venerdì 26 luglio 2019

L’ordine del Tempo (Carlo Rovelli)

Tempo e spazio per l’umanità sono sempre stati collegati in qualche modo. Forse per la loro incessante presenza che sembra accogliere la nostra vita. O forse per come i tentavi di descriverli, e poi di controllarli, abbiano finito per definirne un significato a priori, di volta in volta approfondito da nuove teorie scientifiche.

In architettura queste due componenti risultano determinanti, non solo concettualmente ma anche nella traduzione di ogni azione progettuale. 
Sia sul piano legale che su quello tecnologico tempo e spazio penetrano in ogni scala di restituzione, dettagliano ciascun elaborato (cartaceo o digitale), regolando, come dei binari fondamentali, il flusso del processo di trasformazione. 

Tempo e spazio risultano talmente (intuitivamente) reali da non essere mai messi in discussione. 

La memoria, poi, aiuta a consolidare questo (naturale) convincimento, offrendo la continuità lineare della narrazione attraverso la storia(delle città, del territorio, dell’architettura, dell’urbanistica). 

Come si potrebbe negare l’esistenza del passato, della stratificazione archeologica, del passaggio generazionale? ....


Eppure le cose non sono come sembrano 

In qualche modo ci troviamo a vivere un momento epocale in cui le scoperte della scienza stanno ormai definendo con discreta sicurezza i contorni di qualcosa di totalmente diverso da come l’abbiamo sempre creduto possibile. 

È un momento che assomiglia a quello in cui l’umanità si convinse che la terra non era più piatta e che non cadevano di sotto quelli che stavano dall’altra parte della palla. Oppure come quando fummo convinti che non eravamo più al centro dell’universo: anche se ogni giorno continuiamo, nello sbalordimento, ad essere affascinati dall’alba come dei tolemaici e continuiamo (un po’ poeticamente) a dirci che il sole sta sorgendo, piuttosto che l’orizzonte si sta abbassando o che il delta di variazione tra orizzonte e sole sta aumentando (definizione ancora meno ricca di sentimento).

Per aiutarci a comprendere meglio, Carlo Rovelli, un fisico teorico dell’Università di Aix-Marseille, che è membro di istituti ed accademie internazionali, ci viene in aiuto. Rovelli ha pubblicato con successo nel 2014 con Adelphi “Sette brevi lezioni di fisica” che sono state apprezzate per la capacità divulgativa anche dal grande pubblico. Quest’anno, con il medesimo editore sempre nella collana Piccola Biblioteca, è entrato nelle novità delle librerie un altro suo divertito sforzo didattico “L’ordine del tempo”: duecento paginette con illustrazioni comprensibili e senza formule che conducono a sfatare molti miti sul mistero del tempo.

Anche se spazio e tempo sono fortemente connessi è innegabile che il primo non abbia così tante apparenze di inconsistenza come il secondo, quel divenire intuìto di cui parlava Hegel nella “Filosofia della natura”.

Il tempo, o meglio la sua struttura, è molto diversa da come appare. 

“Perché ricordiamo il passato e non il futuro? Siamo noi a esistere nel tempo o il tempo esiste in noi? Cosa significa che il tempo «scorre»? Cosa lega il tempo alla nostra natura di soggetti? Cosa ascolto, quando ascolto lo scorrere del tempo?”. 

Queste sono alcune domande che Rovelli si pone nelle prime pagine del suo libro e a cui, con straordinaria delicatezza (un’abilità importante per far accedere i meno eruditi a sapienze di così diverso tenore), proverà a proporre coerenti risposte.


Come fa Rovelli a smontare “l’immagine del tempo che ci è familiare”? 

Attraverso un percorso progressivamente approfondito che parte da ciò che tutti intuiscono e conoscono, passando per il pensiero di Aristotele (“il tempo è solo misura del cambiamento”), Newton (“c’è un tempo che scorre anche quando non cambia nulla”) e poi di Einstein con il suo spaziotempo definito dal campo gravitazionale, e raggiungendo, dopo aver acquisito le leggi di Clasius e di Boltzmann sull’entropia, i confini della meccanica quantistica (teoria dei loop o delle stringhe).

Cosa si intuisce? Che il tempo mette d’accordo tutti ma con alcuni cambiamenti straordinari, come una fusione al calor bianco:

- UNICITÀ: il tempo non è unico e ha un ritmo diverso in ogni luogo: “non descriviamo come il mondo evolve nel tempo: descriviamo le cose evolvere in tempi locali e i tempi locali evolvere uno rispetto all’altro.”

- DIREZIONE: non esiste una freccia temporale, l’unica differenza tra ciò che è avvenuto prima e ciò che verrà non riguarda il mondo (sembra incredibile) ma riguarda l’energia e il calore e il disordinarsi naturale delle cose: l’entropia. Scrive Rovelli: “la differenza fra passato e futuro si riferisce alla nostra visione sfuocata del mondo. È una conclusione che lascia esterrefatti: possibile che questa mia sensazione così vivida, elementare, esistenziale – lo scorrere del tempo – dipenda dal fatto che non percepisco il mondo nel suo minimo dettaglio?”

- PRESENTE: “la nozione di «presente» si riferisce alle cose vicine, non a quelle lontane. Il nostro «presente» non si estende a tutto l’universo. È come una bolla vicino a noi.” Una bolla più meno grande come l’intero pianeta Terra. Quindi la struttura del tempo non ha un adesso e non ha un presente è non è stratificata: “l’intera idea che l’universo esista adesso in una certa configurazione, e cambi tutto insieme con il passare del tempo, non funziona più.”

- INDIPENDENZA: il tempo non scorre, come diceva Newton, “regolare, imperturbabile, indipendente da tutto”, perché la realtà è strutturata anche dal campo gravitazionale, che non è “separata dal resto della fisica, non è il palco su cui scorre il mondo: è una componente dinamica della grande danza del mondo, simile a tutte le altre; interagendo con le altre, determina il ritmo di quelle cose che chiamiamo metri e orologi e il ritmo di tutti i fenomeni fisici.”

- GRANULARITÀ: il campo gravitazione avendo proprietà quantistiche, determina che il tempo sia granulare (quantizzato): “non possiamo pensare la durata come continua. Dobbiamo pensarla discontinua: non come qualcosa che possa fluire uniformemente, ma come qualcosa che in un certo senso salta, come un canguro, da un valore all’altro.”

- INDETERMINAZIONE: lo spaziotempo quindi è qualcosa, dice Rovelli, che assomiglia ad un elettrone, che fluttua. Ma fluttuazione “non significa che quello che accade non sia mai determinato; significa che è determinato solo in alcuni momenti e in maniera imprevedibile.”

- RELAZIONE: le variabili fisiche in meccanica quantistica sono relazionate: “il tempo si è sciolto in una rete di relazioni che non tesse neppure più una tela coerente. Le immagini di spazitempi (al plurale) fluttuanti, sovrapposti gli uni agli altri, che si concretizzano a tratti rispetto ad oggetti particolari, sono una visione vaga, ma è la migliore che ci resta della grana fine del mondo.”

Direi che non è poco. 

Il tempo sembra essere non più una quantità fisica ma un dato emergente che si sviluppa nella nostra condizione di esseri in un determinato contesto e con una particolare predisposizione a valutare cosa potrà accadere, ma allora, fondamentalmente il tempo non esiste? 

Per rispondere a questa domanda Carlo Rovelli ci fa entrare nella seconda parte del suo volume in cui comincia col prendere in considerazione un’idea molto interessante, anche dal punto di vista architettonico, cioè che il “mondo sia fatto di eventi, non di cose”.

Il concetto che ne scaturisce è che “le cose non «sono»: accadono”, quindi, scrive abilmente Rovelli, che “gli eventi del mondo non si mettono in fila come gli inglesi. Si accalcano caotici come gli italiani.” 
Non c’è nulla di permanente: “si può pensare il mondo come costituito di cose. Di sostanza, Di enti. Di qualcosa che è. Che permane. Oppure pensare che il mondo sia costituito di eventi. Di accadimenti. Di processi. Di qualcosa che succede. Che non dura, che è continuo trasformarsi. Che non permane nel tempo”.

Questa intuizione è straordinaria perché collima perfettamente con il processo di trasformazione che rende lo spazio parte del tempo, e viceversa in architettura, coniugando anche la dimensione emozionale e sociale del processo.

Rovelli fa una similitudine potente. Scrive che il prototipo della cosa è un sasso, mentre quella di un evento è un bacio. E che, dato che il mondo è “fatto di rete di baci” non ha senso chiedersi dove sarà domani un bacio. 

Ma anche il sasso, che sembra una cosa in realtà è solo un evento lungo, che cerca di “mantenersi in equilibrio simile a se stesso, prima di disgregarsi di nuovo in polvere”. 

La fisica, eliminando la variabile «t» dalle formule, ci dice che l’errore è stato, fino ad ora, concentrarsi sulle cose ignorando il cambiamento.

Scrive, sintetizzando, Rovelli che l’assenza del tempo “non significa quindi che tutto sia congelato e immobile. Al contrario, significa un mondo dove il cambiamento è ubiquo, senza essere ordinato da Padre Tempo: senza che gli innumerevoli accadimenti si dispongano necessariamente in bell’ordine, né secondo le leganti geometrie Einsteiniane.” 

Si apre quindi la tematica grammaticale, che chiede di usare termini che abbiano il significato corretto in rapporto alla domanda giusta. Certe domande come “Cosa è reale?” oppure “Cosa esiste?” probabilmente sono mal poste e non entrano nel merito della natura e non aiutano a comprendere la struttura della realtà. 

Siamo di fronte ad una dinamica probabilistica in cui grani elementari («quanti di gravità» come «quanti di spazi») non “vivono immersi nello spazio” ma “formano essi stessi lo spazio. Meglio: la spazialità del mondo è la rete delle loro relazioni”.

Il fisico Carlo Rovelli all’università di Luminy a Marsiglia, in Francia, il 16 aprile 2015. (Ian Hanning, Réa/Contrasto) via internazionale.it

Nella terza e ultima parte del volume Rovelli cerca poi di trovare un significato sorgente a quanto è stato fino ad ora descritto più con atti di demolizione che di costruzione sul concetto e sull’intuizione del tempo.

Un’immagine che rende bene quest’idea è quella della sfuocatura e di come questa difficoltà di mettere a fuoco la realtà (per indeterminazione, probabilità, dinamismo relazionale, cambio continuo di prospettiva, e chi ne ha più ne metta) conduca a definire il tempo come ignoranza. 

Il tempo termico (quello del calore e del flusso direzionale) ci aiuta a comprendere come la nostra sensazione di condividere un passato risieda nel fatto che nel passato l’entropia era bassa, o almeno noi la percepiamo come tale in rapporto alle interazioni locali che creiamo nella parte di mondo fisico a cui apparteniamo: “la bassa entropia iniziale dell’universo, e quindi la freccia del tempo, potrebbe essere dovuta a noi, più che all’universo.” Tutto, come la percezione della rotazione della volta celeste rispetto a quella della terra, potrebbe essere un effetto di prospettiva, una “prospettiva particolare dall’angolo di mondo a cui apparteniamo.”

Anche questa caratteristica del pensiero è molto architettonica: la condizione del punto di vista dinamico e del contesto di riferimento, del confinamento e della marginalità sono variabili necessarie del progetto: “in ogni esperienza, noi siamo localizzati nel mondo: dentro una mente, un cervello, un luogo dello spazio, un momento del tempo. Questa nostra localizzazione è essenziale per comprendere la nostra natura del tempo.”

Ecco quindi che un passato a bassa entropia lascia tracce nel presente: memorie e ricordi. 

Le tracce sono modificazioni, processi irreversibili, degradazioni dell’energia in calore, perché diversamente in un “mondo senza calore, tutto rimbalza via elastico e nulla lascia traccia di sé.

” La percezione molto interessante è che, dalla nostra prospettiva, sentire il passato così ricco di tracce lo rende molto determinato, mentre, scrive Rovelli, “l’assenza di analoghe tracce nel futuro produce la sensazione che il futuro sia aperto.” E quindi diamo un significato agli eventi, creiamo principi di casualità, diamo nomi certi a fenomeni che sono solo conseguenze di fatti statistici: “disegniamo linee nel mondo, che lo dividono in parti; stabiliamo confini, ci appropriamo del mondo facendolo a pezzi. È la struttura del nostro sistema nervoso che funziona in questo modo”, aggiungendo all’esperienza elementare, primaria, di un soggetto umano anche la “complessa deduzione culturale” sviluppata nei millenni da tutti i membri del gruppo a cui appartiene.

La memoria (altra tematica architettonicamente importante) diviene quindi centrale in questo processo che struttura l’intuizione del tempo e quindi anche il senso della nostra identità. La memoria salda i frammenti, connette di significato le tracce, riconfigura il passato mentre un’altra dote, tutta umana, consente l’anticipazione: biologicamente essenziale perché la nostra specie competa, si sviluppi ed elabori strategie. Il tempo probabilmente ha una natura non esterna (incessantemente scorrevole come la vedeva Newton) quanto una natura più interna, “sorgente della nostra identità.”

Carlo Rovelli cita Proust, Hofmannsthal, Rilke, il Mahābhārata, per tenerci stretti alla nostra dimensione umana, ricordandoci che se l’immagine ingenua del tempo è “adatta alla nostra vita quotidiana, non è adatta per comprendere il mondo nelle sue pieghe minute e nelle sue vastità”. 

Il mondo è senza tempo. Il tempo siamo noi.

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