Sempre più spesso si sente parlare di vaccinazioni per prevenire l’insorgere di un numero crescente di malattie, alcune delle quali, ne sono certo, ben poco conosciute dal grande pubblico
Molto si parla ma mi sono accorto, soprattutto rispondendo alle domande che mi vengono poste sia dal cosiddetto “uomo della strada” sia da qualche giornalista, che le idee in proposito sono tutt’altro che chiare.
Ultimamente, poi, la frequenza delle domande si è intensificata di fronte all’insistenza di certi gruppi di pressione perché le femmine giovani si sottopongano alla somministrazione del Gardasil, il vaccino che dovrebbe prevenire il tumore del collo dell’utero o cervice uterina (le due espressioni sono sinonime).
Come spesso accade, per chiarire le idee e per farsi un’opinione circostanziata è indispensabile avere almeno qualche nozione di base...
Senza addentrarci in argomenti tecnici che risulterebbero troppo noiosi e che, comunque, possono essere sviscerati consultando qualche libro di una buona biblioteca, basterà sapere, per iniziare, che i vaccini sono preparati farmaceutici a base di proteine ricavate opportunamente da microrganismi patogeni, cioè capaci di provocare una malattia infettiva. Introducendo nell’organismo umano (o animale, se è l’animale che vogliamo trattare) queste proteine parzialmente inattivate perché la loro capacità di provocare la malattia in tutta la sua gravità risulti fortemente attenuata, otteniamo, sotto certi aspetti, una reazione auspicabilmente sovrapponibile a quella che l’organismo ricevente avrebbe se dovesse confrontarsi con il microrganismo patogeno integro. E la reazione è quella di creare un’immunità o, per lo meno, una forte resistenza nei confronti di quella malattia grazie alla produzione di anticorpi, cioè di proteine appartenenti al sistema immunitario capaci di neutralizzare virus e batteri.
Questo tipo di vaccino si propone, dunque, di prevenire una determinata patologia infettiva. Una seconda varietà, poi, mira a curare una malattia infettiva già in corso, ma di questa non ci occuperemo qui.
La tecnica della vaccinazione è conosciuta da lunghissimo tempo.
È riportato dalle cronache dell’epoca come, nel corso dell’epidemia di vaiolo che travolse la Turchia nel 1718, si facessero inalare alle persone sane le croste che venivano tolte dalla pelle degli ammalati e come l’effetto fosse quello di ottenere una certa protezione nei confronti della patologia.
Diversi decenni più tardi, a fine secolo, dopo una lunga serie di esperimenti non proprio innocui e che oggi sarebbero vietati, il medico inglese Edward Jenner introdusse una metodica di vaccinazione contro il vaiolo molto più efficiente di quella già praticata al tempo, metodica che è la base di ciò che continuiamo a fare noi ora. Naturalmente, come è abituale che sia, a quel tempo le contestazioni furono molte, con la Royal Society che rifiutò la relazione preparata da Jenner, ma gli effetti risultarono obiettivamente ottimi, tanto che nei primi dieci anni dal momento in cui s’iniziò a trattare una parte consistente della popolazione britannica i casi di vaiolo diminuirono laggiù di circa cento volte.
Detto a titolo di curiosità, fu Pasteur (chimico e non medico) ad inventare il nome “vaccino”, e questo in onore di Jenner che, per la prevenzione del vaiolo, aveva usato siero di vacca, cioè vaccino.
Sull’onda del successo, piano piano vennero sviluppati vaccini preventivi contro una quantità di malattie infettive sia di origine virale (come il vaiolo) sia di origine batterica (come la tubercolosi).
Sull’effettiva sicurezza ed efficacia di questa classe di farmaci è difficile esprimere giudizi generali, se non altro perché intercorrono differenze notevolissime tra preparato e preparato. Mi limiterò qui, dunque, a qualche osservazione.
La prima è che, comunque sia, l’immunità che si acquisisce con la vaccinazione non è sovrapponibile a quella, molto più efficace, che si stabilisce contraendo la malattia vera e propria. Ma su questo temo ci sia poco da fare perché le leggi della biologia non sono modificabili.
La seconda è che, per poter tollerare una vaccinazione senza eccessivi pericoli occorre che l’organismo sia all’altezza della situazione, vale a dire che il sistema immunitario del ricevente (linfociti e anticorpi, per chi vuole essere appena un po’ più tecnico) sia in perfetta efficienza. Il sistema immunitario altro non è se non una rete naturale quanto mai complessa di cellule specializzate e composti chimici particolari (mediatori chimici) capaci di riconoscere eventuali sostanze o microrganismi estranei all’organismo e potenzialmente pericolosi, scatenando poi, in loro presenza, reazioni di difesa immediata ed, eventualmente, di difesa a lungo termine con la costituzione di un’immunità più o meno duratura. Se il sistema immunitario si trova momentaneamente “sotto tono”, la vaccinazione è controindicata ma, purtroppo, è un evento rarissimo che il paziente sia sottoposto ad indagini preliminari. Basta guardare ciò che si fa con i militari che ricevono vaccinazioni a raffica in tempi ristretti e senza che sia eseguita alcuna analisi in precedenza. Addirittura si arriva ad iniettare, alla cieca, nei bambini di tre mesi un vaccino contro sei malattie contemporaneamente (poliomielite, difterite, tetano, epatite, pertosse e influenza di tipo B). A questa prima iniezione seguiranno somministrazioni successive di vaccini specifici cosiddette “di richiamo” per ogni malattia secondo una tempistica descritta in quello che si chiama “calendario vaccinale”. A due anni d’età, poi, s’inietta il cosiddetto vaccino trivalente contro morbillo, parotite (orecchioni) e rosolia, anche qui con la necessità di richiamo.
Diversi decenni più tardi, a fine secolo, dopo una lunga serie di esperimenti non proprio innocui e che oggi sarebbero vietati, il medico inglese Edward Jenner introdusse una metodica di vaccinazione contro il vaiolo molto più efficiente di quella già praticata al tempo, metodica che è la base di ciò che continuiamo a fare noi ora. Naturalmente, come è abituale che sia, a quel tempo le contestazioni furono molte, con la Royal Society che rifiutò la relazione preparata da Jenner, ma gli effetti risultarono obiettivamente ottimi, tanto che nei primi dieci anni dal momento in cui s’iniziò a trattare una parte consistente della popolazione britannica i casi di vaiolo diminuirono laggiù di circa cento volte.
Detto a titolo di curiosità, fu Pasteur (chimico e non medico) ad inventare il nome “vaccino”, e questo in onore di Jenner che, per la prevenzione del vaiolo, aveva usato siero di vacca, cioè vaccino.
Sull’onda del successo, piano piano vennero sviluppati vaccini preventivi contro una quantità di malattie infettive sia di origine virale (come il vaiolo) sia di origine batterica (come la tubercolosi).
Sull’effettiva sicurezza ed efficacia di questa classe di farmaci è difficile esprimere giudizi generali, se non altro perché intercorrono differenze notevolissime tra preparato e preparato. Mi limiterò qui, dunque, a qualche osservazione.
La prima è che, comunque sia, l’immunità che si acquisisce con la vaccinazione non è sovrapponibile a quella, molto più efficace, che si stabilisce contraendo la malattia vera e propria. Ma su questo temo ci sia poco da fare perché le leggi della biologia non sono modificabili.
La seconda è che, per poter tollerare una vaccinazione senza eccessivi pericoli occorre che l’organismo sia all’altezza della situazione, vale a dire che il sistema immunitario del ricevente (linfociti e anticorpi, per chi vuole essere appena un po’ più tecnico) sia in perfetta efficienza. Il sistema immunitario altro non è se non una rete naturale quanto mai complessa di cellule specializzate e composti chimici particolari (mediatori chimici) capaci di riconoscere eventuali sostanze o microrganismi estranei all’organismo e potenzialmente pericolosi, scatenando poi, in loro presenza, reazioni di difesa immediata ed, eventualmente, di difesa a lungo termine con la costituzione di un’immunità più o meno duratura. Se il sistema immunitario si trova momentaneamente “sotto tono”, la vaccinazione è controindicata ma, purtroppo, è un evento rarissimo che il paziente sia sottoposto ad indagini preliminari. Basta guardare ciò che si fa con i militari che ricevono vaccinazioni a raffica in tempi ristretti e senza che sia eseguita alcuna analisi in precedenza. Addirittura si arriva ad iniettare, alla cieca, nei bambini di tre mesi un vaccino contro sei malattie contemporaneamente (poliomielite, difterite, tetano, epatite, pertosse e influenza di tipo B). A questa prima iniezione seguiranno somministrazioni successive di vaccini specifici cosiddette “di richiamo” per ogni malattia secondo una tempistica descritta in quello che si chiama “calendario vaccinale”. A due anni d’età, poi, s’inietta il cosiddetto vaccino trivalente contro morbillo, parotite (orecchioni) e rosolia, anche qui con la necessità di richiamo.
Un argomento che mi sta particolarmente a cuore è proprio quello del trattamento vaccinale dei bambini, visto che ormai è diventato pratica consolidata “immunizzare” soggetti che hanno pochissimi mesi di vita.
Mi dispiace dover riaffermare ora quello che è un poco piacevole dato di fatto: una fetta importante della cultura dei medici odierni è frutto dell’attività delle multinazionali farmaceutiche, vere e proprie potenze economiche a livello mondiale. Su queste entità si è detto e scritto di tutto, accusandole persino, a ragione o a torto non saprei dire, di diffondere artificiosamente malattie tramite i loro prodotti per poi vendere i farmaci curativi del caso. E, quando si sia a corto di malattie da diffondere, queste sono inventate di sana pianta, vedi, ad esempio, la timidezza diventata d’improvviso una patologia assolutamente da curare con i farmaci.
Al di là delle dietrologie, le industrie farmaceutiche dispongono di capitali enormi e con le briciole pagano quel minimo di ricerca che si fa nelle università, ricerca che, ovviamente, con questi presupposti deve essere condotta in una maniera che non può essere a buon diritto chiamata indipendente. Se tanti istituti restano aperti lo si deve proprio ai quattrini che arrivano dalle industrie, quattrini che permettono una mera sopravvivenza, non di sicuro uno stato d’indipendenza economica che potrebbe rendere pericolosamente liberi ricercatori e ricerca. Poi, per i privilegiati, cioè per coloro che fanno opinione, ci sono dei trattamenti speciali che vanno da una montagna di denaro (sempre briciole per le multinazionali del farmaco) giù fino alla vacanza, magari da condividere con qualche amico/a o parente, sotto forma di partecipazione ad un congresso che, guarda un po’, si terrà in una località turistica di élite all’interno di un albergo di lusso.
Chi accetta tutto questo avrà anche occasioni di carriera, occasioni che si giocherà con gli altri partecipanti alla stessa corsa, e le possibilità di successo dipenderanno fortemente dall’efficienza dimostrata nell’essere funzionali agl’interessi dello sponsor. Ecco, allora, che tante malattie acquistano ufficialità, gravità o addirittura esistenza e che tanti farmaci magari non proprio efficacissimi e magari non proprio scevri da effetti collaterali e, magari ancora, non proprio indicati, cominciano ad essere prescritti a valanga. Vaccinazioni comprese, naturalmente. A questo punto non è improbabile che qualcuno dei protagonisti della situazione descritta storca il naso ma, chiacchiere a parte, le cose stanno davvero così.
Proprio qualche giorno fa un giovane padre mi diceva come di lì a pochi giorni avrebbe sottoposto, su consiglio della pediatra, il proprio figlio che stava per compiere due anni alla vaccinazione contro lo Streptococcus pneumoniae, responsabile, tra l’altro, di otite, polmonite e meningite. Nessuno aveva informato questo signore preoccupato della salute, peraltro eccellente, del piccolo che, a due anni d’età, si propone di somministrare un vaccino che pretende di essere efficace (quanto?) solo su una frazione tutto sommato piccola dei sierotipi, cioè delle sottospecie, dei batteri responsabili delle malattie di cui sopra, né ci si era preoccupati di parlargli degli eventuali effetti collaterali della vaccinazione. E neanche gli si è detto che otite, polmonite e meningite possono avere cause del tutto diverse dall’infezione di Streptococcus pneumoniae contro cui il vaccino è per forza di cose impotente. Infine, nessuno si era preoccupato di dirgli che la virulenza di quei batteri è davvero minima.
Il primo problema di natura puramente biologica è che a quell’età il sistema immunitario non è quello di un organismo completamente formato e l’immunità promessa dal vaccino potrebbe rivelarsi illusoria. Inoltre non è possibile tacere come una letteratura medica molto corposa, seppure discussa, attribuisca parecchi casi di autismo e ancor più numerosi casi di difficoltà nell’apprendimento proprio alle conseguenze di queste vaccinazioni tanto precoci.
Mi dispiace dover riaffermare ora quello che è un poco piacevole dato di fatto: una fetta importante della cultura dei medici odierni è frutto dell’attività delle multinazionali farmaceutiche, vere e proprie potenze economiche a livello mondiale. Su queste entità si è detto e scritto di tutto, accusandole persino, a ragione o a torto non saprei dire, di diffondere artificiosamente malattie tramite i loro prodotti per poi vendere i farmaci curativi del caso. E, quando si sia a corto di malattie da diffondere, queste sono inventate di sana pianta, vedi, ad esempio, la timidezza diventata d’improvviso una patologia assolutamente da curare con i farmaci.
Al di là delle dietrologie, le industrie farmaceutiche dispongono di capitali enormi e con le briciole pagano quel minimo di ricerca che si fa nelle università, ricerca che, ovviamente, con questi presupposti deve essere condotta in una maniera che non può essere a buon diritto chiamata indipendente. Se tanti istituti restano aperti lo si deve proprio ai quattrini che arrivano dalle industrie, quattrini che permettono una mera sopravvivenza, non di sicuro uno stato d’indipendenza economica che potrebbe rendere pericolosamente liberi ricercatori e ricerca. Poi, per i privilegiati, cioè per coloro che fanno opinione, ci sono dei trattamenti speciali che vanno da una montagna di denaro (sempre briciole per le multinazionali del farmaco) giù fino alla vacanza, magari da condividere con qualche amico/a o parente, sotto forma di partecipazione ad un congresso che, guarda un po’, si terrà in una località turistica di élite all’interno di un albergo di lusso.
Chi accetta tutto questo avrà anche occasioni di carriera, occasioni che si giocherà con gli altri partecipanti alla stessa corsa, e le possibilità di successo dipenderanno fortemente dall’efficienza dimostrata nell’essere funzionali agl’interessi dello sponsor. Ecco, allora, che tante malattie acquistano ufficialità, gravità o addirittura esistenza e che tanti farmaci magari non proprio efficacissimi e magari non proprio scevri da effetti collaterali e, magari ancora, non proprio indicati, cominciano ad essere prescritti a valanga. Vaccinazioni comprese, naturalmente. A questo punto non è improbabile che qualcuno dei protagonisti della situazione descritta storca il naso ma, chiacchiere a parte, le cose stanno davvero così.
Proprio qualche giorno fa un giovane padre mi diceva come di lì a pochi giorni avrebbe sottoposto, su consiglio della pediatra, il proprio figlio che stava per compiere due anni alla vaccinazione contro lo Streptococcus pneumoniae, responsabile, tra l’altro, di otite, polmonite e meningite. Nessuno aveva informato questo signore preoccupato della salute, peraltro eccellente, del piccolo che, a due anni d’età, si propone di somministrare un vaccino che pretende di essere efficace (quanto?) solo su una frazione tutto sommato piccola dei sierotipi, cioè delle sottospecie, dei batteri responsabili delle malattie di cui sopra, né ci si era preoccupati di parlargli degli eventuali effetti collaterali della vaccinazione. E neanche gli si è detto che otite, polmonite e meningite possono avere cause del tutto diverse dall’infezione di Streptococcus pneumoniae contro cui il vaccino è per forza di cose impotente. Infine, nessuno si era preoccupato di dirgli che la virulenza di quei batteri è davvero minima.
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