Volenti o nolenti, la famosa controffensiva ucraina, destinata a restituire i territori "sottratti" dai russi (incluso la Crimea) è iniziata ormai da 4 giorni.
di Gianluca Napolitano
E in 3 giorni l'esercito ucraino, ormai totalmente "Made in NATO", ha perso il 10% dell'equipaggiamento ricevuto, incluso i mitici "Leopard 2" e i Bradley americani.
Non solo: nei giorni precedenti i due sistemi Patriot forniti dagli USA a suo tempo sono stati entrambi colpiti (e non si sa se siano stati riparati, ma poco importa ,visto che non possono neppure difendere e stessi, figuriamoci il resto) e il sistema IRIS-T tedesco è stato distrutto.
La contraerea ucraina al fronte è stata spostata a decine di chilometri all'indietro, per metterla relativamente al sicuro dagli attacchi aerei russi, e non è in grado di proteggere il campo di battaglia, dove ormai gli elicotteri d'attacco russo volano incontrastati. Solo il tempo inclemente li sta tenendo a bada.
Il Telegraph informa gli sgomenti britannici e senza mezzi termini che per avere successo, le truppe ucraine devono sfondare delle linee di difesa russe che si estendono per una profondità che arriva a trenta chilometri. Fino a ieri i russi venivano dipinti come pronti a darsela a gambe al primo sparo ...
Lungo queste linee di difesa - spiega - si trovano campi minati, fossati anticarro, zone di "colmo" dove far confluire gli attaccanti colpendoli a distanza, senza contare delle posizioni di fanteria, i "denti di drago" così derisi nei mesi scorsi ma terribilmente efficienti nel frenare l'avanzamento quel tanto che basta perché le potenti batterie di artiglieria russe li facciano a pezzi.
Questa linea di difesa russa si estende per oltre 900 chilometri. E alle sue spalle ci sono territori dove una volta penetrati diventa impossibile rifornirsi o anche semplicemente acquartierarsi, coi cieli totalmente dominati dall'aviazione russa che opera da basi distanti pochi minuti di volo e che tagliano ogni via di rifornimento.
Trangugiare la realtà, ma a piccoli sorsi
Il Telegraph, già solo sulla base di questa analisi empirica, arriva alla semplice conclusione che la missione di recuperare i confini - anche solo del 2004 - è impossibile.
Solo che lo dice un po' in ritardo.
Questo non significa che gli ucraini non daranno battaglia, probabilmente la più grande battaglia campale dalla seconda guerra mondiale ad oggi, ma dal punto di vista strategico, questa controffensiva è una operazione assurda. L'attacco che parte da Zaporizzjia ha davanti a se oltre cento chilometri di campi aperti, senza ripari, senza centri abitati, senza strade.
Una volta penetrati al di la delle linee russe gli ucraini si troveranno in mezzo al nulla. L'esercito russo sta applicando la tattica della "difesa flessibile" e invece di resistere "fino all'ultimo uomo" abbandona subito i piccoli insediamenti presenti in queste zone ed evacuati da tempo, evitando di far massacrare i propri soldati dall'artiglieria e dai carri di Kiev.
Gli ucraini entrano così nei villaggi abbandonati, per la gioia dei media occidentali, ma poi rimangono esposti agli attacchi aerei e di artiglieria guidati da droni da ricognizione, e impossibilitati a ricevere rifornimenti e rinforzi.
Quando le unità di assalto ucraine sono sufficientemente indebolite parte il contrattacco russo di carri armati con forte supporto aereo. Ciò porta alla inevitabile ritirata o al massacro delle unità avanzate.
I comandanti ucraini lo sanno bene, e hanno elaborato strategie diversive, ma i russi hanno imparato a caro prezzo la lezione della sconfitta di Marinka - dove queste tecniche di difesa le hanno dovute affrontare loro - e ormai sembrano conoscere alla perfezione tutte le strategie del nemico.
E' solo per la costante pressione statunitense che Zelensky ha rotto gli indugi ed ha avviato la sua offensiva.
Siamo in effetti ancora ai preliminari, ma già vengono impiegati per la prima volta carri e corazzati NATO, con cui gli ucraini cercano battaglia contando sulla superiorità tecnologica alla ricerca di un punto debole dello schieramento russo, e su cui successivamente lanciare il grosso della forza di sfondamento.
Stiamo parlando di 12 brigate (4.000 uomini ciascuna, a ranghi completi) e di almeno 500 mezzi corazzati e un migliaio di veicoli di supporto fanteria concentrati a Zaproizzja. Praticamente tutta la forza d'urto residua degli ucraini.
Ma la tanto decantata superiorità tecnologica delle armi occidentali non si è vista. O meglio, non si è fatto in tempo a vederla, perchè tutto quello che è stato messo in campo si è rivelato mal pensato all'origine o - a voler essere generosi - utilizzato male.
Non siamo nel deserto e non si combatte fra un esercito attrezzato di tutto punto e quattro beduini in infradito e col kalashnikov.
Ad oggi nessun corazzato ucraino è stato distrutto in uno scontro diretto o un duello con mezzi russi. Al nemico non si sono neppure mai avvicinati. Sono stati fermati molto prima.
A scontrarsi direttamente con i russi non ci sono neppure arrivati.
Basti pensare agli "sminatori" progettati per sminare il terreno ed aprire le porte agli altri carri verso le posizioni avversarie. L'unico Bergerpanzen-3 "Buffel" fornito dal Canada è già stato distrutto e la stessa sorte (e nello stesso identico punto) è toccata ai 3 i leopard-2R HMBV "sminatori" forniti dalla Finlandia. E tenete presente che in totale ne sono stati costruiti solo 6.
Il continuo rimandare l'offensiva, oltre a dare il tempo ai russi di preparare robuste difese ha permesso loro anche di mettere a segno una serie di colpi mirati, che hanno minato profondamente la capacità offensiva ucraina.
- Ad aprile, un missile Kinzhal ha colpito un centro di comando sotterraneo NATO-ucraino (posto a 130 m di profondità), distruggendolo. Si mormora di 130 vittime fra cui diversi ufficiali della NATO e almeno un americano.
- A maggio, sempre un Kinzhal ha colpito un altro centro comando, all’interno del quale si trovavano in riunione alti ufficiale ucraini e della NATO, e anche Zaluzhny, il comandante delle forze armate ucraine, da allora scomparso (forse deceduto).
- Pochi giorni dopo è toccato al bunker del comando militare congiunto di Odessa. Anche lì vittime, e anche lì personale "europeo". Nel bunker c'erano 300 fra ufficiali di comando e specialisti in guerra elettronica.
- Infine pochi giorni fa è stata la volta del bunker sotterraneo del GRU (il servizio di intelligence militare ucraino) e del palazzo sovrastante, dove si trovava anche il comandante Kyrylo Budanov, che da allora è apparso solo in un inquietante video di 30 secondi in cui sta immobile e in assoluto silenzio accompagnato dalla scritta "I piani amano il silenzio", versione da terzo millennio del famoso "taci, il nemico ti ascolta".
Una cosa comunque è certa: la contraerea ucraina (e quindi NATO) non è in grado di assicurare la protezione necessaria, sia in quantità che in qualità, per fermare una normale pressione aerea russa, figuriamoci per supportare una controffensiva in gran forza come questa.
Con il suo sviluppo attuale, a causa di una serie di errori strategici commessi per esigenze mediatiche e di propaganda che ne hanno permesso la localizzazione, gli ucraini - che nel frattempo si sono dedicati a colpire serbatoi di raffinerie russe e ad azioni di banale terrorismo per andare in TV - hanno visto i russi colpire pesantemente degli importanti depositi di munizioni e centri di comando nelle retrovie, vitali per la battaglia frontale, ottenendo una fastidiosa anche se parziale disarticolazione logistica e di comando dell’offensiva ucraina.
Controffensiva strombazzata (troppo) ai quattro venti da tutti, sia da Kiev che dai media occidentali, e che dopo la caduta di Bakhmut e giunti ormai all'estate, non poteva essere rinviata ancora, sia per ragioni politico-mediatiche internazionali, sia perché il rischio era di farsi logorare le risorse ancora prima di avviarla.
Quindi lo stato maggiore ucraino, pur consapevole delle difficoltà intrinseche e della sfavorevole proporzione di forze, nonostante questa lunga serie di ragioni oggettive che abbiamo esposto, ha deciso di iniziare a far vedere che fanno qualcosa, giusto per far vedere che qualcosa stanno facendo.
Probabilmente, senza le forti pressioni anglo-americane, questa offensiva non sarebbe neanche stata pianificata, visti i possibili esiti nefasti, ed è probabilmente proprio il temerne l'esito finale la vera ragione per la quale gli ucraini hanno così a lungo temporeggiato prima di avviarla.
L'attacco "vero" ancora non c'è
Gli attacchi attualmente sono in corso e sono violentissimi, ma sono sempre effettuati con forze limitate, anche perché diluite su 5 (ora 4) direttive differenti e - nota bene - contro il parere del Pentagono, che aveva suggerito invece di concentrarle tutte in un unico punto, e che ha fatto sapere la sua contrarietà tramite il solito articolo stizzito del Washington Post, che in questo conflitto gli fa da megafono ufficioso.
In ogni caso l'unica direttrice d’attacco che ha un senso strategico è quella che Zaporizzjia scende verso Melitopol, poco ad est del confine tra gli oblast di Donetsk e Zaporizzjia .
Sebbene ancora non sia stata sferrata una vera offensiva in forze tutto lascia supporre che questo verrà fatto entro la terza settimana di giugno, data oltre la quale il logoramento delle riserve ad opera dei costanti bombardamenti missilistici russi priverebbe gli ucraini della logistica necessaria ad estendere le proprie linee di rifornimento nei territori in cui intendono avanzare.
In questa ottica appare chiaro che la distruzione della diga di Kakhovka (e la susseguente apertura delle chiuse della centrale idroelettrica sul Dniepr a Zaporozhye, a monte della diga per inondare ulteriormente le zone a valle), più che ad impedire una azione offensiva russa verso Kherson, è stata operata per coprire il fianco destro ucraino dell'attuale attacco verso il mar d’Azov, via Melitopol e con obbiettivo Berdinsk.
Le perdite da parte delle forze armate di Kiev, secondo Mikael Valtersson (esperto militare svedese) superano ormai il 25% degli effettivi delle brigate d'assalto. A questi livelli una brigata ucraina - composta quando è al completo di 4.000 uomini e relative attrezzature - è sul punto di divenire inutilizzabile. E sappiamo che si tratta di brigate già tutt'altro che complete.
Due giorni di combattimento con questo livello di perdite distruggerebbero la capacità di battaglia di qualunque brigata.
24 giorni con queste perdite in effetti distruggerebbero l’intero gruppo di 12 brigate che l’esercito ucraino ha raccolto per l’offensiva, e tutte le riserve strategiche che l’esercito ucraino ha costruito negli ultimi 6 mesi.
Come preconizzato da Scott McGregor (ex consigliere militare di Trump) l'esercito ucraino, con un attacco frontale in queste condizioni, va incontro al puro e semplice smantellamento.
Che gli ucraini avrebbero avuto perdite pesanti era largamente previsto. L’attacco frontale è la manovra più dispendiosa di una guerra, in termini di mezzi e vite umane ed era anche prevedibile che in questo caso fossero ancor più significative, per via della sproporzione di mezzi tra i due eserciti, ma i primi risultati di questi provvisori "assaggi" delineano un quadro molto peggiore e semplicemente insostenibile.
Nei primi 3 giorni, le forze ucraine hanno perso circa il 10% delle forniture NATO, e il conto sale al 15% considerando gli ultimi due.
E bisogna tenere presente che tutti gli avanzamenti finora ottenuti dagli ucraini - e sbandierati a gran fanfara dai nostri media - si collocano nella zona grigia, quella fascia cuscinetto di 7–10 chilometri che i due eserciti si contendono, e non sono mai arrivati a sfondare la prima linea fortificata russa (che dietro ne ha altre due o tre, stratificate in profondità).
Bandiere ucraine issate davanti al Parlamento Europeo
Qui da noi sventolano il bandierone anzitempo
Mi è capitato di leggere cose fantasiose sui media italiani che neppure commento. Quello che si può osservare finora invece sono delle criticità abbastanza importanti, nell'azione ucraina:
- La presenza di vasti campi minati, ed al tempo stesso la scarsa disponibilità di mezzi per lo sminamento dinamico, ha portato spesso le unità ucraine ad avanzare incolonnate, rendendole più facilmente bersaglio dell’aviazione d’attacco russa.
- L’artiglieria ucraina si è dimostrata abbastanza inefficace, sia nel fuoco di copertura all’avanzata dei reparti, che in quello di contro-batteria.
- La mancanza di supporto aereo alle unità in avanzamento, anche se previsto, ne ha accentuato l’esposizione al fuoco nemico.
- La necessità di proteggere i sistemi di difesa aerea, tenendoli a distanza di sicurezza, ha sostanzialmente lasciato campo libero all’aviazione russa nell’attacco ravvicinato.
- La permeabilità degli strumenti di comunicazione e controllo all’azione dei dispositivi di disturbo schierati dai russi, ha reso meno efficace il necessario coordinamento tra le diverse unità, e tra queste ed i centri di comando.
Se nei prossimi giorni l’attacco vero e proprio sarà indirizzato verso Melitopol, dovrebbe avvenire lungo l’asse Robotyne-Novoprovokivka-Kharkove-Tokmak (a giudicare dalle concentrazioni di forze rilevate dal satellite russo), o magari lungo l’asse Kopani-Chystopillia-Pokrovske-Molokans’k; per sfruttare un punto debole rilevato da quelli della NATO nella prima linea difensiva fortificata russa.
Entrambe le direttive convergerebbero comunque verso Tokmak-Molokans’k, laddove è presente un altro varco nella terza linea, che i russi non sono ancora riusciti a colmare.
Sfruttando quesa zona di difese deboli. le forze ucraine potrebbero penetrare in profondità ma si troverebbero sul fianco sinistro la città fortificata di Tokmak (e Bakhmut ha insegnato molto in merito alle città fortificate), e sul fianco destro un’altra linea fortificata che scende quasi perpendicolarmente da Molokans’k verso Starobohdanivka. Un azzardo molto pericoloso.
D’altra parte una penetrazione di questo genere, magari raggiunta mantenendo ancora una sufficiente capacità offensiva, potrebbe essere rivendicata come un grandissimo successo (anche se meramente tattico, perchè siamo ancora ben lontani anche dal solo pensare di raggiungere la costa).
Perché poi nasce il problema di proteggersi le spalle e mantenere aperte le vie di rifornimento logistico, con il grosso delle forze schierato in mezzo al nulla a fare da bersaglio immobile all'aviazione russa e impossibilitato ad ottenere rinforzi.
Andare, sì, ma dove?
Tenendo conto che con ogni probabilità questo è l’ultima offensiva che le forze ucraine possono mettere autonomamente in campo per cercare di modificare la situazione sul terreno, è evidente che dietro vi sia una logica politica di qualche tipo. Cioè rivendicare la vittoria davanti al mondo occidentale e correre a sedersi al tavolo delle trattative.
I rappresentanti di Kiev infatti hanno ripreso a parlare della possibilità di colloqui di pace.
È vero che impongono come prerequisito che la Russia se non dai territori almeno si ritiri dai suoi obiettivi dichiarati con l'operazione militare speciale: la smilitarizzazione, la denazificazione e l'allontanamento dell'Ucraina dalla NATO, come ha detto il ministro della Difesa Oleksiy Reznikov al forum Dialogues on the Restoration of Ukraine.
Il messaggio di fatto però è che Kiev ha momentaneamente messo da parte i suoi obbiettivi, cioè la deposizione di Putin e il ritorno ai confini del 1991, e dice ora di essere disposta a "determinare se i gli interessi della Russia sono cambiati abbastanza" in modo che in seguito si possa parlare di un accordo pacifico.
Per tutta risposta, sottobanco, con il solito Medvedev che fa la parte del poliziotto cattivo, i russi hanno fatto sapere che in effetti sarebbero disposti a trattare, in quanto è incontrovertibile che i loro interessi sono effettivamente cambiati.
Cioè, magari gli interessi no, ma gli obbiettivi ora sono modificati e si può ragionare, in un certo senso, di un ritorno ai confini di "prima" del 1991. Cioè che l'Ucraina torni ad essere russa, che gli USA ritirino tutti i loro missili dai paesi confinanti e che lo stesso avvenga per le truppe della NATO.
Le posizioni sembra quindi che siano abbastanza distanti, e il governo di Kiev - al di là dei roboanti proclami - è perfettamente cosciente che deve investire le ultime risorse a disposizione per vedere di allargare il conflitto e coinvolgere "gli sponsor", adesso e subito, e non fra mesi o anni (visto che nemmeno loro sono disposti a scommettere che fra un anno ci saranno ancora).
Come preconizzava McGregor, è abbastanza probabile che una volta esaurita la "grande controffensiva ucraina" e con l'Ucraina ormai priva di risorse militari, a Zelensky non rimanga che prendere l'elicottero offerto da Sullivan l'anno scorso (sempre che sia ancora disponibile) prima che i russi entrino a Kiev senza passare dalla Bielorussia e lo vadano a prendere di peso senza più nessuno che possa fermarli.
Ammesso che ci sia rimasto ancora qualcuno che li voglia fermare.
Infatti il livello di approvazione dell'eroico Zelenskyj in patria è in costante calo (ma conta poco, visto il controllo ferreo che ha sul paese) mentre all'estero il calo di consensi è ancora più pesante (e questo conta moltissimo) più fra i politici che fra la gente, ancora completamente stregata dalla propaganda che li ipnotizza.
Recentemente Zelensky è stato intervistato da un giornalista di Bild che ha scritto poi un articolo a parte citando il suo "stato emotivo instabile".
Un simile articolo, pubblicato dalla rivista principale portavoce della propaganda tedesco-americana fino a ieri era impensabile, inammissibile e semplicemente impossibile. Invece ora la situazione è cambiata: lo "Zelensky emotivamente esausto" è un chiaro segnale di irritazione occidentale (cioè USA).
In questo senso vanno anche visti gli articoli del Telegraph ma specialmente del WSJ, NYT e WP, che per la prima volta accennano ai "problemi" della situazione in Ucraina.
Il Congresso USA e gli elettori americani vogliono vedere i risultati delle forze armate ucraine - e dei soldi investiti - direttamente sotto forma di successi militari veri e propri e nient'altro.
E se gli ucraini non riescono a ottenere il successo sul fronte così incautamente promesso, il flusso di dollari rischia di essere fortemente ridotto, e con quello la già scarsa possibilità di vittoria a lungo termine.
Le ultime carte da giocare
Quindi bisogna attaccare, anche se questo significa accettare perdite rilevanti, indipendentemente dal fatto che queste perdite ottengano un qualche successo tattico o meno, anche a costo di consumare l'intero esercito ucraino nell'operazione (anzi, forse meglio ancora).
Perché dopo di ciò, non resta che arroccarsi in difesa, combattendo metro per metro, casa per casa, rispolverando le vecchie immagini delle ragazze ucraine che preparano le molotov in cantina (ma vere, questa volta), e - aiutati dai media occidentali sempre complici - richiedere a gran voce l'intervento di forze esterne per scongiurare la catastrofe.
In questo senso vanno lette le parole di Mario Draghi ieri l'altro a Boston:
L’Unione europea per sopravvivere deve necessariamente assicurare che l’Ucraina vinca la guerra anche a costo di un conflitto prolungato
Insomma, l'Ucraina deve vincere per forza giacché la sua sconfitta sarebbe un colpo fatale per l'Europa.
Già, ma a questo punto, quando (e non "se") l'Ucraina, per vincere, avrà bisogno di soldati che non ha, che si fa? Li manderà la NATO? E in quel caso cosa noi italiani - fedeli membri dell'alleanza - che facciamo?
Mandiamo i soldati italiani a sparare contro i soldati russi?
Ovvio che si.
E i russi staranno semplicemente a guardare arrivare i soldati di un paese che ospita 110 basi militari americane, ma che dice "si fa solo per scena, mica facciamo sul serio" porgendo l'altra guancia e dicendo "eh, vi capiamo"?
Non ci sarà nessuna rappresaglia, ai primi morti russi? L'Italia (e le sue tante basi USA) non verrà toccata da una flotta russa di stanza in Siria che manda sottomarini in giro per le acque della Sardegna a suo piacimento)?
Basta buttare giù 5 o 6 ponti per paralizzare l'Italia.
Magari dicendo - dopo - che "sono gli italiani che si bombardano da soli", come sono mesi che sentiamo dire dei russi dagli ucraini?
Chi vuole vada, chi non vuole mandi
Ecco che riappare pronta la coalizione dei volenterosi di cui si parla da tempo, e che dovrebbe veder scendere in campo direttamente la Polonia ed i baltici.
Una soluzione, questa, non solo estremamente pericolosa – sia perché potrebbe facilmente portare al confronto diretto NATO-Russia, sia perché potrebbe avere come esito la scomparsa delle tre repubbliche baltiche, sia perché aprirebbe comunque la strada alla spartizione dell’Ucraina ed alla sua estinzione come stato autonomo. Alla faccia di chi diceva di volerla difendere.
In questo contesto va inquadrata la dichiarazione dell'ex comandante delle forze di terra polacche, il generale Waldemar Skrzypczak, che ha dichiarato in un'intervista a Ukrinform che "se Orbán vuole ricattare la Nato, l'Ungheria deve essere esclusa dall'alleanza".
"La Nato ha dato all'Ungheria abbastanza tempo per decidersi. Se l'Ungheria è dalla parte di Putin, dovremmo mostrarle un "cartellino giallo" e dire: se non cambiate posizione, sarete espulsi dalla Nato",
"Non si può accettare che l'Ungheria terrorizzi l'intera alleanza: il ricatto magiaro contro la Nato deve essere fermato [..] non possono esserci paesi in questa organizzazione che giocano da entrambe le parti".
Alla faccia di chi diceva che "Putin è riuscito a ricompattare l'Europa e rendere la NATO più forte che mai". Vorrei sapere dove sono finiti tutti quanti (ma è come per i "nazi-vax", ora risulta che non siano neppure mai esistiti).
Alla faccia loro e alla faccia di una "Unione Europea che esce rafforzata e compatta".
"Mamma li turchi"!
Ma poi c'è anche la Turchia del rieletto "dittatore" Erdogan - termine usato proprio da Mario Draghi - che ha già ventilato il suo scarso interesse a rimanere in una NATO che da organizzazione difensiva sta diventando una organizzazione aggressiva.
Cioè, ha detto chiaramente, per bocca del suo ministro della difesa uscente (riconfermato) che loro, se si continua così, se ne vanno, portandosi via l'esercito di gran lunga più potente dell'alleanza (senza nessuna garanzia che rimanga neutrale).
D'altronde una certa irritazione da parte di una Turchia che aspetta da 20 anni fuori dalla porta dell'Unione Europea col cappello in mano, una inflazione dell'80% e nessun investimento europeo per aiutarla, e che si vede passare avanti l'Ucraina, così, con la massima naturalezza, magari la ci si poteva anche aspettare.
D'altronde se l’Unione europea per sopravvivere deve necessariamente “assicurare che l’Ucraina vinca la guerra anche a costo di un conflitto prolungato” entrare adesso nella UE non porta più alcun vantaggio, anzi. Serve solo per vedersi presentare il conto da pagare.
Meglio rimanerne fuori e lucrare sul fatto che il legame tra il centro dell’Europa (la Germania) e la Russia oramai è interrotto definitivamente, e si può fare tanto "mercato nero" quanto si vuole, comprando metano dalla Russia e vendendolo ai tedeschi (e non solo a loro) e viceversa comprando merci da rivendere ai russi, con ampia soddisfazione e guadagni stratosferici.
In più, è impensabile che l'economia tedesca (a vocazione totalmente industriale) non esca massacrata dalla scomparsa dell'energia a basso costo fornita dalla Russia, e quindi minando alla base il sofisticato sistema che garantiva alla Germania una prosperità economica senza precedenti di cui hanno beneficiato tutti, anche i paesi del sud Europa.
La "belle epoque" è finita
In questo contesto mutato, con le materie prime russe a basso costo scomparse per sempre, spese militari già decise (e forzate dall'alleato oltreoceano) che dreneranno ogni risorsa per il welfare, confini controllati e mobilità personale ridotta, c'è da chiedersi di preciso quale Unione Europea si vorrebbe esattamente salvare.
Quella delle banche?
Il denaro non si mangia, non produce energia e non va al fronte al posto tuo.
Siamo proprio sicuri che a Berlino la prospettiva di un’unione fortemente ridimensionata, alla quale deve contribuire pesantemente comunque, stia sempre bene? Se non fosse un paese militarmente e politicamente occupato - esattamente come l'Italia - la risposta sarebbe scontata.
Il fatto è che tornare indietro non si può.
Ormai la Russia è entrata in modalità "gioco a somma nulla", e non indietreggerà certo davanti a banali anche se possenti considerazioni economiche e commerciali, perché per loro oramai è questione di sopravvivenza.
Per noi non lo era, ma i nostri governanti lo hanno voluto far diventare così anche per noi, e per forza.
Sfortunatamente la storia ci insegna che la visione dei popoli e quella dei loro governanti possono improvvisante divergere, soprattutto nei momenti di estrema difficoltà, magari virando bruscamente verso direzioni politiche che si credevano definitivamente superate.
Soprattutto ci ha insegnato che le guerre portano spesso con sé sconvolgimenti interni radicali e non preventivabili.
Specie quando le guerre le perdi.
Fonte: novaproject.quora.com
Nota bene: i dati riportati sui movimenti bellici sono confermati da diversi osservatori attenti ed imparziali che ho letto e/o personalmente ascoltato, ragione per la quale, contrariamente alle mie abitudini, ho condiviso l'articolo senza menzionare ulteriori fonti - NdC
Fonte: novaproject.quora.com
Nota bene: i dati riportati sui movimenti bellici sono confermati da diversi osservatori attenti ed imparziali che ho letto e/o personalmente ascoltato, ragione per la quale, contrariamente alle mie abitudini, ho condiviso l'articolo senza menzionare ulteriori fonti - NdC
Le guerre non le vincono MAI i popoli
spediti al macello.
Le guerre le vincono SEMPRE i pochi
che ne traggono profitto
Approfondimenti:
- Ecco a voi la grande controffensiva ucraina
Aggiornamento:
Gli ucraini sembrano voler compiere attacchi in profondità con mezzi corazzati, ma è possibile attaccare posizioni nemiche fortificate, protette dall'artiglieria e dagli elicotteri senza una copertura aerea? ...
Fonte
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