La Storia ufficiale non ne parla. Eppure sembrerebbe che nella regione dello Xinjiang - bacino del fiume Tarim, in Cina Popolare - fossero state insediate, circa 5000 anni fa, delle popolazioni caucasiche ...
Catherine
Capelli e barba rossicci con spruzzi di grigio, un naso lungo e un’altezza considerevole, quasi 2 metri. Per la sepoltura era stato vestito con una lunga tunica di colore rosso e calzature in pelle, decorate.
Questa è la mummia, di aspetto visibilmente europeo e ben conservata, di un uomo che era morto (e forse vissuto) oltre 3000 anni fa nel deserto del Taklamakan, nello Xinjiang, una regione impervia nell’ovest della Cina.
Le analisi del Dna hanno rivelato un’appartenenza alla razza celtica. Nella lingua che parlano gli Uiguri del Xinjiang, Taklamakan significa “il luogo dove si entra e dal quale non si esce”.
Gli archeologi lo hanno chiamato “l’uomo di Cherchen” e lo hanno trasportato in un museo della capitale della provincia dell’Urumgi.
La mummia era stata rinvenuta con le mummie di tre donne e di un bambino piccolo; fanno parte di circa 400 mummie di razza celtica rinvenute nel deserto del Taklamakan e il loro stato di conservazione è migliore di quello delle mummie rinvenute nei siti archeologici egiziani.
Una delle donne della tomba di Cherchen ha capelli castano chiaro, il viso e le mani dipinti con simboli e porta un vestito rosso riccamente ornato. La mummia del bambino è avvolta in una stoffa di colore bruno e sugli occhi ha due pietre blu...
E’ notevole la somiglianza con le popolazioni celtiche dell’Età del Bronzo; l’analisi dei tessuti e la maniera in cui erano state tessute le stoffe hanno rilevato analogie con i vestiti indossati dai minatori di sale che vivevano nell’attuale Austria nel 1300 a.C.
Verso l’anno 300 a.C, i Celti estendevano la loro influenza dall’Irlanda al sud della Spagna, alla Polonia, all’Ucraina e sino in Turchia. Questi ritrovamenti sembrano dimostrare come colonie celtiche si fossero insediate anche nell’Asia centrale, arrivando sino in Tibet.
I Celti di Cherchen non dovevano essere guerrieri; nelle loro tombe sono state trovate poche armi e pochi indizi di appartenenza a caste sociali.
Nella prefazione del suo libro “Le sepolture antiche dello Xinjian”, lo storico Ji Xianlin spiega come la Cina sia fiera e sostenga le ricerche condotte sulle mummie dagli specialisti stranieri. “Eppure – scrive Xianlin – vi è in Cina un piccolo gruppo di separatisti etnici che hanno approfittato dell’occasione per fomentare disordini e pretendere una discendenza con questo antico popolo celtico.”
Per motivi che sono forse politici, con il timore di risvegliare le correnti separatiste dello Xinjiang, il governo cinese parla dunque poco dell’attività archeologica in corso nel deserto del Taklamakan, nonostante il rilievo storico della scoperta.
Fonte: www.ticinolibero.ch
Convergenze sconcertanti tra popoli della storia di cui abbiamo solo una conoscenza superficiale.
Fa riflettere il fatto che Madame Helena Petrova Blavatsky ( madre dellla Teosofia) nel suo libro "La dottrina segreta" parla diffusamente di come nel bacino del Tarim in luoghi desertici ove nessun europeo moderno ha mai messo piede esistono gallerie segrete nelle quali sono contenute, al sicuro, immense biblioteche nelle quali sono conservati migliaia di preziosi volumi riguardanti l'antica Dottrina Segreta, una forma di religione universalmente diffusa nel mondo.
Tale scienza occulta è stata celata e momentaneamente "perduta" per il profano in quanto se svelata ad una moltitudine impreparata sarebbe estremamene pericolosa.
Quando si sentì parlare la prima volta della Tera cava e delle Gallerie sotterranee, si pensava che tutto ciò fosse solo delle leggende; poi si venne a sapere delle scoperte fatte dai primi esploratori tra cui Ossendowski, che dopo aver avuto un incontro con un Lama in Tibet, affermò di aver visto una delle entrate di colossali gallerie. Solo negli Anni Settanta con il grande ricercatore scientifico italiano Peter Kolosimo si inizia a divulgare la scoperta della Terra Cava e dei mondi sotterranei; e dopo molti ritrovamenti da parte di speleologi ed archeologi si ebbe la conferma che ormai non si trattava solo di leggende. Dopo il rinvenimento poi delle mummie bianche del Takla Makan, anche le leggende degli dei bianchi, raccontate dalle popolazioni dell'Asia centrale, trovarano conferma, poiché come raccontavano le antiche scritture, furono proprio questi esseri a scavare queste enormi gallerie.
Dalle pitture e dalle ossa trovate nelle viscere della terra si pensò che si trattasse di grotte preistoriche ma, dopo averle analizzate, la sorpresa fu grande: si trattava di ossa ancora più antiche. Tempo dopo si scoprì che questa rete di tunnels arrivava a piccole piazze da cui partivano condotti fino congiungersi con le gallerie sotterranee del deserto del Gobi.
Quando si sentì parlare la prima volta della Tera cava e delle Gallerie sotterranee, si pensava che tutto ciò fosse solo delle leggende; poi si venne a sapere delle scoperte fatte dai primi esploratori tra cui Ossendowski, che dopo aver avuto un incontro con un Lama in Tibet, affermò di aver visto una delle entrate di colossali gallerie. Solo negli Anni Settanta con il grande ricercatore scientifico italiano Peter Kolosimo si inizia a divulgare la scoperta della Terra Cava e dei mondi sotterranei; e dopo molti ritrovamenti da parte di speleologi ed archeologi si ebbe la conferma che ormai non si trattava solo di leggende. Dopo il rinvenimento poi delle mummie bianche del Takla Makan, anche le leggende degli dei bianchi, raccontate dalle popolazioni dell'Asia centrale, trovarano conferma, poiché come raccontavano le antiche scritture, furono proprio questi esseri a scavare queste enormi gallerie.
Dalle pitture e dalle ossa trovate nelle viscere della terra si pensò che si trattasse di grotte preistoriche ma, dopo averle analizzate, la sorpresa fu grande: si trattava di ossa ancora più antiche. Tempo dopo si scoprì che questa rete di tunnels arrivava a piccole piazze da cui partivano condotti fino congiungersi con le gallerie sotterranee del deserto del Gobi.
Notando tutto questo non si può far altro che pensare che doveva essere un lavoro ciclopico, svolto da un popolo evoluto. Secondo gli scienziati questo sistema di gallerie povrebbe arrivare addirittura in Cina ed in Tibet, proprio come affermò Ossendowski: infatti da quel che dicono i monaci tibetani è qui che si troverebbe la capitale di Agharti, e i condotti si collegherebbero al palazzo del Dalai Lama a Lhasa.
Purtroppo nonostante i ritrovamenti di queste grotte in tutto il mondo non si è potuto procedere oltre a causa di imponenti crolli che ne hanno ostacolato per sempre l'ingresso a causa delle loro ciclopiche dimensioni; altre volte sono stati occultati deliberatamente gli ingressi dai saggi che conoscono l'ubicazione delle entrate, o altre ancora si dice che gli stessi abitanti del sottosuolo avrebbero mascherato gli accessi. E purtroppo fino ad oggi nessuno ancora è riuscito a vederle.
Tutta questa vicenda ci fa comprendere come oggi conosciamo pochissimo dei territori dell'Asia e delle leggende che parlano di popolazioni evolute di pelle bianca e immense e colossali gallerie lunghe migliaia di chilometri.
Tutta questa vicenda ci fa comprendere come oggi conosciamo pochissimo dei territori dell'Asia e delle leggende che parlano di popolazioni evolute di pelle bianca e immense e colossali gallerie lunghe migliaia di chilometri.
Una specie di metropolitana mondiale che forse rappresenta l'essenza stessa del regno di Agharti e di quello, in superficie, della mitica Mu.
Fonte: www.custodianticasapienza.it (off line)
(L'articolo era stato già pubblicato in questo blog il 12.09.2013, oggi alcune fonti non sono più reperibili))
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