Un eccezionale rinvenimento archeologico, a lungo desiderato dalla comunità scientifica e, in particolare, dagli studiosi della cultura basca, ha finalmente fornito nuovi straordinari dati per sciogliere gli enigmi del “popolo più antico d’Europa”.
La scoperta è avvenuta a Monte Irulegi (o “Irulegui”), appena 10km fuori Pamplona, la Città dei Tori, capoluogo della Comunità Autonoma di Navarra, nel nord-est della Spagna. Questa regione è parte della Euskal Herria, un’area dei Pirenei a cavallo tra Spagna e Francia, da sempre patria di un popolo rude e focoso, dal linguaggio arcaico e incomprensibile: i Baschi.
“Da sempre” in senso letterale, come avremo modo di vedere più avanti.
Il sito di Irulegi è indagato dal 2018 per conto della Sociedad de Ciencias Aranzadi, es i compone di un antico insediamento dei Vascones, abitato dall’Età del Bronzo (1500 a.C.) fino al I secolo a.C., quando venne raso al suolo da Pompeo Magno (il celebre amico e poi avversario di Giulio Cesare) ...
Qui nel giugno 2021, indagando i resti crollati e carbonizzati di alcune case, l’archeologa e architetto Leire Malkorra ha dissotterrato l’ormai famosa “Mano di Irulegi”.
Si tratta di una lamina di bronzo a forma di mano, di 14,3 x 12,8cm e di un millimetro circa di spessore, dal peso di 35,9 grammi. Inizialmente, pur colpendo i ricercatori per la sua curiosa forma, non venne correttamente interpretata e fu descritta come un semplice “frammento di un elmo”. Sei mesi più tardi però, nel gennaio 2022, le operazioni di pulizia dei reperti portarono al riesame della lamina e vi si scoprì un’incredibile iscrizione in una lingua sconosciuta. Immediatamente essa venne sottoposta all’attenzione degli specialisti di tutta la nazione, tra cui J. Velaza (professore di Filologia Latina all’Università de Barcellona) e J. Gorrochategui (professore di Filologia Indoeuropea presso l’ateneo dei Paesi Baschi).
In seguito a questi nuovi studi, essa è oggi interpretata come un amuleto che si trovava verosimilmente appeso a una porta, come suggerirebbe il suo rinvenimento tra le macerie della soglia di un’abitazione.
Ma cosa c’è scritto sulla Mano? Chi sono i Vascones a cui l’iscrizione è attribuita? E perché Pompeo sentì il bisogno di radere al suolo questo sperduto paesino di montagna?
Questa vicenda risale al decennio 82-72 a.C., e a uno degli episodi più curiosi della storia romana: le Guerre di Sertorio. Costui, luogotenente di G. Mario, dopo la sconfitta e la morte di costui in favore Silla, che istituì la dittatura, si vide costretto alla fuga e si rifugiò presso le popolazioni lusitane, indomitamente ribelli al giogo di Roma. Sfruttando le sue grandi abilità di comando, la sua profonda conoscenza dell’esercito e il valore guerriero dei locali, divenne rapidamente capo di una grande coalizione anti-romana che sollevò mezza penisola iberica.
La sua abilità nella guerriglia rese vani per anni i tentativi di repressione del generale Q. Cecilio Metello, e solo l’intervento di un giovane Pompeo e il tradimento di alcuni suoi sottoposti portarono infine il Sertorio alla sconfitta e alla morte. Della grande alleanza iberica facevano parte anche i Vascones, che subirono perciò l’ira di Roma e la distruzione di alcuni loro abitati (ma che, comunque, rimasero ancora indipendenti per quasi un secolo).
Monte Irulegi. In primo piano il castello medievale, oltre il quale si vede
lo scavo archeologico dell’insediamento vasconico.
Credits to Sociedad de Ciencias Aranzadi
Di questo popolo parlarono nelle loro opere Plinio il Vecchio e Claudio Tolomeo, e gli studiosi sono convinti che in essi si debbano rintracciare gli antenati degli odierni Baschi.
Costoro parlano tutt’oggi una lingua, il Basco, molto diversa dallo spagnolo dal quale sono circondati, che è oggetto di studio dei linguisti.
Si tratta di una lingua non-indoeuropea, a differenza di tutte le altre lingue oggi parlate in Europa (ad eccezione dell’Ungherese, dell’Estone e del Finlandese), e non è imparentata con nessun’altra lingua viva al mondo.
La sua origine è oscura, e la sua unica parentela accertata è con l’Aquitano, una lingua morta da secoli, anch’essa parlata nei Pirenei occidentali, con la quale formerebbe la cosiddetta “famiglia Vasconica”.
Secondo alcuni studiosi, potrebbe avere delle lontane relazioni con l’Etrusco, anch’essa lingua morta e appartenente a un ceppo (le “Lingue Tirseniche”, che raggruppano l’Etrusco, il Retico e il Lemnio) privo di parentele accertate con qualsiasi altro idioma antico o moderno (curiosamente, tra le macerie che ricoprivano la Mano sono stati rinvenuti anche frammenti di ceramica etrusca).
In ogni caso, si tratterebbe di un antichissimo relitto delle lingue paleo-europee, parlate in Europa prima dell’arrivo degli Indoeuropei, avvenuto all’inizio del III millennio a.C.. Questo farebbe dei suoi parlanti il popolo più antico e longevo del continente, forse addirittura discendenti degli antichissimi uomini di Cro Magnon che 30.000 anni fa migrarono in Europa.
In questo contesto si inserisce in maniera dirompente la Mano di Irulegi.
L’iscrizione su di essa è composta di 5 parole scritte su quattro righe, per un totale di 40 caratteri. Questi appartengono all’alfabeto paleo-ispanico, un sistema di scrittura probabilmente derivato da quello fenicio e ad oggi noto solo in maniera frammentaria da alcune monete pre-romane.
Il testo quindi rappresenta di gran lunga l’esemplare più lungo noto in questi caratteri, ma la sua importanza non si ferma qui.
Secondo Velaza e Gorrochategui, sarebbe la conferma e la più antica attestazione dell’esistenza di una lingua Proto-Basca, dalla quale discenderebbe il Basco moderno. Il ponte tra le due lingue sarebbe la prima parola dell’iscrizione, unica ad oggi ad avere una traduzione. Essa dovrebbe suonare “sorioneku”, e avrebbe lo stesso significato dell’odierno “zorioneku”, ossia “buona fortuna/buon auspicio”, dalle radici zori- (“sorte”) e -on- (“buono”).
Il significato del resto dell’iscrizione è ancora oscuro, ma alcune ipotesi son state avanzate. Potrebbero essere state riconosciute una forma arcaica es- dell’avverbio basco “ze” (“non”), e una radice del verbo “egin” (“fare”). Inoltre, gli epigrafisti si aspettano che una (se non tutte) le altre parole corrispondano a nomi di divinità vasconiche o di luoghi, come sarebbe coerente trovare su di un amuleto portafortuna.
Il testo della Mano con traslitterazione. Credits to Wikipedia
Le indagini restano aperte, in attesa di nuovi dati.
Fonte: mediterraneoantico.it
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