di Carmen di Muro
È l’era dell’ombra e degli spettri. Il cuore sobbalza, il fiato si spezza. È l’era del monito della paura, della pandemia, del contagio, della morte, di perdere tutto. Un momento difficile. Una crisi epocale. Vi è chi la sfiora e chi la rifiuta, chi la guarda e non la vede e chi la vede senza capire, chi trema e si chiude.
Un fenomeno calamitante, che cresce fobicamente, ora dopo ora, dove diviene sempre più difficile guardare la situazione da una visuale positiva e priva di timori. Eppure, tutti parlano della necessità di una collaborazione globale per la salvaguardia da un virus che si sta velocemente diffondendo in maniera preoccupante.
Pochi però sembrano considerare il dilagante allarmismo che genera un altissimo grado di PAURA: un vero e proprio campo apocalittico che ci stiamo creando da soli.
A questo riguardo, facciamo un po’ di chiarezza.
Pensiamo, che sotto il profilo biologico la paura è un’emozione che ha una valenza positiva indispensabile per la sopravvivenza e l’evoluzione.
Questo è quanto succede quando essa è “adeguata” al pericolo, svolgendo la sua funzione entro i limiti che la rendono efficace.
Diverso invece è nel caso attuale, in cui non soltanto non è utile, ma è decisamente dannosa poiché perde la sua originaria funzione biologica e diventa d’ostacolo all’adattamento, sconfinando nel patologico, tanto da inficiare le normali attività quotidiane e allontanare ancor di più dal mondo ...
Questa informazione penetra in profondità creando un campo di psicosi collettiva che genera una realtà interiore ed esteriore separata e sempre più fallibile.
E quando la paura è negata e non riconosciuta pienamente, questa viene scacciata negli scantinati della coscienza, da dove esercita un’influenza di campo potente nel dirottare le nostre vite.
Infatti, se da un lato la capacità di associare e anticipare, consentono di prevedere nuovi rischi così da contrastare eventuali effetti dannosi di questo evento pericoloso, dall’altro i confini delle singole paure relative alla situazione possono dilatarsi, facendo sì che queste si trasformino in stati ansiosi e in angosce insopportabili che segnano il nostro modo di vivere quotidiano.
Come se non bastasse, a questo aggiungiamoci l’ampio isolamento sociale, dovuto alle necessarie misure ministeriali di contenimento e prevenzione del contagio. E l’isolamento sociale è il più radicato e forte fattore di rischio di malattia che esista. Non c’è nulla che possa competere con esso. Moltissime evidenze dimostrano, infatti, che in individui isolati, interi settori di geni hanno un aspetto marcatamente differente rispetto a quelli degli individui solidamente inseriti nella società, di cui molti dei quali svolgono un ruolo nelle risposte immunitarie infiammatorie (Dobbs 2013).
Cosa significa questo?
Che oggi è ampiamente e scientificamente riconosciuto che tutto ciò che pensiamo, sentiamo e viviamo ha un impatto profondo su ogni aspetto della regolazione del nostro organismo.
Emozioni e stati fisiologici sono strettamente interconnessi e, seppure geni specifici sono in relazione al comportamento e ai caratteri di un organismo, questi geni non si attivano finché qualcosa non li fa scattare.
Questi misteriosi interruttori, capaci di orchestrare il funzionamento dei sistemi biologici, vengono costantemente plasmati da forze che operano al di fuori della sequenza del DNA: influenze esperienziali, ambientali ed emozionali.
Le emozioni sia consce che inconsce divengono, dunque, la pietra angolare in questo processo in quanto esse hanno un impatto e un’azione di campo potentissima nel determinare le sorti della salute nel bene e nel male. Esse non sono fenomeni indipendenti da noi, ma si traducono in ondante di agenti biochimici. Infatti, il cervello in base all’emozione produce e modula i vari ormoni che fanno dialogare il sistema endocrino, nervoso e immunitario.
Ciò vuol dire che quando proviamo emozioni negative, sperimentiamo stress e le nostre riserve di energia vengono reindirizzate per affrontare questi processi, piuttosto che essere catalizzate, mantenendo in uno stato funzionale il sistema biologico.
STRESS, PAURA E SISTEMA IMMUNITARIO
Se una persona è esposta a un evento emotivamente stressante e dirompente, come nel caso di questa pandemia, il suo sistema nervoso simpatico (SNS) - ossia quello responsabile della risposta "lotta o fuga" - viene attivato, aumentando a sua volta la produzione di una molecola, il fattore nucleare kappa B (NF- kB) che regola la modalità di espressione genetica.
L’ NF-kB traduce lo stress attivando i geni che creano quelle particolari proteine, chiamate citochine, che causano infiammazione a livello cellulare, una reazione utile quando di breve durata, ma che se persiste fiacca ed indebolisce esponenzialmente il cervello e il nostro sistema immunitario, modificando il loro equilibrio e quello dell’intera fisiologia. Pertanto, se lo stress si prolunga, diventando cronico, logora il sistema psico-corporeo, altera l’equilibrio neurovegetativo, facendo sì che il consumo energetico diventi altissimo e l’organismo finisca con l’andare ad attingere a tutte quelle riserve funzionali del corpo che gli impediscono la crescita ottimale.
Dobbiamo sapere che il meccanismo della crescita costituisce il comportamento base di cui ogni organismo ha bisogno per sopravvivere ed evolvere.
Quando si entra in uno stato di paura continuativa il sistema, però, limita inevitabilmente i comportamenti di crescita entrando in una modalità protettiva (Lipton, 2010).
Infatti se stiamo fuggendo davanti ad un pericolo, non è una buona idea investire energia in comportamenti di crescita. Per sopravvivere, ossia per sfuggire alla minaccia, l’intera fisiologia chiama a raccolta tutte le nostre energie per innescare una risposta “fight or flight” (lotta o fuggi) la quale determina un’inibizione delle funzioni organiche relative alla crescita. Di conseguenza, la risposta allo stress cronico compromette la conservazione del corpo, perché va a interferire con la produzione delle riserve di energia vitale poiché impegnate nell’attivazione di altri processi fisiologici necessari alla difesa (per esempio arti si attivano, il cuore batte velocemente, il sangue irrora maggiormente le arterie).
Questo vuol dire che ciò che inizia come protettivo può trasformarsi, non di rado, in distruttivo.
Infatti, la risposta attacco o fuga, che comincia come difensiva e necessaria per la nostra sopravvivenza emozionale, può diventare dannosa se rimane attiva, se reagiamo come se fossimo in uno stato di minaccia perdurante.
Se percepiamo di essere in pericolo, siamo in pericolo.
Se percepiamo di vivere in un mondo temibile, i nostri meccanismi “fight or flight” saranno cronicamente stimolati, fino al punto da creare situazioni rischiose per noi stessi e per la biochimica del nostro intero organismo.
Pertanto, la paura perdurante, a lungo andare, deprime il sistema immunitario danneggiando la funzione dei recettori dei glucocorticoidi normalmente utilizzati per inibire o interrompere le risposte infiammatorie e rendendo l’organismo maggiormente vulnerabile all’attacco di agenti patogeni.
E "Virus e Batteri" possono colpire solo se le circostanze sono favorevoli ...
E questo sta a noi, dipende da noi!
Allora che fare?
Possiamo decidere semplicemente di accogliere con cuore aperto questo momento, come tempo proficuo per essere solo ed esclusivamente noi e con noi.
E' qui che è custodita tutta l'energia di creazione e benessere necessaria per la crescita, capace di virare la consapevolezza sul dove fin oggi stavamo realmente andando individualmente e collettivamente.
Di sicuro, l'idea di fare questa pausa non ordinaria lasciando "i campi a maggese" ed esposti a ciò che non possiamo controllare è capace di generare grande instabilità. La nostra mente ci convincerà che per avere una sensazione di presa sulla realtà, in questa situazione minacciosa, dobbiamo tornare a fare, ad agire, a preoccuparci, ad essere in tensione. Ma è proprio questo il tacito insegnamento. Se non si mette in pausa la paura, il cambiamento non può realizzarsi. Mollare la presa non è una questione di sacrificio, non porta ad un'inerte e ineludibile destino.
E' semplicemente un ritorno all'Essere e al Noi. E' un passare dallo stato di protezione a quello di crescita, dalla chiusura all’apertura, che si traduce in uno stato più morbido, in cui sentiamo, apprezziamo e vogliamo semplicemente "essere con" ciò che la vita ci propone, senza remarle contro o opporsi, ma accogliendola.
E' passare dal rumore al silenzio, dalla mente all'anima, dalla paura all’amore verso noi stessi, riscoprendo la bellezza della vita, che normalmente e per troppo tempo, ci è sfuggita, facendo memoria che il corpo è incredibilmente forte e resistente, ma allo stesso tempo fragile e vulnerabile agli squilibri emotivi e la salute una pila di pietre in equilibrio.
Il corpo è quella che sta in cima, la più instabile e la prima a cadere se quelle di sotto vacillano.
La pericolosità del Coronavirus, sta nel fatto del suo alto grado di contagiosità che può degenerare in una patologia polmonare complessa, aggravarne una preesistente o causare polmonite in soggetti predisposti, fragili o immunodepressi. Che vuol dire questo?
Che non bisogna sottovalutare la rischiosità del COVID-19 adottando comportamenti responsabili, ma allo stesso tempo è nostra la responsabilità di scegliere la frequenza emozionale da attivare a livello cerebrale nel bene e nel male. In che direzione orientare i nostri centri neuronali in modo possano produrre una chimica che genera salute.
La scienza ci insegna che non c’è differenza nel nostro cervello nelle aree implicate nei sentimenti.
È nostro l’onere di funzionare in modo “evoluto o involuto, di presenza o assenza” nei confronti della vita, malgrado le circostanze, sapendo che il nostro stato di vitalità dipende, principalmente, dall’atteggiamento interiore capace di mettere ordine nel caos dei nostri timori, e che gli aspetti fisici dei filamenti di DNA possono essere modellati dall'intenzione umana sotto forma di generazione di emozioni e sensazioni positive che riscrivono l’intera fisiologia “immunostimolandola o immunodeprimendola” (Atkinson, Tomasino, 2003).
Non dimentichiamo che nessun pensiero o sentimento possono essere nascosti ad ogni singolo organo, tessuto o cellula del nostro organismo.
Quindi star bene quando le circostanze sono avverse non vuol dire essere né scollegati dalla vita, né anestetizzati, né tantomeno terrorizzati. Star bene anche quando le cose vanno male, vuol dire avere dentro di sé la certezza che qualunque cosa accada per sua natura é destinata a passare. Dinanzi ad un'onda potente, non si può opporre resistenza. In quel momento è più forte e tenace di noi. Può scuotere la barca e tenerci sott'acqua, ma se il suo destino è quello di passare, mentre il nostro è quello di restare, con le giuste misure, capacità e strumenti disponibili, rimarremo a galla.
La paura dura solo un istante, il necessario per trasformarsi in sano atteggiamento di buonsenso per sé e per gli altri.
Se decidiamo di farla restare, essa come un veleno invisibile eserciterà un'azione di campo potentissima. Questo campo d'onda collega essere ad essere, persona a persona. E quando i membri del gruppo sono sintonizzati sulla stessa frequenza socio-emozionale, l'informazione distorta si amplifica (Di Muro, 2019).
Per avere in mano le sorti della propria esistenza, soprattutto in questo momento, essenziale, è quindi non soltanto seguire tutte le prescrizioni indicate per prevenire ed evitare la diffusione del virus, ma esaminare la qualità e il tipo di messaggi a cui si è esposti giornalmente e in quale misura essi lavorano al servizio della vita e in quale misura al servizio della paura, discernendo e adottando giusti pensieri e comportamenti non solo esteriori, ma soprattutto interiori, capaci di riportarci a noi, laddove è racchiuso tutto quel potenziale emozionale che ci fa scorgere una luce positiva malgrado il buio che ci circonda.
La vera pace, la serenità e la fiducia sgorgano dentro e la paura è solo una tra le onde di possibilità che possiamo scegliere ora. La più inadeguata al viaggio, la più alta da valicare, quella che più ci allontana dalla meta.
E allora piuttosto che arrabbiarci, prendercela, giudicare cosa si è fatto e quanto si poteva fare, opporci ed inveire, fermiamoci. Senza arrestare, respiriamo, guardiamoci attorno, scegliamo la corrente giusta, ciò che al momento può farci star bene, e muoviamoci rettamente individualmente e socialmente, sapendo che c’è un’intelligenza che sostiene la vita e lavora con noi e per noi se glielo lasciamo fare.
Teniamoci stretti nella fiducia e nella collaborazione. Togliamo l'Io e mettiamo il Noi, ricordandoci che arrendersi e prendersela con l’esterno, non richiede alcuno sforzo. Rimettersi in piedi assumendosi la responsabilità della propria e altrui esistenza, al contrario, richiede uno sforzo grande, ma questa è la differenza tra vivere e sopravvivere.
Fonte: www.scienzaeconoscenza.it
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