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Mentre oggi sembrano essere preoccupati per i cambiamenti climatici e in particolare per lo scioglimento dei ghiacci artici, un sogno che molti covavano da tempo si sta realizzando.
Decenni fa, i benefici della manipolazione sono stati esplorati in varie conferenze scientifiche dopo che le compagnie minerarie ed energetiche avevano preso in considerazione l’uso di esplosioni nucleari per estrarre carbone e petrolio.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale sono state avanzate proposte di fusione delle calotte polari da figure ben note, tra cui il primo direttore generale dell’UNESCO Julian Huxley nel 1946 oppure di un alto funzionario presso il US Weather Bureau, l’ingegnere petrolifero russo Petr Mikhailovich Borisov.
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Mentre oggi sembrano essere preoccupati per i cambiamenti climatici e in particolare per lo scioglimento dei ghiacci artici, un sogno che molti covavano da tempo si sta realizzando.
Decenni fa, i benefici della manipolazione sono stati esplorati in varie conferenze scientifiche dopo che le compagnie minerarie ed energetiche avevano preso in considerazione l’uso di esplosioni nucleari per estrarre carbone e petrolio.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale sono state avanzate proposte di fusione delle calotte polari da figure ben note, tra cui il primo direttore generale dell’UNESCO Julian Huxley nel 1946 oppure di un alto funzionario presso il US Weather Bureau, l’ingegnere petrolifero russo Petr Mikhailovich Borisov.
La megalomania geoingeneristica di oggi ha una sua storia ...
di Anna Sorokina
Immaginarono di sciogliere il ghiaccio, di costruire edifici cilindrici collegati da gallerie riscaldate e di cambiare radicalmente il clima di questo territorio remoto. Ecco i progetti più strampalati (e mai realizzati) formulati da architetti e ingegneri sovietici
Un quinto del territorio della Russia si estende oltre il Circolo Polare Artico; eppure solo l’1% della popolazione – circa 1,5 milioni di persone – vive lì, in condizioni tutt’altro che confortevoli, tra rigidi e lunghi inverni, temperature glaciali ed edifici costruiti sul permafrost.
Fin dai secoli scorsi, lo sviluppo dell’Artico ha avuto una grande importanza nell’agenda dei governi russi e sovietici: d’altronde si tratta di una terra ricca di riserve naturali, e l’Oceano Artico rappresenta la rotta marittima più breve tra l’Europa e l’Asia. Non sorprende quindi che l’URSS avesse elaborato progetti davvero incredibili da destinare a quella parte remota del Paese.
1 / Progetto 501: “La strada morta”
Uno degli ultimi colossali progetti ideati dal governo di Joseph Stalin fu la ferrovia transpolare, che doveva collegare le città di Chum, Salekhard, Nadym, Novy Urengoy e Igarka, per un totale di 1.300 km di binari che avrebbero attraversato foreste, fiumi e paludi impraticabili.
I binari utilizzati erano per lo più vecchi, risalenti all’inizio del XX secolo, e per questo si decise di non costruire ponti ferroviari sui fiumi Ob ed Enisej: secondo il progetto originale, in estate sarebbe stato possibile oltrepassare i fiumi in barca, mentre in inverno l’attraversamento sarebbe stato garantito dalla formazione di uno spesso strato di ghiaccio.
I lavori di costruzione durarono poco meno di sei anni, durante i quali furono installati 700 km di ferrovia, ma le due sezioni non vennero mai collegate. Subito dopo la morte di Stalin, nel 1953, il progetto fu interrotto, i gulag chiusi e i binari abbandonati. Ancora oggi, nella natura selvaggia della Siberia, ci si può imbattere in vecchie locomotive a vapore arrugginite sopra vecchie rotaie in stato di abbandono, casette in legno e una serie di torrette da campo. Una di queste locomotive è stata issata sopra un piedistallo alla periferia di Salekhard, come monumento alla "strada morta".
Oggi è in funzione solo un tratto di 200 km della linea ferroviaria originale tra Chum e Labytnangi (una città dall'altra parte del fiume Ob, rispetto a Salekhard); qui si fermano i treni provenienti da Mosca e Vorkuta. Inoltre, diverse piccole sezioni della linea nella zona di Novy Urengoy sono state restaurate e sono utilizzate per scopi industriali.
2 / Armi nucleari per l'Oceano Artico
La Rotta del Mare del Nord è la via più breve che collega l'Europa all'Asia, ma i ghiacci dell'Artico rendono impossibile una navigazione regolare. Se non fosse stato per i ghiacci, la Russia avrebbe potuto creare una rotta di transito per le merci economicamente più vantaggiosa, rendere il trasporto interno e internazionale molto più economico, e sviluppare i porti e le città del nord. Ma come fare per limitare l'impatto dei ghiacci sulla navigazione nell'Oceano Artico? Il quesito ha solleticato per anni la fantasia degli scienziati sovietici, che alla fine partorirono una soluzione piuttosto estrema per risolvere il problema.
Negli archivi dell’Istituto di Ricerca sull’Artico e sull’Antartide (Arctic and Antarctic Research Institute o AARI) è stata trovata una nota indirizzata a Stalin e scritta da un membro della Società Geografica, Aleksej Pekarskij, nella quale lo studioso ipotizzava di bombardare le formazioni di ghiaccio con armi nucleari. “Un aereo carico di bombe atomiche potrebbe volare seguendo la rotta prevista e sganciando gli ordigni che servirebbero a rompere il ghiaccio: in questo modo si formerebbe un canale attraverso il quale potrebbero passare le navi”, scrisse nella nota.
Stalin sottopose il documento agli specialisti dell’Istituto Artico, i quali giunsero alla conclusione che l’utilizzo di armi atomiche per rimuovere i ghiacci avrebbe potuto essere “molto efficace”. Fortunatamente, nel 1946 l’URSS non possedeva ancora una bomba atomica, che fu creata solo pochi anni dopo.
Qualche tempo dopo si scoprì che un’esplosione nucleare ha effetti collaterali devastanti, perciò l’idea venne accantonata… anche se non del tutto: alla fine degli anni ’50, l’Unione Sovietica costruì le sue prime rompighiaccio atomiche per garantire la navigazione perenne tra le acque del nord.
Ancora oggi potenti rompighiaccio atomiche guidano le navi lungo la rotta del Mare del Nord, mentre l’ulteriore sviluppo di questa importante via di trasporto è diventato parte di un progetto nazionale su larga scala.
3 / Città con microclima artificiale
L’architettura delle città polari deve adattarsi al rigido clima del nord: gli edifici devono essere costruiti su palafitte per evitare che il calore prodotto all’interno sciolga il permafrost, causando l’affossamento dei palazzi. Inoltre bisogna considerare altri fattori pratici – come la protezione dal vento – che ovviamente mettono in secondo piano gli elementi estetici e il comfort.
Il progetto, firmato dagli architetti S. Odnovalov e M. Tsymbal, fu pubblicato nel settembre del 1961 sulla rivista Tekhnika Molodezhi (Tecnologia per giovani); prevedeva blocchi di appartamenti cilindrici di 15 piani collegati fra loro da gallerie coperte e passaggi riscaldati. Ognuno di questi complessi poteva ospitare dalle 500 alle 10.000 persone.
Al giorno d’oggi possiamo notare che l’idea di un insediamento con un microclima artificiale è stata parzialmente realizzata nelle base militari russe del nord: nella Northern Clover in Yakutia e nell’Arctic Trefoil (foto) sulla Terra di Francesco Giuseppe.
Gli edifici di forma rotonda solo collegati fra loro e ospitano alloggi, sale studio, un cinema, la mensa, sale per lo svago, aule e un giardino invernale con piante.
4 / Cambiare il clima
L’influente climatologo sovietico Mikhail Budko sosteneva una bizzarra teoria, secondo la quale la causa principale del freddo nell’Artico sarebbe dovuta ai ghiacci dell’Oceano Artico… Quindi, per rendere questo territorio più confortevole per ospitare la vita, sarebbe stato necessario… sciogliere il ghiaccio!
Nel 1962, lo scienziato propose di spruzzare sull’Artico la fuliggine prodotta dagli scarti dell’industria della gomma, in modo che il ghiaccio, facendosi scuro, avrebbe assorbito le radiazioni solari e si sarebbe sciolto più velocemente. Fortunatamente, questa strampalata idea – per usare un eufemismo – non venne mai realizzata. (ndr: Siamo sicuri? VEDI QUI )
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