domenica 17 agosto 2025

Ciao, sono un giovane

Ho cominciato a essere giovane molto presto, non ricordo esattamente quando.
Credo sia stata colpa dei miei genitori, anche loro sono stati giovani e mi hanno passato sta cosa. Solo che a un certo punto loro sono riusciti a smettere. Io no. Io non ci riesco. 

Ci ho provato. 

Ho aperto una partita iva, mi sono fatto crescere la barba, ho iniziato a ordinare solo Ribolla gialla. Non è servito a niente. Sono rimasto giovane. E gli altri continuano a ricordarmelo. Nelle statistiche, nei discorsi politici, nei servizi del telegiornale, sul lavoro.

Specialmente sul lavoro. Se ne accorgono. Mi sgamano subito. Me lo leggono in faccia. “Ma lei è giovane”, dicono. E il tono è sempre di chi ha scoperto la magagna. Allora io abbasso lo sguardo e dico, sì. Mi scusi. Sì. Ma non è colpa mia...


Non è colpa mia se sono nato in un paese dove essere giovani è una malattia. Una di quelle degenerative che inizia lenta e poi finisce per condizionare tutti gli aspetti della tua vita.

E come ogni buon appestato vieni allontanato, isolato. Pranzi eternamente al tavolo dei piccoli, mentre a quello principale vengono prese le decisioni anche sul tuo conto. E per scappare da quel tavolino devi scannarti, fare la pelle ad altri giovani. Raccontarti che sei felice, che è la vita che vuoi. Lavorare sodo e spaccarti la schiena per cercare di non essere più te.
Perché essere giovane in Italia è un marchio d'infamia. E dove da altre parti significa opportunità, qui da noi vuol dire solo inesperienza, incompetenza, inaffidabilità. Soprattutto significa che devi tapparti quella cazzo di bocca. Che non mi fido, che non ti credo, che non ti pago perché è da poco che stai su questo pianeta. Perché ai miei occhi sei giovane adesso e lo sarai per sempre. E io mi sentirò per sempre in diritto di sottovalutarti.
Diventare giovani in Italia vuol dire entrare a far parte di una minoranza. Una minoranza a cui nessuno deve niente e che si deve guadagnare tutto. Una minoranza che, soprattutto, non può lamentarsi, non può alzare la voce, esprimere dissenso, protestare. Perché a quel punto diventa disubbidiente e antagonista, o capricciosa e supponente.

Una minoranza che dal pantano ci deve uscire da sola, perché se ce l'ho fatta io ai miei tempi, puoi farcela anche tu senza che ti debba tendere la mano.
Anche se sono proprio qui davanti a te.
Essere giovani in Italia vuol dire essere soli. I giornali, la tv, la politica, la cultura, la fede, nessuno parla più con te. Ogni tanto lo fa la pubblicità, ma è solo per venderti stronzate che comunque non ti puoi permettere.


Così tu vaghi, in un limbo che non finisce, perché nessuno ha interesse che finisca, usando i tuoi anni migliori per scappare il più veloce possibile lontano dai tuoi anni migliori. E intanto guardi tutti i tuoi coetanei che cercano di lavarsi di dosso la giovinezza il più in fretta possibile, seguendo il dito puntato dai propri genitori e finendo col farsi maciullare dalle ruote dentate di un'istruzione, di un mondo del lavoro, di una società che non ci vuole e, pare, non ci vorrà mai. Una società che ha perfino smesso di fingere di temerci, che adesso ci usa e basta. Che stabilisce la tua professionalità contando il numero di tatuaggi visibili e non perde occasione per disprezzare l'iniziativa, scoraggiare il nuovo, mortificare l'impegno.
Una società che, contemporaneamente, fa di tutto per ricacciarti dentro la giovinezza. 

Togliendoti il posto fisso, la pensione, la casa, il futuro. Stabilendo che i sessanta sono i nuovi quaranta. Che non è il caso di preoccuparsi. Che vai alla grande. Che sei ancora abbastanza giovane per fare sacrifici, per rinunciare alla stabilità, per preferire il presente al futuro, l'esperienza al guadagno, per pigliare un po' meno soldi di quelli che ti meriti. Per non lamentarti.
E allora non prenderla troppo sul serio questa vita. Non pensare, non agire, stai zitto, stringi i denti, adattati, incastrati dove puoi. Anche perché, detto fra noi, non c'è più spazio. E dove ti mettiamo? Dai, sii serio. Rimani giovane per tutto il tempo che vuoi e poi, fai un favore a tutti quanti, muorici pure giovane. Anche a sessant'anni, anche a settanta, non importa, schiatta giovane coi tuoi sogni ancora da realizzare, con il libro da scrivere, la mostra da inaugurare, la startup da far partire, aspettando un turno che non arriverà mai perché non esiste.
Credici ancora un po', spremiti ancora un po'. Forse un altro paio d'anni. Sì un altro paio d'anni e ti faremo partecipare. Un altro paio d'anni e forse chiederemo il tuo parere.
Ma intanto che aspetti, per favore un caffè.
Dai, rapido.
Che.
Sei.
Giovane.

Nicolò Targhetta
Fonte: www.facebook.com



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