martedì 15 settembre 2020

Ossessioni strane: ho scoperto di essere felicità dipendente

Ossessioni strane del contemporaneo: tutto ruota intorno alla felicità, peccato che la malattia più diffusa non sia l’AIDS (l'articolo è del 2016 - N.d.C), ma la depressione. 

Eppure se ne parla così poco. Eppure, ci fanno dannare per essere felici, alcuni diventano Buddisti, altri cambiano identità, genere, lavoro, lasciano mogli e famiglia e partono, ma secondo voi ,poi, effettivamente, lo diventano felici?
Qualche giorno fa ho letto un articolo interessante, anzi, di più. A proposito del “glorioso sogno Americano”, a proposito di avanguardia, di genio, di cultura e intrattenimento, sapete che negli Stati Uniti vivono le persone meno felici del mondo sviluppato?

“So here’s this country that prioritizes and values happiness — it’s there in the nation’s founding documents — but the people are not particularly happy”
Ruth Whippman, “America the Anxious: How Our Pursuit of Happiness is Creating a Nation of Nervous Wrecks,”

Già, proprio loro, quelli che esportano novità, tecnologie e fiumi di cultura. Proprio loro che danno così tanta importanza al benessere, proprio loro che lanciano nuove tecniche di guarigione, di spiritualità ecc. alla fine sono i più infelici...


Gli Americani sono così tanto ossessionati dalla felicità, che ricercarla è diventato un lavoro estenuante.

“People were agonizing over it. They kept asking themselves, “Am I happy? Am I happy enough? Am I as happy as that other person? Can I be happier?” And they evangelized methods for becoming happier. They pushed positive thinking, self-help groups, mindfulness, gratitude journals, yoga and so on. There was a real anxiety around “happiness.” Finding it didn’t sound fun. It sounded like hard work, like doing your taxes rather than anything pleasurable”.*

Ossessioni strane: cosa succede in Europa?
Stessa cosa


Da bravi discepoli, anche noi non ce la passiamo molto meglio. Anche tu, in fondo (forse neanche troppo in fondo), sai che nella vita hai una priorità: devi essere felice. Ma, a livello inconsapevole, sai anche che devi esserlo non tanto per te stesso, ma per gli altri. Per farlo vedere. Non hai scelta.

O ti elimini dal mondo virtuale o ti tocca ragionare da “boss”, ovvero, devi venderti al meglio. Lo devi fare per trovare lavoro, per trovare l’amante, per trovare un amico, insomma, per trovare seguaci.

L’estate 2016 ha fatto registrare un boom preoccupante di tag fasulli, ovvero, di geotag in luoghi di vacanza di lusso in cui i diretti interessati, di fatto, non erano. Se non è un indicatore di follia, ditemi voi cosa ci manca.

Ossessione social network: siamo tutti seguaci di una tirannia culturale-comportamentale malata

Proviamo ad osservare un attimo dall’alto la situazione. E’ arrivato internet e abbiamo beneficiato della democratizzazione di strumenti e tecnologie un tempo appannaggio di pochi. Il mondo è diventato uno spazio senza tempo, immediato e friendly, insomma, una minaccia per coloro che non hanno a cuore l’implosione delle regolari gerarchie di stampo medievale (mai come oggi attuali). Sì, perché tutta questa libertà di pensiero, di azione e di parola poteva davvero minare gli interessi di quei pochi che tirano le fila del mondo lassù.

Ed ecco, che a ristabilire il controllo, è arrivato Google e sono arrivati i social.

Social che ci hanno schedato per bene a seconda della nostra preparazione culturale, dei nostri vizi e del nostro vissuto. Noi, nel frattempo, abbiamo imparato ad usarli, abbiamo preso confidenza e ne siamo diventati dipendenti. Questi social, “casualmente”, si sono rivelati fonte di business e di autopromozione.

La dipendenza è cresciuta divenendo un lavoro (o quasi). Questa dipendenza ci ha prontamente obbligato a confrontarci direttamente con l’Altro (inteso mondo). Un confronto insano, perché sappiamo bene di come il paragone non sempre sia proporzionato. Così è iniziata la malattia. Senza che ce ne accorgessimo è diventato indispensabile mostrarsi vincenti, terribilmente felici ed appagati. Terribilmente felici e appagati, per non sfigurare agli occhi degli “Altri” (Altri”, perché la maggior parte di noi non ha idea di chi sia oggetto di “controllo”).


Siamo sempre alla ricerca di “seguaci”, ma i primi “seguaci” siamo noi.

Onnipotenza 3.0: “Seguaci”, questa è la parola chiave.

Seguace: sostantivo maschile e femminile. Chi accetta una fede o una dottrina e ne segue i principi e gli insegnamenti ( i s. del cristianesimo,dell’aristotelismo ) o si professa discepolo del personaggio in cui tale dottrina s’identifica ( i s. di Cristo, di Maometto ).

E’ divertente, perché spesso i codici verbali adottano termini che s-velano molto di più di quello che non vorrebbero. In vero, la società plasmata dai social network ha promesso a tutti di essere Qualcuno. Qualcuno di importante, ça va sans dire.

Il tranello dell’ossessione-seguaci è stato nel credere che fosse semplice diventare “profeti” del web. 

Alla fine, bastava misurare il numero di like e follower. Questo processo è accaduto poco a poco, con una naturalezza spiazzante. Non è successo tutto subito, di botto, ma in qualche anno, tanto è vero, che oggi, anche gli scettici hanno almeno un profilo facebook e/o twitter e/o instagram. 
Quello che ci è sfuggito, è che siamo caduti tutti in trappola, in un certo senso. 

Il trappolone architettato magistralmente dall’alto, ha causato due disturbi: la spasmodica ricerca di stima e il costante sentimento-dubbio di “non essere mai abbastanza”, di “insufficienza” e quindi, di infelicità.

I disturbi da social network. Più ti avvicini agli Altri più senti aumentare la distanza tra il “Te” e il “Loro”. 
Ma è una finzione

Io lavoro sui social tutti i giorni e so bene che l’80% di quello che si percepisce come vero è finto. Per questo vi consiglierei di usarli il meno possibile, senza avvelenarvi. Sfruttateli a vostro vantaggio: per informarvi, per rinsaldare amicizie e ricordare momenti passati. Le lenti dei social attraverso cui osserviamo le vite altrui distorcono la realtà. Eppure il disagio o l’ansia che si prova, è reale. Alla fine “ti rode”.

Ecco spiegato il proliferare della “cattiveria da social”( v. Troll internet). La cattiveria è un “cancro” che si alimenta di emozioni negative, di polemiche, di insulti, di dolore, quindi, direttamente proporzionale al sentimento di infelicità del soggetto. Un’ infelicità originata dalla carenza di autostima e da un sentimento di “disagio nevrotico”, che conduce a sentirsi sempre in difetto, come se non si fosse mai all’altezza delle situazioni, o peggio, della propria vita. Ma ecco la nota positiva per chi sta a guardare dall’alto mentre noi “ci scanniamo” nelle nostre piccole esistenze: tutti questi disturbi hanno avuto un’ unica, incontestabile conseguenza: moltiplicare i consumi. Consumi di qualsiasi genere. Consumi nel senso più ampio del termine, a partire dai farmaci, passando per il cibo, per arrivare a scarpe e borsette.

Tutto questo ragionamento per dire cosa? Niente, perché domani non cambierà nulla, ma chissà, forse agiremo più consapevolmente. Chissà, forse un giorno SAREMO per il gusto di essere, e basta, come i fiori. Non per gli altri, indipendentemente dagli altri.

Abbiamo sempre pensato di essere totalmente padroni delle nostre azioni, quando in realtà, probabilmente, non lo siamo mai stati.

Questa è l’Allucinazione collettiva.

ps. : La rivista Forbes informa che le case farmaceutiche si trovano al di sopra delle banche, delle case automobilistiche e delle industrie petrolifere, in termini di margini di guadagno. La malattia è il fondamento di un macabro mercato. *Chi vorrebbe curare un malato che guarisce? Meglio tenerci infelici e cagionevoli.

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