venerdì 20 marzo 2020

La Filosofia si interroga: la scienza moderna è progresso o involuzione?


di Clarissa Banfi

Nell’epoca antica filosofi della levatura di Plutarco di Cheronea avevano sostenuto che l’Uomo dovesse agli Animali (animot) un atteggiamento non solo di pietà, ma anche di giustizia. Ne conseguiva la necessità ed il dovere di adottare una dieta rigorosamente vegetariana.

Teofrasto, ad esempio, sottolineava nel suo Della pietà (ci sono pervenuti, purtroppo, solo pochi frammenti) che gli Animali fossero dotati di anima, nelle cui vene scorre lo stesso nostro sangue e che il cielo e la terra sono i loro genitori, proprio come lo sono per l’Uomo. Pertanto, meritano il massimo rispetto:

“Similmente riteniamo che tutti gli uomini, ma anche tutti gli animali, sono della stessa stirpe originaria, perché i principi dei loro corpi sono per natura gli stessi (…) e ancor più perché l’anima che è in loro non è diversa per natura in rapporto agli appetiti, ai movimenti di collera, ai ragionamenti e soprattutto alle sensazioni. Come per i corpi, certi animali hanno l’anima più o meno perfetta; ma per tutti i viventi i principi sono per natura gli stessi. La parentela delle affezioni lo prova. Se ciò che si dice dell’origine dei costumi è vero, tutte le specie sono intelligenti, ma esse differiscono per l’educazione e perla composizione del miscuglio dei primi elementi. Sotto tutti i rapporti, dunque, la razza degli altri animali ci è apparentata ed è la stessa della nostra; poiché i mezzi di sussistenza sono gli stessi per tutti, come l’aria che respiriamo, secondo Euripide, e un sangue rosso scorre in tutti gli animali e tutti mostrano d’avere in comune, per padre il Cielo e per madre la Terra”

Ma le loro voci finirono per essere dimenticate ...




Tristemente e dolorosamente, infatti, una delle caratteristiche della scienza moderna è proprio l’atteggiamento di autentica manipolazione nei confronti degli altri esseri viventi e di quegli umani percepiti come al di fuori della comunità civile.

Nella prima metà del Novecento Cerletti (psichiatra) sperimentò l’elettroshock: inizialmente sugli Animali destinati alla macellazione e, successivamente, sui detenuti in carceri.

Non fu differente l’estrema disinvoltura con cui popoli delle culture non europee, ritenuti alla stregua di “selvaggi”, furono sterminati e, in un secondo momento, esposti nei musei di antropologia come vere rarità che avrebbero soddisfatto la morbosa e sadica curiosità degli occidentali.

Circa lo sterminio dei Tasmaniani e, in particolare, della sorte che toccò all’ultima erede di questo popolo, che fu imbalsamata e messa in mostra dentro una teca di cristallo del Museo di Hobart, il filosofo Vittorio Beonio Brocchieri scrisse una pagina profondamente significativa e lucida nel suo Il Marcopolo:

“Vorrei aver in mano una cronaca delle espansioni coloniali scritta non dai conquistatori, ma dai conquistati. Apparirebbe allora il rovescio della medaglia. (…) 
A queste cose pensavo stasera, mentre i miei occhi indugiavano dinanzi alle linee frammentarie di una non velata figura femminile, qui nel museo di Hobart, capitale della Tasmania. È la spoglia imbalsamata di una donna indigena; la sua data di nascita risale ai primi dell’Ottocento. (…) I bianchi, arraffando l’isola, trovarono accoglienza riluttante, perché i nativi reagivano con atti di brigantaggio e pirateria. Quindi il dilemma: noi o loro. (…) Premesso dunque che per occupare la Tasmania bisognava sopprimere i legittimi abitanti della medesima, fu deciso un massacro totalitario con un metodo originale, che si chiamò black line, linea nera. 

Si costituì cioè una specie di cordone militare; questo doveva avanzare progressivamente per linea frontale, come un enorme rastrello da un capo all’altro dell’isola, superando forre, burroni e boscaglie; così da ridurre gli indigeni a una ritirata progressiva, che sarebbe terminata con un bagno di mare, in bocca ai pescicani. 

La caccia al negro cominciò. (…) I feriti venivano bruciati; i bambini gettati nelle fiamme; e i bracieri, intorno ai quali i nativi usavano bivaccare, divenivano i loro roghi funerari. (…) Tutti gli epigoni della stirpe autoctona, sradicati e trasportati nell’isola di Flanders, si estinsero in capo a pochi decenni: fame, abbandono, malattie. Questa donna sopravvisse, ultima della sua gente, fino al 1876. La sua spoglia imbalsamata, come dicevo, si conserva qui in un museo di Hobart: essa è ridotta a linee piuttosto frammentarie. Ma io devo molta riconoscenza a questa mummia perché, inducendomi a ripescare nelle pagine dello storiografo West le cronache del passato, mi ha offerto preziosa compagnia nelle lunghe vigilie di questo viaggio antartico“.

D’altronde, è bene ed opportuno ricordare che, fin dall’epoca di Cristoforo Colombo e delle sue spedizioni, la stragrande maggioranza dei bianchi non mise minimamente indubbio che i “selvaggi” fossero creature umane non dotate di anima. Questo rappresenta decisamente un’involuzione rispetto ai tempi di Teofrasto e di quei filosofi che, con grande saggezza ed umiltà, avevano osservato che un’anima, al contrario, è presente – sia pure in misura embrionale – non solo negli Esseri Umani, ma anche negli Animali.

Nel corso di tutto il periodo del Razionalismo (corrente filosofica che ha dominato l’intero XVII secolo e ha accompagnato la tanto decantata “rivoluzione scientifica”) si individuano due diversi approcci nei confronti degli Animali. L’uno, rappresentato da Cartesio e Spinoza, propugnò l’esclusione degli Animali dall’etica, e l’altro, incarnato da Leibniz, si oppose ostinatamente a tale esclusione.

L’inglese Mary Midgley, nel suo Animal sand why they matter, scrisse a riguardo di quella fase storica:

“Per una presentazione rigorosa e completa degli argomenti a sostegno dell’esclusione degli animali dalla morale è naturale rivolgersi ai grandi razionalisti del Seicento, in particolare a Cartesio e Spinoza. Non c’è alcun dubbio sulla loro posizione, ma dobbiamo tener conto di un’intrinseca difficoltà di questo argomento: i fautori più radicali e convinti dell’esclusione assoluta la consideravano una tesi ovvia, e non pensavano perciò a sostenerla argomentativamente. Nel campo avverso, Montaigne aveva discusso esaurientemente, con precisione e vivacità, le proprie obiezioni al maltrattamento degli animali. (…) 

L’impegno filosofico prioritario di Leibniz è la critica a quell’abisso spalancato, nelle dottrine di Cartesio e Spinoza, tra mente e materia; una critica condotta sul terreno stesso del razionalismo, perché quelle dottrine apparivano incapaci di comprendere l’unità della vita. Egli sottolinea invece una continuità tra intelletto e le altre forme di consapevolezza, e tra la vita cosciente e quella inconscia, individuando negli animali una forma di vita diversa solo in grado da quella dell’uomo. E anch’egli, a quanto sembra, tenne fede ai propri principi. 

Questi accenni (…) sono utili perché segnalano un’ambivalenza latente nel razionalismo. Nel suo versante negativo e distruttivo può essere tanto spietato da annientare con un tratto di penna quanto cade fuori dal dominio della ragione. Ma nel suo versante costruttivo sa vedere in tutte le cose l’operare della ragione. (…) Un’ambivalenza analoga caratterizza il pensiero scientifico” .

Oggi più che mai, nell’approccio scientifico al mondo degli Animali prevale decisamente la corrente riduzionista (versante negativo), in base alla quale essendo privi di Ragione, gli Animali possono essere manipolati senza limite alcuno e senza nessun scrupolo.

Un esempio esplicativo, citato dalla stessa Mary Midgley, furono le risposte fornite da alcuni ricercatori scientifici americani, nel 1974, al filosofo Robert Nozick, che aveva domandato loro se vi fossero dei casi nei quali sarebbero stati disposti a rinunciare agli esperimenti che richiedessero il sacrificio di centinaia di animali. Uno rispose tranquillamente: «No, che io sappia».
Ad un altro interrogativo di Nozick, cioè se gli Animali non contassero proprio nulla, il dottor A. Perachio rispose semplicemente: «Perché dovrebbero?» .

C’è da essere fieri!!!!

Siamo rimasti ai ragni del pacato Spinoza, che si divertiva a farli combattere di fra loro, oltre ad osservarli mentre divoravano le mosche che lui stesso catturava per deporle nella ragnatela.

L’epoca moderna e contemporanea è un’amara sequenza di crudeltà, tanto verso gli Uomini quanto nei confronti degli Animali.

A mio parere, pensando a questi ultimi (gli Animali), la mostruosità più atroce in assoluto è il fatto che la maggior parte delle persone e dei popoli hanno perso la sana capacità di indignarsi e di reagire alla vivisezione e a tutte quelle forme di maltrattamento di cui gli Animali sono vittime innocenti in ogni istante e in ogni angolo del globo.

Ed è nome della Ragione e del cosiddetto (fasullo) progresso scientifico che questi atti alienanti e sadici vengono perpetrati senza ritengo all’ombra di Leggi e Normative inadeguate, o non attuate, che non fermano né scongiurano in alcun modo questa escalation impressionante e sempre più crudele.

La battaglia che molti di noi hanno intrapreso e che affrontano ogni giorno – non senza immenso dolore, con impegno, abnegazione e grinta – è impari e difficilissima. Tuttavia, siamo spesso l’ultimo – e non di rado anche l’unico – baluardo che rivendica il Rispetto di tutte le forme di Vita e che attribuisce pari Dignità a tutti gli Esseri. Se saremo uniti, saremo come infinite gocce che diventeranno un oceano.
E, piano piano, col tempo, riusciremo a rendere il Mondo un posto migliore.


Fonte: www.oltrelacoltre.com

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