venerdì 28 dicembre 2018

ORTORESSIA: come la psichiatria imprigiona la libertà di pensiero

di Carla Sale Musio (LINK)

Si chiama ortoressia l’etichetta che demonizza chi sceglie un regime alimentare diverso da quello della maggioranza.

Grazie a un’accurata descrizione di sintomi e a un corollario ben orchestrato di spiegazioni scientifiche, la psichiatria questa volta mette alla gogna gli spiriti liberi e responsabili.

Un tempo esisteva il disturbo ossessivo compulsivo e da solo bastava a indicare la sofferenza psicologica derivante dal sentirsi costretti a compiere più volte al giorno una serie di azioni stereotipate, vissute come indispensabili per raggiungere la sensazione interiore di vivere in pace con se stessi.

Oggi alla diagnostica tradizionale si è aggiunta una perversione nuova volta a discriminare chi sceglie di occuparsi in prima persona della propria alimentazione e invece di seguire il branco si impegna ogni giorno a selezionare il proprio menù seguendo un criterio salutista fatto di scelte accurate e, ahimè… controcorrente...


Si potrebbe discutere a lungo sull’utilità di trovare definizioni psichiatriche alla sofferenza psicologica, ma qui voglio soltanto sottolineare in che modo il demone della patologia sia stato costruito ad arte per comporre un quadro diagnostico funzionale agli interessi delle case farmaceutiche e alla necessità di plasmare la nostra psiche rendendola schiava di esigenze che hanno ben poco a che vedere con il benessere e con la salute.

Occuparsi della propria alimentazione in modo attento e consapevole dovrebbe essere per tutti un dovere imprescindibile, necessario a condurre una vita sana e soddisfacente.

Tuttavia, la nosografia psichiatrica è riuscita a trasformare un gesto di responsabilità e di partecipazione civile in una psicopatologia da contrastare grazie al meticoloso utilizzo di farmaci, ricoveri e psicoterapia.

Chi ne risulta affetto se la dovrà vedere davanti a un giudizio sociale colpevolizzante, omologato e crudele, rischiando di portare per sempre le stimmate della malattia mentale e dell’emarginazione.
Infatti, è proprio la preoccupazione per la salute e per le scelte nutrizionali che la sottendono ad essere finita questa volta nel mirino degli psichiatri.
Non serve opporsi e dichiarare il bisogno di controllare una cultura gastronomica sempre più distante dalle necessità della sopravvivenza e incentivata da esigenze commerciali.

Passare troppo tempo a esaminare le etichette dei prodotti alimentari, rifiutarsi di bere e mangiare cibi carichi di tossicità o di violenza, evitare di partecipare a riunioni goliardiche incentrate sul consumo smodato di alimenti malsani… non è il segnale di un comportamento responsabile e maturo.
Al contrario: è un sintomo da curare!

E protestare non servirà, perché chi si trova dalla parte GIUSTA della scrivania tiene il coltello per il manico.

Contrastare il verdetto degli psichiatri, infatti, è considerato sintomo di una patologica resistenza ad accettare la diagnosi.

Ecco quindi che tante persone in lotta con l’avvelenamento nascosto dietro alla vendita degli alimenti, dovranno prestare attenzione a ciò che dicono e a ciò che fanno.
Pena: un ricovero coatto e una cura farmacologica capace di ricondurli alla ragione.

E chi ancora insiste a non seguire la dieta prescelta dalla maggioranza se la dovrà vedere con l’emarginazione riservata a quelli che hanno qualche rotella fuori posto.
Le scelte alimentari vanno bene solo nel range indicato dalle statistiche, quello incentivato dalla pubblicità e dai mass media e finalizzato a tenerci cronicamente dipendenti dalle medicine.
In questo modo le case farmaceutiche possono continuare a garantirsi i loro lauti guadagni.
La cura è quella degli interessi economici e la salute è quella che li incrementa con regolarità.

L’obbiettivo della scienza medica non è il benessere delle persone ma la longevità delle malattie, funzionale alla vendita di pillole sempre diverse e alla creazione di una popolazione cronicamente bisognosa di terapie.

In questo scenario il cibo e la dipendenza che ne deriva sono strumenti potenti ed efficaci per assicurarsi il mercato del farmaco e, come dimostrano le tante ricerche su questi argomenti, non servono persone armate di spirito critico, di consapevolezza, di interesse e di curiosità.
Occorre piuttosto una massa gregaria di consumatori diligenti, pronti a banchettare senza chiedersi perché e senza alcun desiderio di indagare le conseguenze delle proprie scelte alimentari.

Per chi si ribella è arrivata l’ortoressia a dimostrare che la coscienza non è necessaria e che la salute non corrisponde al benessere individuale, perché gli sforzi volti a costruire la consapevolezza sono diventati una patologia con tanto di timbro e di ricetta medica.

Nel mondo dell’economia non c’è posto per le menti consapevoli: è auspicabile la lobotomia.
Ma negli anni duemila il bisturi non serve più, i manicomi sono stati chiusi e al posto delle prigioni abbiamo la diagnostica psichiatrica, l’omologazione e l’emarginazione.

3 commenti:

  1. Quando si mangia si dovrebbe estromettere la componente mentale del corpo, e lasciare che sia l'intelligenza profonda del corpo stesso a decidere la quantità, la qualità e la tipologia di alimenti richiesti. E' un processo che avviene un po' per volta, ma prima o poi si giunge ad uno stile alimentare ideale e compatibile con le esigenze del proprio corpo. L'alimentazione è una questione molto personale, e il fatto stesso di schematizzarla riflette una predominanza della mente a compartimenti stagni(dire anche stagnanti, prendendo in considerazione la monotonia che caratterizza il labirinto delle credenze convenzionali). Il miglior modo è proprio quello di stare alla larga dalla psichiatria o da qualunque forma di strizzacervelli (ho sperimentato direttamente le sedute di psicoterapia: sono troppo distanti dalle problematiche dei pazienti in quanto non le vivono in prima persona, vivono in un mondo tutto loro composto da argomentazioni troppo cervellotiche). La responsabilità va ripartita in ambo le parti: da una parte c'è tutto il network di psichiatri dell'alimentazione, esperti alimentari, dietisti, nutrizionisti i quali non per forza di cose siano in larga maggioranza in malafede, dall'altra parte c'è l'enorme serbatoio rappresentato da coloro che decidono (o si fanno decidere in quanto non padroni delle proprie scelte di vita, anche quelle inerenti al proprio stile nutritivo) di sottoporsi ai consiglieri (talvolta anche giudici morali) della nutrizione. Comunque di solito per quel che sono riuscito a notare, non è che se si viene etichettati come "affetti da un disturbo alimentare di origine mentale" che sfocia a sua volta nel cibo se una persona si discosta dai confini che sono stati tratteggiati dalla psichiatria, si rischiano chissà quali conseguenze, forse una cosa alla quale molti dovrebbero "mettersi a dieta" è proprio la tendenza ad affidarsi ai professori, ai luminari, agli esperti i quali i soldi li conoscono abbastanza bene. Affidarsi e ascoltare il proprio corpo, tutto li, è cosi semplice, finchè la gente non riuscirà a colmare il gap, tra la falsa dicotomia mente-corpo, finchè le persone saranno identificate nella propria mente, vivendo all'interno della propria mente facendosi trascinare dai loro contenuti e dai loro grovigli, escludendo i processi nascosti (inascoltati) racchiusi all'interno del corpo umano, continueranno ad mettere sé stessi e le loro problematiche a disposizione dell'esperto di turno, al pari di una cavia da laboratorio.

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  2. Un soggetto che fa uso di un tipo di alimentazione equilibrata e corretta non solo non ha bisogno di nessun tipo di cura,ma al contrario proprio perché è una persona intelligente che ha a cuore il proprio benessere psicofisico è sicuramente da ammirare e da prendere come esempio da seguire.Per il resto,secondo il mio punto di vista,l*articolo in questione è solo e soltanto aria fritta e purtroppo è anche intriso di tanta ignoranza scientifica.Emilio

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    1. Questa è la psichiatria, cretina fin da subito, NEGRITUDINE E DRAPETOMANIA.

      Sul logo dell'Associazione Psichiatrica Americana figura l'effige di Benjamin Rush, considerato a ragione il padre della moderna psichiatria. Questo individuo “scopri” che tutti i neri sono malati di NEGRITUDINE, una malattia affine alla lebbra che li rende degli esseri inferiori.
      Un suo collega, Samuel Cartwright invece scopri che i neri che tentano di scappare dalla schiavitù hanno un disturbo mentale detto DRAPETOMANIA.
      Trovò anche la cura per questa sindrome frequenti frustate.

      Gianni

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