venerdì 15 novembre 2019

Esami radiologici: quanti rischi?

 Esami radiologici sì, ma con criterio.

Alla radiografia, alla tomografia, alla PET, alla scintigrafia si ricorre sempre più spesso, anche quando non ce ne sarebbe un reale bisogno perché le informazioni che si vogliono ottenere potrebbero essere fornite da esami che non prevedono l'uso di radiazioni ionizzanti (vedi box).

Che il ricorso agli esami di diagnostica per immagini e di medicina nucleare sia in forte aumento è una questione che viene rilanciata periodicamente dai mezzi di comunicazione, non di rado con toni allarmistici poco giustificati dal punto di vista del rapporto rischi-benefici di queste pratiche.

Nella sostanza, comunque, i dati statistici confermano un andamento in crescita della quantità di radiazioni ionizzanti assorbita pro capite per scopi medici nei paesi industrializzati: un aumento che ha toccato nel 2006 il 600 per cento rispetto al 1980 e che fa sì che l'esposizione dovuta ad applicazioni mediche sia oggi superiore a quella dovuta alle sorgenti di radioattività naturale ...


GLI ESAMI NON FINISCONO MAI
Secondo i primi risultati, riportati a giugno del 2007 dal New York Times (Rabin 2007), di uno studio finanziato dal governo federale statunitense e realizzato dal National Council on Radiation Protection, pubblicato ad aprile 2008, negli Stati Uniti il numero di tomografie computerizzate (TC) effettuate nel 2006 ha raggiunto i 62 milioni, un dato venti volte superiore a quello del 1980. Nello stesso periodo di tempo gli esami di medicina nucleare (che prevedono l'impiego di traccianti radioattivi) sono triplicati.

In termini di quantità di radiazioni assorbite, le TC sono responsabili della metà della dose collettiva a cui è esposta la popolazione statunitense, pur rappresentando solo il 12 per cento di tutte le indagini di radiodiagnostica medica. Gli esami di medicina nucleare come la tomografia a emissione di positroni (PET) e la scintigrafia, invece, contribuiscono alla dose collettiva per il 25 per cento circa, con le indagini al cuore a fare la parte del leone.

QUESTO O QUELLO, PARI (NON) SONO
Al di là dei numeri assoluti, però, quello che va sottolineato è che gli esami non sono tutti uguali. Una TC del torace, per esempio, rilascia una dose di radiazioni circa 400 volte più elevata rispetto a quella fornita da una semplice radiografia del torace, mentre sottoporsi a una TC dell'addome corrisponde a fare 500 lastre del torace e con un'angio-TC coronarica multistrato si sale a 750 (Commissione europea 2002). Inoltre tutte le più recenti evoluzioni, come la TC multistrato o quella total body, rilasciano dosi significativamente più elevate rispetto alle tecniche tradizionali.

SALE LA DOSE, SALE IL RISCHIO
Gli effetti provocati dalle radiazioni ionizzanti dipendono dalle dosi che rilasciano agli organi irradiati. Per dosi elevate gli effetti sono detti deterministici: questo significa che, una volta superati specifici valori di soglia che dipendono dal tipo di radiazione e dalla parte del corpo irradiata, c'è la certezza che si verifichino. Questi effetti comprendono:
- eritemi;
- ulcerazioni della pelle;
- cataratta;
- sterilità temporanea o permanente;
- nel caso colpiscano il feto, malformazioni, ritardi mentali e anomalie della crescita.

Nei casi limite, le esposizioni acute a dosi altissime possono risultare fatali, come dimostrano le vittime delle bombe atomiche in Giappone e dell'incidente di Chernobyl. Le dosi di soglia tipiche sono di alcuni sievert se assorbite in una sola volta e più alte se assunte in momenti diversi, ma comunque molto più elevate di quelle impiegate in medicina, che arrivano ad alcune decine di millisievert nel caso di alcune procedure interventistiche (per esempio l'angioplastica coronaria). Le dosi impiegate in medicina sono in grado di provocare effetti detti stocastici (o probabilistici), cioè effetti che possono manifestarsi in seguito all'esposizione, ma non è certo che si verifichino.

L'esposizione alle basse dosi, in altre parole, aumenta la probabilità di questi effetti, che comprendono soprattutto lo sviluppo di tumori e leucemie. Il rischio di tumore, secondo gli esperti, cresce con la dose in modo lineare e senza che esista una soglia al di sotto della quale la probabilità è nulla.

Questa ipotesi di proporzionalità diretta senza soglia è stata assunta dalle principali istituzioni internazionali che si occupano di radioprotezione come misura di cautela, per evitare di sottostimare il rischio derivante dalle basse dosi e finora, nonostante sia stata spesso discussa, non è stata smentita dagli studi epidemiologici.

La gravità degli effetti, al contrario, è indipendente dalla dose.

Ma come si può quantificare l'aumento del rischio? Secondo la Health Protection Agencybritannica una radiografia del torace comporta un rischio aggiuntivo di sviluppare un tumore fatale nel corso della vita di 1 su un milione, mentre per una singola TC del cranio si sale a 1 su 10.000 e se lo stesso esame è fatto all'addome il rischio aggiuntivo è di 1 su 2.000. Per un singolo esame di medicina nucleare come la scintigrafia, poi, il rischio sale a 1 su 500.

Nel complesso, i dati indicano che all'esposizione alle radiazioni per uso medico è imputabile una percentuale di casi di cancro variabile tra l'1 e il 3 per cento di tutti quelli registrati nei paesi industrializzati. Un dato che, secondo gli esperti, rappresenta una stima al ribasso, perché ricavato in base all'esposizione medica dei primi anni novanta, circa sei volte più bassa di quella attuale.

SCARSA CONSAPEVOLEZZA
Seppure basso, il rischio di tumore per esposizione alle radiazioni a scopo medico esiste, soprattutto se si considera che gli esami sono spesso ripetuti e questo comporta dosi aggiuntive. Tuttavia i pazienti sembrano non percepirlo e anche dai medici è spesso sottostimato. «Ben pochi medici conoscono l'esposizione radiologica dell'esame che prescrivono», scrive Eugenio Picano dell'Istituto di fisiologia clinica del CNR di Pisa. «Non lo sanno i medici di medicina generale che nel 20 per cento dei casi ritengono che la risonanza magnetica adoperi radiazioni ionizzanti; non lo sanno i cardiologi, che nel 70 per cento dei casi sottostimano da 300 a 1.000 volte la dose di una scintigrafia cardiaca; e non lo sanno neanche i radiologi, che nelle stragrande maggioranza dei casi sottostimano di 50-500 volte dosi e rischi di una comune TC» (Picano 2006).

La causa, secondo Picano, è in buona parte attribuibile alla difficoltà con cui si possono reperire e comprendere le informazioni relative alle dosi (espresse in un'impressionante varietà di unità di misura) e ai rischi (le cui stime sono comunque frutto di estrapolazione e quindi caratterizzate da una buona dose di incertezza). Le conseguenze, al contrario, sono facilmente intuibili. «Ignorare le dosi può portare a prescrizioni inappropriate, in cui i rischi a lungo termine sono sottovalutati a fronte dei benefici immediati», continua Picano (Picano 2005).

SUPERARE L'IMPASSE
Come fare allora per evitare di essere travolti dal vortice degli esami radiologici? Prima di tutto, secondo Picano, si dovrebbero evitare gli esami inappropriati, cioè gli accertamenti inutili che rappresentano una frazione tra il 30 e il 50 per cento di tutte le indagini con radiazioni ionizzanti effettuate ogni anno. «Gli esami inappropriati moltiplicano i costi, allungano le liste d'attesa e non migliorano, anzi tendenzialmente peggiorano, la qualità dell'assistenza», sottolinea Picano (Picano 2005). Senza contare l'aspetto più importante, cioè i rischi per la salute.

Gli strumenti per intraprendere questo percorso, in realtà, ci sarebbero.

Prima di tutto la legge (decreto legislativo 187 del 26 maggio 2000), che impone sanzioni pecuniarie e penali a chi prescrive ed esegue esami con radiazioni ionizzanti senza adeguata giustificazione. La legislazione europea, inoltre, impone al radiologo di controllare e di registrare la dose di radiazione emessa in ogni esame, per evitare sovraesposizioni: l'Italia, però, come molti altri paesi, non si è ancora adeguata. Anzi, la legge del 2000 (forse in previsione dell'introduzione delle tessere sanitarie elettroniche) ha cancellato una disposizione precedente che prevedeva la creazione di un libretto radiologico personale in cui annotare la storia degli esami con radiazioni ionizzanti di ogni paziente.

Non bastasse la legge, ci sono le linee guida nazionali a definire i criteri che giustificano gli esami, sulla base dei principi cardine della radioprotezione (ASSR 2004): per ridurre i rischi è necessario valutare l'effettiva necessità di esami diagnostici con radiazioni ionizzanti (principio di giustificazione) e definire le modalità di indagine più opportune per ottenere le informazioni volute con l'impiego della minima dose possibile (principio di ottimizzazione). In altre parole, prima di prescrivere un esame con radiazioni ionizzanti il medico dovrebbe stabilire la sua reale utilità per il paziente, valutando se le informazioni possano essere reperite dai risultati di esami precedenti o attraverso indagini di altro tipo, che non comportino l'uso di radiazioni ionizzanti.

Ma soprattutto occorre che la persona che deve essere sottoposta all'esame sia adeguatamente informata sui rischi che l'indagine proposta comporta e sulla possibilità di esami alternativi ugualmente efficaci. Questo significa che i termini, spesso un po' oscuri, della radiodiagnostica dovrebbero essere tradotti in una forma comprensibile, che renda i pazienti che richiedono gli esami più consapevoli dei rischi oltre che dei benefici.

Una possibilità potrebbe essere quella di esprimere la dose corrispondente a un determinato esame come multiplo di quella rilasciata da una comune radiografia del torace e il rischio di cancro come numero di casi aggiuntivi, magari facendo riferimento a rischi che fanno parte della vita quotidiana. «Per esempio si potrebbe dire che fare una TC del torace corrisponde a fare 400 radiografie e comporta un rischio simile a quello di avere un incidente automobilistico guidando per 4.000 chilometri in autostrada», suggerisce Picano, che sottolinea come solo una chiara comunicazione di dosi e rischi possa essere la base di un consenso realmente informato (Picano 2004).


Insomma, se fosse messo a conoscenza del fatto che una TC dell'addome si associa a un rischio a lungo termine di un cancro fatale ogni 2.000 persone esposte, chi vorrebbe sottoporsi comunque all'esame o ripeterlo, se non fosse strettamente necessario?

Le radiazioni ionizzanti
Cosa sono?

Sono radiazioni che, penetrando nei tessuti biologici, cedono energia agli atomi e alle molecole che li compongono, provocandone la separazione delle cariche elettriche (ionizzazione).

Quali radiazioni sono importanti nella radioprotezione?

Si tratta di radiazioni elettromagnetiche - come i raggi X e i raggi gamma - che hanno alta energia; di particelle cariche, come le radiazioni alfa e beta; di particelle prive di carica (neutroni).

Come sono utilizzate in campo medico?

Sono impiegate per usi diagnostici (radiografie, TC, fluoroscopie, eccetera), per applicazioni di medicina nucleare (diagnosi e trattamenti con l'utilizzo di sostanze radioattive) e per la radioterapia.

Cos'è la dose?

La dose assorbita è definita come la quantità di energia che viene rilasciata dalla radiazione e assorbita dall'unità di massa della materia attraversata; si misura in gray (Gy). Si tratta di una misura fisica, che non è sufficiente a quantificare l'effetto biologico. Infatti l'effetto dipende anche dal tipo di radiazione impiegata (a parità di energia rilasciata, radiazioni diverse producono effetti differenti) e dal tessuto o dall'organo irradiato, che può essere più o meno sensibile.

La dose assorbita, quindi, va corretta moltiplicandola per un fattore (inferiore a 1) che tiene conto della radiosensibilità della parte irradiata, e per un fattore (maggiore o uguale a 1) che dipende dal tipo di radiazione. Con queste correzioni si ottiene la dose efficace, chiamata semplicemente dose. La dose si misura in sievert (Sv) o più spesso in millisievert (mSv), ed è la quantità che interessa in radioprotezione.

Come agiscono sui tessuti e sugli organi?

Con la ionizzazione, queste radiazioni modificano i legami chimici e le proprietà delle molecole, e in particolare del DNA. Le lesioni del DNA, nonostante i meccanismi di riparazione interni alle cellule, possono portare alla loro morte o all'alterazione del patrimonio genetico, provocando mutazioni che possono essere trasmesse alla prole o trasformando le cellule in tumorali.


Bibliografia
Agenzia per i servizi sanitari regionali. La diagnostica per immagini. Linee guida nazionali di riferimento, 2004.
Commissione europea. Linee guida di riferimento per la diagnostica mediante immagini. Protezione dalle radiazioni 118, 2002.
Health Protection Agency. Patient dose information. (visitato il 12 gennaio 2008).
Picano E. Informed consent and communication of risk from radiological and nuclear medicine examinations: how to escape from a commuication inferno. BMJ 2004; 329: 849.
Picano E. Sì alle immagini ma solo se appropriate. Tempo Medico Cuore 2005.
Picano E et al. La sostenibilità della diagnosi per immagini in cardiologia. Recenti progressi in medicina 2006; 11: 652.
Rabin RC. Rise in radiation exposure leads to warning. New York Times (21 giugno 2007).


Fonte: www.partecipasalute.it

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