Essere gentili con noi stessi e con gli altri è, come vedremo, oltre che una questione biologica di salute, benessere e longevità, anche una strategia evolutiva utile alla sopravvivenza dell’intero genere umano.
L'origine della gentilezza
In latino gentilis deriva da gens e indica un gruppo familiare allargato, un clan di appartenenza.
La gens nell’antica Roma era una sorta di famiglia nobile allargata con reciproci doveri di difesa e assistenza e, in mancanza di parenti prossimi, con diritto di successione ereditaria. Persino il luogo di sepoltura era condiviso.
Gentilem in latino vuol dire “appartenente alla gens”, ovvero a una famiglia aristocratica, una condizione sociale a cui corrispondevano qualità morali e attitudinali come cortesia autentica, garbo e grazia. Non solo comportamenti formali esteriori quindi, ma un vero e proprio sentimento interiore: la nobiltà d’animo capace di esprimere qualità elevate.
La gentilezza va ben oltre il significato comune di buona educazione. È un valore sociale di fondamentale importanza, che crea senso di appartenenza senza alcun bisogno di ricorrere a una comunicazione verbale violenta, di creare competizione o di farsi dei nemici, di far leva su istinti primari, paure e ferite emotive ...
Appartenere alla gente, infatti, è un processo inclusivo i cui elementi caratteristici sono empatia, cortesia, amorevolezza e spirito di servizio.
Essere “gentili” quindi richiede e presuppone tutt’oggi una nobiltà d’animo capace di esprimere quel senso di appartenenza fondato su mutuo riconoscimento, rispetto e cura benevola.
La gentilezza, come principio sociale indispensabile e imprescindibile, dovrebbe essere alla base di qualunque rapporto tra gli esseri umani, perché possano relazionarsi nella maniera più utile, fraterna ed elevata possibile.
Il seme della gentilezza autentica, come il fiore di loto, ha il potere di crescere e sbocciare anche nel fango.
Il vero cambiamento inizia sempre attraverso piccoli gesti: niente è più immenso del minuscolo seme di un pensiero gentile. Un pensiero gentile che, con il suo potere evolutivo, goccia dopo goccia, scava anche la più dura delle rocce, quella dell’odio.
Non priviamoci dunque della soddisfazione di rispondere con gentilezza alla paura, allo sgarbo, alla vendetta, al sopruso, all’ignoranza, alla violenza, al rancore. Anche per una questione di salute e qualità della vita.
Nell’intimità del nostro sentire potremmo iniziare con l’essere gentili con noi stessi.
Gentilezza ovunque
Anche nel silenzio
Tra le note dell’esistenza
Gentilezza, far bene a se stessi facendo bene agli altri.
Tutto ciò che facciamo in modo disinteressato, senza un tornaconto e col solo obiettivo di far stare bene qualcun altro è gentilezza.
Può assumere varie sfumature, a cui diamo nomi diversi. A volte è l’altruismo, altre la compassione, spesso l’empatia, la gratitudine, la generosità.
Tutte forme diverse di uno stesso sentimento di amore verso gli altri, che ci spinge a compiere delle azioni per il piacere di farlo, senza chiedere nulla in cambio.
Lo facciamo tutti, anche quando ci sembra di essere troppo presi dai nostri bisogni per prestare attenzione a quelli degli altri.
Lo facciamo a piccole dosi, in eventi trascurabili della nostra giornata, eppure più spesso di quanto non appaia a noi stessi. E ogni volta c’è qualcuno che sorride per quella nostra generosità, qualcuno a cui abbiamo fatto del bene o a cui abbiamo trasmesso un’emozione positiva senza aspettarci alcuna contropartita.
È un tratto profondo dell’essere umano, utile all’evoluzione perché favorisce la creazione di legami sociali e spinge alla collaborazione, rendendo gli individui più disponibili a cedere un pezzo del loro egoismo per costruire qualcosa insieme agli altri.
Dai piccoli gesti alle grandi iniziative di solidarietà, la gentilezza è il modo migliore che abbiamo per entrare in relazione con gli altri, per comunicare, per risolvere problemi e realizzare obiettivi. Ed è un concetto ampio, come dicevamo, che include in sé tante sfumature ma parte dallo stesso spontaneo desiderio di volere il bene degli altri, sia delle persone che conosciamo, sia degli estranei, per un moto istintivo che viene dalla nostra umanità più profonda.
Tutto l’insieme di valori e strumenti che presentiamo in questo libro come strategie per proteggere la salute e favorire la longevità può essere racchiuso entro il concetto di gentilezza, anzi di “biologia della gentilezza”.
Perché si tratta di un patrimonio di risorse pratiche che chiamano in causa il nostro profondo sentire, sfuggente come lo sono le emozioni, ma che è in grado di soddisfare allo stesso tempo anche il mio bisogno, in quanto scienziata, di prove tangibili, di dati clinicamente rilevanti e solidi, di numeri e percentuali credibili.
La gentilezza, con tutte le sue declinazioni, si dimostra scientificamente valida come strumento di prevenzione, come supporto alle terapie, come veicolo di salute fisica e mentale.
Gentilezza è salute
La consapevolezza che la gentilezza e in generale i sentimenti positivi di umanità e compassione svolgono un ruolo nel migliorare la salute è diffusa già da molti anni nel mondo scientifico, ma solo in tempi più recenti si è cominciato a impiegare queste risorse attivamente, con risultati molto significativi e incoraggianti.
Nei centri di ricerca sul cancro più avanzati del mondo sono stati adottati dei protocolli di supporto psicologico ai pazienti e alle loro famiglie incentrati proprio sulla gentilezza come veicolo di vicinanza umana alle persone che affrontano la malattia.
Si è visto nel tempo che la gentilezza è un potente strumento in grado di disinnescare le emozioni negative associate alle diagnosi di cancro e al percorso delle terapie, contribuendo in alcuni casi a migliorare la risposta ai trattamenti.
Sulla base di una lunga esperienza nella ricerca e nella cura di queste malattie, scienziati provenienti da istituti diversi hanno delineato sei modalità di impiego della gentilezza nel trattamento del cancro, attivando protocolli che coinvolgono pazienti, famiglie e operatori sanitari.
Interventi basati sulla gentilezza sono stati sperimentati con successo anche nel campo delle malattie cardiovascolari. Le emozioni, innescando meccanismi di stress che influenzano il battito cardiaco e la pressione sanguigna, hanno una correlazione molto forte con questa categoria di disturbi, e la possibilità di prevenirli o migliorare le condizioni di chi già ne è affetto attraverso l’impiego di sentimenti positivi è stata un’importante intuizione della scienza.
Negli anni le conferme si sono moltiplicate, dandoci oggi la possibilità di considerare la gentilezza, insieme alla gratitudine, all’altruismo e all’empatia, come strumenti di difesa della nostra salute.
Uno studio condotto dall’Università di Harvard nel 2011 ha osservato gli effetti di un intervento di “psicologia positiva” su pazienti ospedalizzati per malattie cardiovascolari, in particolare sindrome coronarica acuta e insufficienza cardiaca.
Il protocollo d’intervento, durato otto settimane, prevedeva tre categorie di esercizi basati su gentilezza, ottimismo e gratitudine. Al termine dell’esperimento si sono registrati segnali di miglioramento nelle condizioni cliniche dei soggetti osservati, nonostante la brevità dell’intervento e la serietà della loro malattia.
In quest’ottica, sono stati condotti ulteriori studi per verificare la possibilità di impiegare la gentilezza come fattore di prevenzione delle malattie cardiovascolari e non solo come supporto alle cure dopo l’insorgenza di una patologia.
Un team di ricercatori provenienti da diverse università statunitensi ha analizzato questo possibile legame in una popolazione composta da ispanoamericani, statisticamente soggetti a un più alto rischio di eventi cardiovascolari rispetto agli individui di discendenza europea e ritenuti per questo bisognosi di un programma di interventi mirato. In particolare si è osservata l’ipertensione come indicatore di rischio, messa in relazione con i possibili effetti di un intervento di psicologia positiva.
I ricercatori hanno attivato un protocollo di interventi attraverso terapisti e operatori sociali durato otto settimane per una media di 90-120 minuti a settimana, osservando come cambiava il dato della pressione sanguigna ma anche altri indicatori quali il benessere emotivo, la serenità psicologica, l’adozione di comportamenti salutari, la presenza di marcatori d’infiammazione.
Al termine del programma, che comprendeva esercizi come riconsiderare eventi che provocano stress, compiere atti di gentilezza, esprimere gratitudine, i soggetti ipertesi presentavano livelli più bassi di pressione sanguigna e rispondevano positivamente a vari indicatori di benessere psicologico ed emotivo.
Tecniche basate su atti di gentilezza sono state usate anche come supporto alle terapie comportamentali per le persone affette da fobia sociale, un tipo di ansia che impedisce di stabilire normali relazioni sociali o affrontare certi tipi di contesti in cui è necessaria l’interazione con gli altri.
Uno studio canadese del 2015 ha analizzato una popolazione di 146 studenti universitari affetti dal disturbo, ai quali è stato sottoposto un questionario per misurare il livello di ansia sociale esperito. Le domande riguardavano l’aspetto cognitivo (ad esempio: “Mi preoccupa esprimermi per paura di apparire imbarazzante”), quello affettivo (“Mi rende nervoso avere a che fare con persone che non conosco bene”) e quello comportamentale (“Ho difficoltà a mantenere il contatto visivo con gli altri”), per stabilire il punto di partenza di ciascuno.
Ai partecipanti è stato chiesto di praticare almeno tre atti di gentilezza due giorni a settimana per un periodo di quattro settimane, definendo gli atti di gentilezza come azioni compiute a beneficio di qualcun altro senza vantaggio per sé, ma al contrario assumendosi un costo.
Alcuni esempi degli atti compiuti dai partecipanti allo studio sono stati preparare la cena per un coinquilino, falciare il prato di un vicino di casa o donare una somma in beneficenza. I soggetti sono poi stati esposti a situazioni sociali che provocano ansia, nella misura di tre al giorno per due giorni a settimana per quattro settimane.
Osservando tutti i dati raccolti, i ricercatori hanno concluso che praticare atti di gentilezza può portare a una significativa riduzione dei livelli di fobia sociale – più nello specifico abbassando il numero di occasioni in cui la persona evita una situazione per paura di provare ansia – ed è un fenomeno che permane nel tempo.
I livelli di ansia percepita sono anch’essi ridotti e questo risultato, grazie al ruolo svolto dalla gentilezza, viene raggiunto a una velocità sensibilmente maggiore rispetto alla tecnica della sola esposizione, in cui il soggetto ansioso viene invitato a immergersi in una situazione che gli crea disagio e sopportare il picco di ansia fino a che questo non decresce naturalmente.
Le reazioni positive ricevute in conseguenza di un atto di gentilezza spingono la persona a non sentire più con la stessa intensità il bisogno di evitare situazioni sociali o aspettarsi solo conseguenze negative dall’interazione con gli altri.
Focalizzarsi sul bene di qualcun altro in modo disinteressato sembra dunque avere un forte impatto sui nostri meccanismi di equilibrio emotivo, il che ne fa un potente strumento di benessere, in grado di migliorare il rapporto con gli altri e la nostra stessa salute.
Gentilezza è felicità
Nel 2018 l’Università di Oxford, nel Regno Unito, ha osservato un campione di 683 individui per indagare l’effetto della gentilezza sui livelli complessivi di felicità. Nello specifico la ricerca ha voluto mettere a confronto le conseguenze di atti di gentilezza praticati verso persone amiche con quelle di atti compiuti verso estranei.
I soggetti hanno praticato la gentilezza tutti i giorni per una settimana, al termine della quale i loro livelli di felicità sono risultati decisamente aumentati.
L’aspetto notevole è che non c’era differenza nel ruolo svolto dall’intensità dei legami, per cui atti di gentilezza compiuti verso persone amiche o estranee provocano gli stessi effetti di felicità.
La gentilezza è dunque un atto positivo in sé, che ci fa bene indipendentemente dall’identità delle persone a cui la dedichiamo.
Gentilezza è meraviglia
La violenza nasce nel nostro animo. Ogni giorno cadono piccole gocce di violenza. Una dopo l’altra.
In un mondo in cui ovunque c’è qualcosa di meraviglioso da osservare, noi siamo distratti. Distratti da vite vissute di corsa, troppo piene di stimoli, lavoro, rumori, televisione, notizie, social network, incontri, persone, pensieri.
Fare sempre. E spesso fare di corsa senza fermarsi. Non è violenza questa? Non è forse questo il terreno in cui cresce il seme della violenza?
Eppure basterebbe così poco. Basterebbe un po’ di meraviglia. Perché siamo circondati da un miracolo costante.
In pochi si concedono del tempo per stare in silenzio ad ascoltare. Ascoltare e sentire. Concedersi il privilegio di trovare degli spazi liberi per guardare i fiori. Il miracolo dei fiori.
La gentilezza ferma il mondo.
E ci fa respirare.
Ricordare.
Che i fiori crescono ancora ovunque.
Bisognerebbe osservare il mondo e la vita liberi dal nostro sapere. Senza giudizi, pregiudizi, concetti, idee, pensieri, desideri.
Diventare di nuovo bambini e guardare con occhi limpidi e puri, con la stessa meraviglia di quando i piccoli vedono le cose per la prima volta.
Avete mai visto la reazione dei bambini che scoprono la pioggia, o l’esistenza della loro ombra? Che lusso vivere con quella meraviglia sempre. Meraviglia e gentilezza. Basterebbero anche solo queste due cose nella vita.
Essere bambino in ogni momento è una scelta che va ripetuta costantemente, perché i nostri occhi, in ogni istante, accumulano polvere. Dobbiamo ricordare sempre di pulirli. Non possiamo pretendere che restino puri se non facciamo nulla.
Il semplice passare del tempo li sporca, li offusca: non dipende dal fatto che abbiamo commesso qualcosa di sbagliato. Ma non basta chiudere una casa affinché non si sporchi. La polvere si depositerà comunque.
Ricordiamoci di ripulire sempre i nostri occhi, con gentilezza, per guardare il mondo con la purezza di un bambino.
Fonte: www.macrolibrarsi.it
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