“Possiamo ripartire scommettendo sull’ambiente, è la via dell’Europa”.
Ne Le trappole del clima – e come evitarle (edito da Edizioni Ambiente, 200 pagine, 20 euro) Gianni Silvestrini e G.B Zorzoli raccontano come gli ultimi cinque anni siano stati i più caldi mai registrati, e come superare il limite renderebbe irreversibili fenomeni, come la fusione delle calotte polari, che continuerebbero ad alimentare il riscaldamento globale anche se smettessimo di emettere gas climalteranti.
La crisi cui ci troviamo di fronte, in evidente accelerazione, non è però solo ambientale, ma anche sociale ed economica, ed è provocata da un modello di sviluppo distorto che sta mettendo a rischio i limiti di sicurezza per la sopravvivenza della società umana.
La metà di tutte le emissioni, infatti, è generata dal 10% più ricco della popolazione, e solo l’1% emette quanto la metà più povera del pianeta. Attraverso una lucida analisi guidata da un “pessimismo dell’intelligenza”, proporzionato alla complessità della sfida che l’umanità si prepara ad affrontare, gli autori segnalano una serie di trappole lungo il percorso e indicano i modi per superarle, stimolando così riflessioni che rafforzino quell’“ottimismo della volontà” che rappresenta l’unico strumento in grado di avviare la spinta collettiva indispensabile per contrastare l’emergenza climatica.
Ne parliamo con Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club e presidente del Green Building Council Italia ...
Silvestrini, siamo ancora in piena emergenza coronavirus, uno shock globale che ha stretti legami con lo shock e l’emergenza ambientale che l’umanità ha di fronte.
“Tutto si tiene. I processi umani mettono a rischio l’intero ecosistema, e ce ne siamo ben accorti in occasione di questa pandemia: attraverso la deforestazione sono stati toccati ambiti sempre più delicati, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. E’ successo in passato, è successo questa volta, e succederà in futuro. La prima riflessione dunque è che bisogna essere più cauti nel rapporto con la natura”.
E poi?
“Questo è uno shock sanitario ed economico, ma anche culturale. Non so se dopo questa crisi ci saranno dei cambiamenti dal punto di vista dei comportamenti umani, all’insegna di una maggiore sobrietà.
C'è una riflessione critica sul mondo che è lanciato senza limiti, e adesso si comincia a riflettere di più sul cambiamento degli stili di vita.
Infine, c’è una terza riflessione da sviluppare, sui cambiamenti che riguarderanno il modello economico.
La globalizzazione così come l'abbiamo conosciuta, con le catene lunghe, ha dimostrato la sua fragilità, e dunque dei pezzi dell’economia si sono bloccati perché si è bloccato un processo dall’altra parte del mondo. E questo fa riflettere sulla possibilità che ci sia un reshoring, ovvero un ritorno di produzione e attività imprenditoriali e produttive in Europa e in Italia. Come ha affermato anche il ministro dell’Economia francese al G20, l’emergenza coronavirus mostra che non ha senso aver delegato molte lavorazioni che si sono rivelate strategiche in Cina. E secondo me questo è un ragionamento che faranno anche molti imprenditori. Decentrare si è rivelato troppo rischioso”.
Alla fine di questa emergenza, secondo molti osservatori, ci troveremo di fronte a un bivio, Da una parte c’è la possibilità di uno sbocco positivo e virtuoso, ma c’è anche il rischio che la ripartenza sia all’insegna della crescita distruttiva e insostenibile, basata su precarietà, delegificazione, disattenzione alle compatibilità ambientali.
“Non c’è dubbio, gli esiti possono essere molto diversi e lo vediamo già adesso: negli Stati Uniti la prima mossa è stata il blocco del rinnovo degli incentivi a eolico e fotovoltaico, e l’aumento degli aiuti alle energie fossili”.
E l’Europa, l’Italia?
“L'Europa in qualche modo ha la fortuna di essere partita con il progetto del Green Deal, che non si è interrotto, e che ha definito obiettivi precisi su vari fronti, come le rinnovabili, la mobilità elettrica, l’efficienza energetica e così via. E ci sono anche le risorse economiche per perseguirli: non tantissime, ma ci sono. E’ un quadro di riferimento che indica un percorso diverso.
Alla fine di questa emergenza, secondo molti osservatori, ci troveremo di fronte a un bivio, Da una parte c’è la possibilità di uno sbocco positivo e virtuoso, ma c’è anche il rischio che la ripartenza sia all’insegna della crescita distruttiva e insostenibile, basata su precarietà, delegificazione, disattenzione alle compatibilità ambientali.
“Non c’è dubbio, gli esiti possono essere molto diversi e lo vediamo già adesso: negli Stati Uniti la prima mossa è stata il blocco del rinnovo degli incentivi a eolico e fotovoltaico, e l’aumento degli aiuti alle energie fossili”.
E l’Europa, l’Italia?
“L'Europa in qualche modo ha la fortuna di essere partita con il progetto del Green Deal, che non si è interrotto, e che ha definito obiettivi precisi su vari fronti, come le rinnovabili, la mobilità elettrica, l’efficienza energetica e così via. E ci sono anche le risorse economiche per perseguirli: non tantissime, ma ci sono. E’ un quadro di riferimento che indica un percorso diverso.
L’esito finale non è certo scontato, ma in Europa la situazione è migliore, e secondo me rappresenta la premessa giusta per effettivamente dare una svolta. Se si pensa all’occupazione che può essere indotta da una riqualificazione energetica spinta degli edifici, dall’eliminazione di alcuni lacci e lacciuoli nei percorsi autorizzativi, senza bisogno di grandi risorse si può far ripartire l’economia molto più facilmente puntando sui settori green piuttosto che cercando un “ritorno al passato”. Ma quale passato, poi? Le vecchie industrie che ormai non funzionano più?
Quindi penso che l’Europa sia fortunata ad avere avuto la possibilità di ripartire con il piede giusto. E ritengo che i paesi del’Unione, Italia compresa, dovrebbero capire che sia possibile nei prossimi mesi ripartire in maniera intelligente e con grandi risultati occupazionali scommettendo proprio sulla sostenibilità ambientale”.
Nel vostro libro evocate il “pessimismo dell’intelligenza”. Ritiene più probabile l’uscita “in avanti” dall’emergenza, o pensate che alla fine prevarranno le vecchie logiche?
“Malgrado tutto sono moderatamente ottimista. Sono convinto che lo sviluppo delle tecnologie sia arrivato a un livello tale e con tanti interessi coinvolti - dal solare alla mobilità elettrica - che dal punto di vista economico lo sbocco virtuoso basato sulla sostenibilità e sul green sia ormai il percorso più interessante e praticabile. Non lo era due-tre anni fa, e questo è un fatto molto importante. Molto dipenderà dalla capacità della politica di sostenere questa strada. Se in passato la politica quasi mai era riuscita ad avere una visione d’insieme lungimirante da questo punto di vista, oggi molte forze politiche – anche quelle non progressiste – nei principali paesi europei hanno compreso lucidamente i termini di questa sfida.
Debbo dire che purtroppo nel mondo politico italiano questa consapevolezza delle opportunità che si aprono non la vedo. Ma se consideriamo che in Europa la strada già intrapresa con decisione è quella giusta, sono convinto che alla fine anche noi prenderemo la via green, quella coerente col resto dell’Unione”.
Fonte: www.lastampa.it
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