, Isakson a Jacobhauser; essi ne avranno di nuovo il dominio e io li moltiplicherò e non diminuiranno più!”
L’esplosione di gioia si udì persino nelle vallate adiacenti. Gli austriaci ballarono e cantarono per tutta la notte, conoscendo un’allegria che non ricordavano nemmeno nei racconti dei loro antenati.
Era nato l’austrismo, il movimento che da quel giorno si sarebbe adoperato per raccogliere tutti gli austriaci dispersi nel mondo, e riportarli nella terra promessa. Anche quelli che non volessero saperne di tornarci, perchè stavano benissimo là dov'erano.
Centinaia di sguardi interrogativi lo fissavano pieni di speranza. Von Herzovich aprì il grande libro, e lesse a voce alta:
“Ripensando alla sorte subìta dai loro padri che peccarono contro di me, abbandoneranno la loro caparbietà e la loro malizia. Io li ricondurrò nella terra promessa con giuramento ai loro padri, ad Abrahmberger, Isakson a Jacobhauser; essi ne avranno di nuovo il dominio e io li moltiplicherò e non diminuiranno più!”
L’esplosione di gioia si udì persino nelle vallate adiacenti. Gli austriaci ballarono e cantarono per tutta la notte, conoscendo un’allegria che non ricordavano nemmeno nei racconti dei loro antenati.
Era nato l’austrismo, il movimento che da quel giorno si sarebbe adoperato per raccogliere tutti gli austriaci dispersi nel mondo, e riportarli nella terra promessa. Anche quelli che non volessero saperne di tornarci, perchè stavano benissimo là dov'erano.
SECONDA PARTE
Il movimento austrista crebbe con grande successo, anche grazie al fatto che alcuni austriaci lavoravano nelle più potenti banche del mondo, e riuscivano sempre a mettere una buona parola per la loro causa, quando incontravano nei corridoi qualche persona importante.
Ottennero così in poco tempo una dichiarazione ufficiale da parte della corona inglese, nella quale veniva certificato di fronte al mondo il loro diritto ad un territorio nazionale.
Rimaneva solo un ultimo problema da risolvere: il loro libro sacro si era dimenticato di indicare dove si trovasse la famosa “terra promessa” di cui parlava. In realtà, la sua descrizione era così vaga, che qualcuno era arrivato a suggerire che si trattasse solo di una metafora, per indicare lo stato spirituale che ci attende dopo la vita terrena.
“Macché spirituale !!!! – urlarono gli Anziani di Astrion - La terra promessa è chiaramente nelle Dolomiti, dove ebbe origine la nostra stirpe. Lo dice il nostro libro, quel libro è parola di Dio, e quindi dobbiamo rispettarla!”
Decisero allora di mandare due emissari in nord Italia, per sondare il terreno con gli abitanti del luogo. Ma quando questi tornarono, avevano notizie tutt’altro che confortanti:
“Gli italiani hanno detto che se vogliamo possiamo accomodarci nello spazio libero - riferirono gli emissari - Ma di sgomberare loro non se ne parla nemmeno. Dicono che sono lì da mille anni, e che non vedono motivo di andare via.”
“Ma voi gli avete mostrato libro sacro?” - chiesero gli anziani.
“Certo che gliel’abbiamo mostrato. Ma loro ne hanno tirato fuori un altro, molto simile al nostro, dove però la parte della terra promessa non c’è.”
“Come non c’è? Mancherà la pagina, vuoi dire …”
“No no, non c’è proprio. O meglio, loro ci hanno detto che non c’è. Sa, è scritto tutto in arabo, mica potevamo verificare.”
“Se è scritto in arabo non può essere sacro! E’ chiaro che quel libro è un falso.”
“No no, loro dicono che è autentico. Anzi, deve vedere come ci tengono. L’ha scritto un loro profeta, un certo Morpetto…”
“Maffetto” – lo corresse l’altro emissario.
“Ma quanti libri sacri ci sono?” – mormorò qualcuno nelle retrovie.
“Un casino – gli rispose quello accanto, sottovoce – Qui pare che ogni popolo abbia il suo.”
“Anche se ci fossero mille libri sacri - sentenziò l’anziano – c’è un Dio solo, il nostro! E lui ha detto chiaramente che dobbiamo tornare alla Terra Promessa.”
“Anche loro dicono che c’è un Dio solo” – disse timido il secondo emissario.
“E’ allora?” – gli chiese l’anziano, sempre più irritato.
“Beh, allora … abbiamo dedotto che si trattasse dello stesso dio, che evidentemente si è dimenticato di informarli di quel particolare.”
“Comunque sia - suggerì il primo emissario - lo spazio libero è davvero enorme. Ci sono intere vallate ancora disabitate, e la gente dei luoghi sembra davvero simpatica e ben disposta. Non dovremmo avere grossi problemi a starci tutti comodamente.”
“Va beh - dissero gli anziani – non è proprio la stessa cosa, ma intanto portiamoci avanti. Mandiamo qualcuno a stare fra loro, poi col tempo vedremo il da farsi.”
Nonostante i grandi spazi, però, deve essere sorto qualche grave problema, perchè man mano che arrivavano i coloni austriaci, la gente del luogo si ritirava frettolosamente dalle zone tutt’intorno.
Gli austriaci dicevano che erano loro ad andarsene spontaneamente. I locali invece li accusavano di angherie di ogni tipo, dicendo che ogni volta che protestavano si sentivano rispondere: “Se non ti piace come ti trattiamo, alza i tacchi e vai altrove. Questa è la nostra terra, e qui facciamo quello che ci pare”.
Dal comportamento degli austriaci, sembrava quasi trapelare un piacere inconscio nel vendicarsi di tutto quello che avevano subito nel corso dei secoli, facendo le stesse cose a qualcun altro.
Nelle vallate locali circolano oggi certe leggende secondo cui gli austriaci avrebbero messo in atto vere e proprie azioni di terrorismo sistematico, radendo al suolo interi villaggi, e obbligando la gente a scappare sotto la minaccia di morte. Da quando però gli austriaci presero il sopravvento nella zona, presero anche in mano il controllo dei dati storici, ed è diventato difficile oggi verificare con precisione quelle accuse.
Di fatto sappiamo che la progressiva colonizzazione portò i locali ad abbandonare le zone più centrali, attraversando i valichi alpini e riversandosi nelle vallate del Trentino Alto-Adige. Alcuni di loro si spinsero fino alle prime frange della pianura padana, dando origine alla zona oggi chiamata Cispadania, delimitata dalle rive del Po, che ospita qualche milione di italiani originari.
A quel punto, da un giorno all’altro, scoppiò la seconda guerra mondiale, causata da un folle che per qualche motivo si era messo in testa di sterminare tutti gli austriaci, pur essendo – pare – un austriaco lui stesso.
Questo folle si era messo alla caccia spietata di tutti gli austriaci dispersi in Europa, e pare che in certe occasioni abbia avuto l’appoggio dello stesso movimento austrista, che gli passava le informazioni sui nascondigli del loro concittadini, in modo da obbligarli a fuggire verso la terra promessa.
"Tanto – dicevano gli austristi - chi non vuole tornare per noi conta meno di una capra, per cui tanto vale che finisca in un campo di concentramento."
Ci fu addirittura un caso in cui una nave carica di austriaci che stavano fuggendo dalla Germania fu respinta dagli americani al porto di Miami, obbligando quei poveracci a tornare indietro. (Non è mai stato chiarito perchè l’America, paese della grande libertà, abbia respinto quel carico umano, pur sapendo a che destino lo stesse condannando. Qualcuno ha suggerito che gli austristi, alcuni dei quali lavoravano nelle grosse banche americane, avessero messo la solita parola buona con il presidente Roosevelt, chiedendogli di mandarli indietro. Roosevelt, molto sensibile al potere delle banche, avrebbe acconsentito).
In ogni caso, come sappiamo, tutte le guerre sono orribili, e questa fu ancora più orribile delle altre.
Quando finalmente gli americani riuscirono a sconfiggere lo stesso folle che avevano aiutato a salire al potere, e liberarono i pochi austriaci sopravvissuti dagli stessi campi di concentramento a cui li avevano condannati, il mondo trasse un sospiro di sollievo.
Iniziava l’era moderna, piena di allegria e di buona volontà.
TERZA PARTE
Per prima cosa fu stabilita a New York la cosiddetta A.N.I., Associazione Internazionale delle Nazioni, che prese a gran cuore il problema degli austriaci sopravvissuti allo sterminio.
Molti di essi nel frattempo erano affluiti nel territorio d’origine, espandendosi in gran fretta, e creando nuove frizioni con gli abitanti del luogo.
L’A.N.I. decise quindi di mettere le cose in ordine una volta per tutte. Dopo lunghe riunioni, fu solennemente dichiarata la creazione di un vero e proprio stato austriaco, con l’appoggio di quasi tutte le nazioni del mondo.
Fecero eccezione la Svizzera e la Slovenia – ovvero i paesi confinanti - che nel frattempo erano stati invasi dagli italiani in fuga, e che parlavano anche a nome dei loro confratelli rifugiati in Cispadania.
Ma la loro voce fu sommersa dall’applauso fragoroso che il mondo decretò alla nascita delle due nuove nazioni, purtroppo contigue: il nuovo confine correva lungo la cresta delle Alpi Pennine-Lepontine-Retiche-Carniche-e-Giulie, lasciando a nord la neonata Austria, e a sud una giovane Italia.
Lungo le coste del lago Maggiore era stata creata un’ansa di territorio che arrivava fino a Lodi, in modo da permettere agli austriaci di riprendere possesso della loro capitale storica, Milano.
Appena entrati a Milano, infatti, gli austriaci fecero abbattere tutte le statue dei santi locali, sostituendole con quelle del generale Radetzky, ritratto con il classico casco con il chiodo, sormontato da una vistosa stella alpina.
Gli stati confinanti però, che non avevano riconosciuto la nazione austriaca, la attaccarono militarmente nel giorno stesso dell’inaugurazione, prima ancora che la bandiera con la stella alpina a sei punte venisse issata sul Duomo di Milano.
Ma gli austriaci non si fecero cogliere impreparati, e dalle loro sacche da immigrante, piene di calzini sporchi e di patate indurite, uscirono improvvisamente cannoni, carri armati e jet nuovi fiammanti, che si sbarazzarono in poche ore di eserciti, come quello svizzero o quello sloveno, che di militare avevano soltanto il nome.
Non parliamo poi degli italiani, che non avevano mai conosciuto la guerra, e si erano presentati in battaglia armati di chitarra e mandolino, che cercavano di usare come clava contro i carri armati del nemico. (C’erano anche quelli con la lupara, volendo, ma si trovavano molto più a sud, ed erano difficili da contattare a causa dell’idioma particolare che utilizzavano).
I bergamaschi per l’occasione avevano procurato delle speciali pietre della Val Brembana, che a prima vista sembravano devastanti, ma che si rivelarono troppo friabili all’impatto con l’acciaio corazzato.
Anche le vecchie golette della Repubblica di Venezia, rispolverate per l’occasione, si trovarono in grosse difficoltà nel risalire le acque anguste dei torrenti prealpini, e dovettero alzare bandiera bianca prima ancora di aver esploso un solo colpo di archibugio.
Insomma, la disfatta fu totale, e gli italiani si risvegliarono con gli austriaci che avevano occupato la loro terra fino a Trieste da una parte, e fino a Torino dall’altra. Si erano anche impadroniti delle alture del Monblanc, note per le ricche fonti d’acqua che irrorano tutta la pianura padana.
Nel corso della notte gli austriaci erano anche riusciti a costruire centinaia di case coloniche un pò dovunque in nord Italia.
“Ma come avranno fatto? – si domandavano allibiti gli italiani – Non è che per sbaglio abbiamo dormito per tre mesi?”
“No, loro sono fatti così, da sempre. Sanno costuirsi un villaggio intero in mezza giornata, e se lo smontano e portano via in venti minuti, se devono scappare di corsa. E’ la diaspora che li ha abituati.”
Nella val Trompia un gruppetto di italiani provò ad avvicinarsi ad un casale che era stato occupato dagli austriaci, ma fu accolto a fucilate. Gli italiani dovettero rassegnarsi a comunicare con gli occupanti urlando nascosti dietro a un trattore.
“Ueh giuvinòtt - urlò uno degli italiani, con forte accento bergamasco – và che quella è casa mia!
“Cosa ha detto?” - urlò l’austriaco appostato sul terrazzino.
“L’ g’ho dit che hela l’è ca’ mea, o porcudìo!” – urlò imbestialito il bergamasco.
“Ha detto che quella è casa sua” – tradusse l’amico dell’austriaco, che era di Milano e capiva il bergamasco.
“Era, casa sua – lo corresse l’austriaco – ma voi ci avete attaccato, e adesso qui abitiamo noi. Così imparate.”
“Eeeh ostia, atacàto, adiritùra! – bofonchiò il bergamasco – per quater peder che l’ g’ ù tirà…”
“Cosa ha detto?” - urlò di nuovo l’austriaco.
“Dice che per quattro pietre che vi ha tirato, non gli sembra il caso di portargli via tutta la casa.”
“Non sono le pietre, è il gesto che conta! – rispose stizzito l’austriaco.
“Ma chè gesto e gesto, bilòt! – urlò il bergamasco alzandosi in piedi - Vieni qui che te lo faccio vedere io il gesto, deficent d’un deficent!”
Per tutta risposta una fucilata gli fischiò sopra la testa, obbligandolo a nascondersi di nuovo dietro al trattore.
“Occhio che quello non scherza” – gli disse l’amico.
Ma il bergamasco mise di nuovo fuori la testa, sprezzante del pericolo, e urlò all’austriaco:
“Ueh giùvin, t’è fini de fà el scemu si o no? La g’hu denter la vaca e il caval, e g’hù de daggh de magnà! Va fora di bàl e basta, ocrìstu!”
“Vorrebbe sapere se ne avete ancora per molto – tradusse il milanese, correggendo leggermente – e chiedeva se nel frattempo può venire a dar da mangiare alla sua mucca e al suo cavallo.”
“Non mi fido - rispose l’austriaco – Sappiamo che ci odiate, e aspettate solo la prima occasione per ributtarci tutti nel lago.”
“Ma quale lago, scusi? Dietro a lei ci sono solo le montagne.”
“Lo sapete benissimo di quale lago parlo, non fate i furbi. Voi volete ributtarci tutti nel lago, e quindi noi abbiamo il diritto di difenderci.”
Non c’era niente da fare, la nenia millenaria ricominciava daccapo. Non era servito a nulla dargli la terra, dargli le frontiere, dargli le armi per proteggerle. Evidentemente il senso di persecuzione era entrato nel loro codice genetico, e il fatto di non mescolarsi ad altra gente aveva solo peggiorato le cose, moltiplicandone gli effetti nel tempo, invece di diluirli.
A loro volta, erano ormai condizionati al lamento perenne, che li aveva abituati da secoli ad ottenere privilegi non sempre meritati.
Bastava che uno gli fregasse il parcheggio al supermercato, perchè l’austriaco si buttasse a terra ululando, richiamando subito l’attenzione di tutti i passanti. Mentre si formava il classico capannello intorno a lui, qualcuno chiedeva:
“Se l’è sucès? L’è un epilètic?” (Siamo a Lambrate, nelle vicinanze di Milano, nel cuore del territorio occupato).
“Macchè epilettico - cercava di spiegare l’italiano - Io ho semplicemente parchegg….”
Ma l’austriaco lo interrompeva subito, con una vocina stridula che lacerava i timpani e copriva persino il rumore dei tram:
“Mi ha preso il posto! – ululava puntando il dito come un bambino - Lo sapeva che era mio, l’ho visto prima io! Ma lui l’ha fatto apposta per farmi un dispetto, perchè ha capito che sono austriaco.”
“E tu togliti quel cazzo di cappotto a sette strati e vestiti come una persona normale - mormorava qualcuno mentre andava via schifato – così stai tranquillo che non ti nota più nessuno.”
“Ma poi scusate – aggiungeva un altro, indicando l’italiano - se è arrivato prima lui vuol dire che il posto l’avrà visto prima lui, no? Mica si vede dalle colline, ‘sto parcheggio.”
L’austriaco capiva che la situazione si metteva male per lui, e decideva di giocarsi il jolly: estraeva dalla tasca del cappotto la foto del nonno morto ad Auschwitz, mentre urlava all’italiano con tutto il fiato che aveva nei polmoni:
“Antidolomitaaaaaa!”
Di colpo si era fatto un gran silenzio. Era come se il tempo si fosse fermato, mentre quell’urlo lancinante riecheggiava all’infinito fra le case.
“Antidolomitaaa!…. Itaaa… Itaaaa…”
Le auto scivolavano via discrete, cercando di non fare rumore, e persino i tram sembravano scorrere su rotaie di velluto. Intorno all’italiano si era fatto il vuoto più assoluto. Sul piazzale c’era solo più lui, in piedi di fronte all’austriaco che singhiozzava sul selciato.
Si udiva in lontananza l’urlo delle prime sirene.
Dieci minuti dopo il piazzale era stato completamente circondato dalla polizia austriaca, mentre le telecamere della CNN riprendevano in diretta l’italiano che veniva portato via in manette, sotto lo sguardo di disprezzo degli austriaci accorsi sul posto. Poco distante i medici soccorrevano l’austriaco piangente, che veniva caricato su una barella, intubato con l’ossigeno e immobilizzato con le classiche protezioni antitrauma fosforescenti. Alcuni fra i presenti si asciugavano le lacrime in un fazzoletto, altri chiamavano a casa con i cellulari, e con sguardo preoccupato dicevano alla famiglia di chiudere bene tutte le porte e le finestre. La barella con l’austriaco veniva caricata su un’ambulanza, che si allontanava ululando nella notte.
Il TG della CNN terminava con un lento zoom sul colbacco dell’austriaco, che giaceva dimenticato sul selciato, fra due pozze d’acqua illuminate in controluce. Una mano caritatevole entrava nell’inquadratura, e appoggiava sul colbacco una piccola stella alpina.
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La gente in mezzo mondo spegneva il televisore disgustata, mentre qualcuno cominciava a dire che gli italiani sono tutti dei terroristi.
QUARTA PARTE
Quello che è successo in seguito lo sanno tutti. E purtroppo, man mano che ci si avvicina alla realtà di oggi, passa anche la voglia di scherzare.
Con il perdurare dell’occupazione, gli italiani avevano organizzato una vera e propria guerriglia a tutto campo, nell’intento di cacciare gli invasori da casa loro.
Ma ogni volta che riuscivano a colpire nel segno, non facevano che peggiorare la situazione. Gli austriaci infatti ne approfittavano subito per mostrare al mondo le loro vittime insanguinate. Poi convocavano una grande conferenza stampa, nella quale si appellavano al diritto di difendersi, e ripartivano ad uccidere, distruggere e massacrare con rinnovata ferocia.
Questo non faceva che aumentare la rabbia degli italiani, che a loro volta reagivano con ogni mezzo disponibile, permettendo nuovamente agli invasori di legittimare una nuova ondata di massacri e di conquiste.
Nel frattempo nessuno si domandava per quale motivo gli austriaci avessero il diritto di difendersi, pur trovandosi in terra altrui, mentre gli italiani non avevano nemmeno quello, pur essendo in casa loro.
Grazie a questo malinteso mai risolto, siamo arrivati alla situazione odierna.
L’Italia di oggi è ridotta a un colabrodo, con ampie sacche di territorio circondate da una muraglia di cemento invalicabile, in cui vivono rinchiusi circa sette milioni di italiani.
Per spostarsi da una sacca all’altra occorre un permesso speciale, che gli austriaci concedono solo dopo una lunga attesa, pur avendo ormai schedato tutti i residenti, e dovendo quindi applicare un semplice rinnovo. Una volta ottenuto quello, è necessario affrontare code interminabili ai check-point, sia in entrata che in uscita, per spostarsi da una zona all’altra della stessa nazione. La nostra.
Stessa sorte attende i ragazzi che vanno a scuola in una zona diversa da quella in cui vivono rinchiusi. Con la scusa di tutelare la propria sicurezza, gli austriaci rendono la vita impossibile agli italiani con ogni mezzo disponibile, nel chiaro intento di demoralizzarli e convincerli ad abbandonare per sempre il territorio.
Altri nove milioni di nostri concittadini sono già stati deportati nei campi profughi dei paesi vicini, oppure rinchiusi in veri e propri campi di concentramento sul nostro territorio. La motivazione data al mondo dagli austriaci è che “se no saremmo in troppi, e per loro la situazione diventerebbe insopportabile”.
Rendendo insopportabile la nostra, invece, hanno risolto il problema alla radice.
Rimane infine la striscia di Sorrento, una sacca isolata a sud di Napoli, nella quale ribolle una folla di quasi due milioni di italiani, stipati in un fazzoletto di terra di pochi chilometri quadrati.
Rinchiusi come topi da laboratorio, tenuti da mesi senz’acqua, senza luce, senza cibo, e senza nemmeno le medicine più essenziali, vengono lentamente portati all’esasperarazione, per consentire – grazie al solito meccanismo perverso - la loro completa epurazione.
Sono ormai meno di venti milioni gli italiani rimasti sul territorio. Tutti gli altri, dei cinquanta iniziali, sono morti o fuggiti all’estero.
Di fronte a questa furia devastante, il mondo sembra ridotto all’impotenza, e anche quando prova in qualche modo a reagire, si ritrova di fronte ad un muro di cemento.
Qualche tempo fa, ad esempio, fu letteralmente raso al suolo uno dei più grandi campi profughi del paese, durante un rastrellamento degli austriaci che dicevano di cercare dei terroristi nascosti fra la gente. Lo scandalo mondiale fu tale che l‘A.N.I. mandò una commissione internazionale per verificare l’accaduto, ma gli austriaci negarono l’ingresso ai suoi membri, mentre i loro bulldozer ricoprivano in gran fretta i segni del massacro.
Dove fino a ieri giocavano allegri i nostri bambini, oggi è una spianata anonima di cemento. Ma i bambini non li ha portati via nessuno. Sono ancora tutti lì, che giocano silenziosi sotto quel cemento.
La stessa sorte attende i nostri connazionali di Sorrento, che proprio in questi giorni stanno vivendo le ore più drammatiche di un’esistenza contrassegnata fin dalla nascita da sofferenze inenarrabili.
Mentre loro lanciano disperati gli ultimi razzi di cui dispongono, gli austriaci continuano imperterriti a mostrare al mondo i danni provocati, per poi reagire con una sproporzione ormai senza più senso.
In tutto questo nessun giornalista si ricorda di far notare che quei razzi vengono lanciati da italiani contro un territorio italiano, per cui basterebbe che gli austriaci tornassero a casa loro, e tutti i loro problemi “di sicurezza” finirebbero all’istante.
Ma evidentemente quei problemi non stanno affatto nella loro sicurezza, e a questo punto dovranno vedersela con l’unico dio dell’universo, il quale gli spiegherà finalmente in modo chiaro cosa volesse dire la sua famosa frase sulla terra promessa.
Massimo Mazzucco
NOTA: Questa è una favola. Qualunque riferimento a fatti realmente accaduti è puramente casuale. Se però altri popoli o nazioni dovessero riconoscersi in quanto descritto, il problema purtroppo non è nostro.
Fonte (alcune delle immagini sono state prese in prestito dai commenti all'articolo): luogocomune.net
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