Il 6 aprile 1941 iniziò l'invasione della Jugoslavia, avviata dalle truppe nazifasciste tedesche, subito sostenute da quelle ungheresi (11 aprile) e italiane (15 aprile).
Novemila soldati del Regno d’Italia partiti da Zara (allora italiana) raggiunsero Sebenico e Spalato e due giorni dopo Dubrovnik e Mostar dove si riunirono a quattro divisioni comandate dal generale Alessandro Pirzio Biroli, salite dall’Albania; la seconda armata (9 divisioni di fanteria, 4 motorizzate e 1 corazzata) comandata dal generale Emilio Giglioli, dal Friuli Venezia Giulia si diresse su Lubiana.
Il 15 aprile re Pietro II Karađorđević fuggì a Londra e il 17 aprile il generale Kalafatovik firmò l’armistizio.
L’occupazione fu la risposta di Germania e Italia alla sconfessione del patto che il principe Paolo (reggente) aveva firmato con loro un mese prima (4 marzo 1941): principe che un colpo di Stato appoggiato dalla Gran Bretagna aveva poco dopo sostituito col principe ereditario Pietro, non ancora diciottenne...
Quando gli italiani entrarono in Jugoslavia, l’esercito di Hitler era già sul posto da nove giorni.
A seguito di questa occupazione l’Italia (che già aveva l’Istria) finì con l’annettersi parte della Slovenia e della Croazia, la Dalmazia e parte del Montenegro. La resistenza incontrata a Lubiana venne spietatamente contrastata dagli italiani che commisero crimini di guerra, bruciarono molti villaggi, uccisero e deportarono i loro abitanti.
Le rappresaglie italiane contro i partigiani jugoslavi furono più severe di quelle che in seguito i tedeschi praticarono in Italia: prevedevano 50 giustiziati per ogni ufficiale italiano ucciso.
Il 1° marzo 1942 con circolare 3C partita dal Comando Superiore Armate Slovenia e Dalmazia il generale Mario Robotti e l’alto commissario per la provincia di Lubiana Emilio Grazioli scrissero ai loro ufficiali: Internare a titolo protettivo, precauzionale e repressivo, individui, famiglie, categorie di individui delle città e delle campagne e, se occorre, intere popolazioni di villaggi e zone rurali; fermare ostaggi, tratti ordinatamente dalla parte sospetta della popolazione e, se giudicato opportuno, anche del suo complesso, compresi i ceti più elevati; ostaggi, che possono essere chiamati a rispondere, con la loro vita, di aggressioni proditorie a militari o funzionari italiani; considerare corresponsabili dei sabotaggi, in genere, gli abitanti di case prossime al luogo in cui essi vengono compiuti.
Si sappia bene che eccessi di reazione, compiuti in buona fede, non verranno perseguiti.
Perseguiti invece, inesorabilmente, saranno coloro che dimostreranno timidezza e ignavia.
Per doverosa notizia comunico che fonti confidenziali, bene informate, segnalano concordemente che nel complesso le recenti operazioni di rastrellamento e di epurazione politica, compiute nei paesi della provincia, sono state commentate con favore dalla popolazione locale, la quale, vivendo nel costante terrore dei partigiani, ha approvato l’arresto di molti elementi conniventi o comunque simpatizzanti con il movimento comunista. Nel contempo, medesime fonti fanno rilevare che il mancato rastrellamento di donne, specialmente insegnanti di scuole medie ed elementari, che hanno notoriamente svolto e tuttora svolgono attiva opera di propaganda comunista e di assistenza ai partigiani, ha prodotto cattiva impressione. Mi riservo, al riguardo, di adottare analoghi provvedimenti di polizia anche a carico di queste ultime, non appena possibile e dopo aver raccolto su di esse concreti elementi.
Il 3 agosto 1942, sul marconigramma 13069/op. in cui il generale Taddeo Orlando comandante della divisione Granatieri di Sardegna comunicava l’avvenuto inoltro di 37 uomini validi senza specifiche imputazioni per l’internamento e 3 briganti comunisti feriti, il generale Robotti annotò: Perché non li hanno fucilati? Fargli questo appunto (e fuciliamoli noi).
Il 4 agosto 1942 Emilio Grazioli inviò ai commissari di Lubiana una disposizione segreta pervenutagli dal Comando XI Corpo d’armata.
Disse: Dispongo che chiunque sia trovato in possesso di stampati per tessere comuniste o documenti analoghi sia passato per le armi. Le abitazioni in cui saranno trovati documenti di cui sopra dovranno essere distrutte.
Si ammazza troppo poco, disse l’8 agosto lamentandosi che il comandante della divisione Cacciatori delle Alpi, Vittorio Ruggero non avesse proceduto con le fucilazioni: Mi pare che su 73 sospetti non trovare il modo di dare nemmeno un esempio, è un po’ troppo.
Robotti scrisse anche: Ogni sloveno in vita dev’essere considerato almeno simpatizzante con i partigiani… Occorre mettere da parte ogni falsa pietà tutte le volte che si ha motivo di ritenere che gli abitanti tacciono quello che sanno ed aiutano in qualsiasi modo i partigiani… Si odii più di quanto questi briganti odiano noi.
Il 17 gennaio 1943 il maggiore Ettore Giovannini comandante del XIV battaglione avvisò il comando dell’XI Corpo d’armata: Le nostre truppe hanno agito con particolare severità contro Loz compiendo la distruzione, quasi completa, delle abitazioni, la confisca del bestiame, la fucilazione di molti giovani e l’internamento di un elevato numero di civili.
Il 27 maggio 1943 il generale Gastone Gambara ordinò a tutti i comandi italiani in Jugoslavia di fucilare, entro 40 ore dall’interrogatorio, tutti i partigiani sloveni o italiani catturati; per gli altri lasciava discrezionalità circa il riutilizzo come scambio di prigionieri.
I lager italiani
Per i tanti prigionieri jugoslavi i militari italiani realizzarono sull’isola di Rab un campo di concentramento, uno a Gonars in provincia di Udine, uno a Monigo (Treviso) e uno a Renicci (Arezzo).
Nel campo di Rab che doveva servire da bonifica etnica, dal luglio 1942 furono ammassate tra le 10.000 e le 15.000 persone, soprattutto sloveni: vecchi, donne e bambini sistemati in tende da campo a sei posti.
(Questa foto mostra Janez Mihelčič, prigioniero sloveno gravemente emaciato del campo di concentramento italiano di Rab (Arbe), nato il 12 luglio 1885 a Babna Polica e morto nel campo il 4 febbraio 1943. Negli anni '60, gli storici italiani presentarono falsamente la foto come un'immagine del campo di sterminio nazista di Auschwitz-Birkenau)
A sorvegliarli c’erano circa 2.000 tra soldati e carabinieri.
Nelle denunce fatte dopo la liberazione l’8 settembre 1943, gli internati accusarono di crudeltà il comandante e il cappellano militare, usando al contrario parole di ringraziamento nei confronti degli ufficiali di sanità. Si conoscono i nomi di 1.435 internati morti in quel campo, ma potrebbero essere molti di più. Qui, diversamente dai lager nazisti, pare che gli ebrei siano stati trattati meglio degli altri prigionieri.
La maggior parte delle morti era dovuta alla fame e alle malattie, anche perché vigeva il concetto, espresso dal generale Gastone Gambara, secondo cui Individuo malato= individuo tranquillo. Tra i morti anche la piccola Vjekoslava Franjica Arh di un anno e mezzo, Julije Stanislav Ban di 2 anni e la sorellina Stanca Julijana Ban di 4 anni. Va sottolineato che dal 1941 ad oggi nessun esponente del governo di Roma è mai stato sul posto a rendere omaggio alle vittime degli italiani.
Ma i campi di concentramento e internamento per circa 150.000 sloveni, croati, montenegrini ed erzegovini, oltre che in Jugoslavia ed Albania, c’erano anche in Italia: una trentina. Tre i principali: il campo di concentramento friulano di Gonars ospitò 6.000 internati della provincia di Lubiana e qui morirono almeno 500 persone.
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Più di qualcuno, dai lager italiani, scavando dei tunnel, riuscì a fuggire.
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Articolo completo con ulteriore documentazione fotografica:
"L’uomo ha dentro di sé il piacere di odiare e di distruggere.
In tempi normali la sua passione rimane latente, emerge solo in circostanze eccezionali; ma è abbastanza facile attizzarla e portarla alle altezze di una psicosi collettiva"
(dallo scambio epistolare tra Albert Einstein e Sigmund Freud sul perché della guerra:









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