domenica 19 febbraio 2023

Quando l’uomo aveva 48 cromosomi

 di Alessandro Tavecchio 
(08/06/2013)

Se, al giorno d’oggi, dovessi per caso dire che l’uomo ha quarantotto cromosomi, le fiere dell’inferno si abbatterebbero su di me: orde di biologi farebbero la fila per insultarmi e fustigarmi di fronte ad un così macroscopico errore. 

Del resto sin da quando si è bimbi si insegna, quasi fosse una filastrocca, che di cromosomi se ne ricevono ventitré dal papino, e ventitré dalla mamma: 23 a coppie, per un totale di 46. 

Poi non sono veramente convinto che la gente abbia un’idea chiara di cosa sia un cromosoma, considerato che la maggioranza degli italiani non sa se è più grande un protone o un elettrone, ma sono ben convinto che se scrivessi qui che l’uomo ha quarantotto cromosomi, il mio pubblico, composto perlopiù da gente più istruita della media oltre che da mia mamma (ciao mamma!), si fionderebbe nei commenti a segnalare il terribile errore.

Quello che però difficilmente questi saccenti arrabbiati tengono presente è che fino agli anni ‘50 la quasi totalità della comunità scientifica era pressoché certa che l’uomo di cromosomi ne aveva quarantotto, ventiquattro coppie ... 


Se non avete idea su cosa sia un cromosoma, e come abbiamo scoperto che i geni stanno sui cromosomi, e come la genetica è stata rimessa assieme alla teoria dell’evoluzione, date un occhio al mio articolo sull’eclissi del darwinismo; forse non vi chiarirà tutti i dubbi, ma almeno avete un idea dello sfondo storico, quasi contemporaneo alla storia che vi sto per raccontare, con cui spero di battere in saccenteria i saccenti arrabbiati.

Non mi pare di aver mai definito che cosa sia un cromosoma nell’articolo precedente, e non lo farò neanche adesso: in fondo, i ricercatori degli anni ’20 non avevano una chiara idea di quello che era o non era un cromosoma, e non vedo perché voi dovreste avere un vantaggio.

L’unica cosa che dovreste avere è la vaga idea che il cromosoma è fatto di DNA arrotolato su se stesso, e che i cromosomi appaiono come bastoncini colorati (cromo-somi, corpi colorati, come vuole il nome stesso) solo poco prima della divisione cellulare. Per vedere i cromosomi bisogna beccare le cellule nel momento giusto, quando tutto il DNA è impacchettato nel suo bastoncino.

A destra: Un cariotipo umano, cioè la compilation dei cromosomi che vi portate a spasso. Questa foto è un collage del 1979, dopo l’introduzione della colchichina (Photocredits: T. C. Hsu)

Questa è una sfida tecnica non indifferente, perché in una cellula morente i cromosomi si fondono e si rompono in allegria. Per beccare per bene i cromosomi servivano quindi cellule fresche, e possibilmente con poco altro oltre al DNA di modo che nulla interferisse con l’osservazione. E siccome i metodi di colorazione che cromavano i cromosomi non erano esattamente massimo della precisione era anche bene avere una grande quantità di queste cellule, sicché almeno qualcuna sui prendesse la cellula giusta al momento giusto.

In pratica, servivano montagne di testicoli.

Johannes Friedrich Miescher a metà del 1800 aveva scoperto il DNA (o come la chiamava lui, la nucleina) nello sperma di salmone, e da allora si sapeva che gli spermatozoi contenevano DNA in abbondanza, e poco altro che sporcasse i risultati. Ma per i cromosomi gli spermatozoi non andavano bene: gli spermatozoi non si dividono, e quindi il Dna non si avvolge mai su sé stesso a formare cromosomi, e in più gli spermatozoi portano solo metà del corredo cromosomico. L’ideale erano quindi le cellule progenitrici degli spermatozoi, che si dividono costantemente per mitosi e si trovano nei testicoli.

Ma, agli inizi del novecento, ottenere una quantità considerevole di testicoli umani freschi era una cosa alquanto difficile. Non esisteva l’idea di donare il corpo alla scienza, i taboo sull’integrità del corpo al momento della sepoltura erano molto più forti, e, un po’ come gli anatomisti del rinascimento che saccheggiavano i cadaveri, i biologi disperati dovevano accontentarsi delle gonadi dei condannati a morte, correndo a prelevarli dai cadaveri ancora caldi.

D’altro canto, ottenere testicoli di scimmie varie era ben più semplice: la quantità di primati uccisi agli inizi del novecento non ha veramente pari nella storia: si uccidevano per sport, per farne trofei, per imperizia, intrappolandoli in zoo incapaci di prendersi cura di loro, per il gusto di provare un nuovo tipo di carne esotica… 

Con tutta questa abbondanza di testicoli freschi, negli anni 20 del 1900 era chiaro agli scienziati che scimpanzé, oranghi e gorilla avevano 48 cromosomi, mentre la situazione nell’uomo era molto più indefinita. 

Le stime più conservative dicevano 16 cromosomi; altri sostenevano che fossero più di 50, sostenendo che era impossibile che l’uomo, apice della creazione, potesse avere meno cromosomi degli altri primati; alcuni simpaticoni pensavano che le discrepanze fossero spiegabili dal fatto che le diverse razze umane avessero un diverso numero di cromosomi (e mi sembra inutile specificare che secondo costoro gli scimmieschi neri avessero meno cromosomi degli asiatici, che a loro volta mancavano dei talenti genetici riservati agli evolutissimi bianchi europei).

A fare chiarezza su questo sfondo arriverà nel 1923 uno studio che sarà considerato lo stato dell’arte per quasi un quarto di secolo, con la firma di un biologo texano che rispondeva al nome di Teophilus Painter. Painter, come tutti i genetisti che valevano qualcosa al tempo, aveva lavorato sul migliore amico dell’uomo, il moscerino della frutta, e aveva scoperto nelle sue ghiandole salivari i cosiddetti cromosomi politenici, gargantueschi cromosomi in plurime coppie incatenate tra loro, che semplificarono di molto la vita ai genetisti suoi successori. 

Painter era però deciso a chiarire una volta per tutte la questione sul numero di cromosomi umani

Così, per assicurarsi un flusso costante di testicoli freschi si rivolse ad un suo ex studente, che al tempo lavorava in un manicomio. Invece di piegarsi ai tempi casuali della giustizia, Teophilus poteva avere a intervalli regolari i testicoli “scartati” dalle castrature degli internati, tristemente e spaventosamente comuni a quei tempi.

A sinistra: queste erano le piastre migliori che Theophilus riusciva a tirare fuori dalle sue spremute di cromosomi. Vi sfido a capire esattamente quanti siano, e quali siano uguali a due a due. (Photocredits: Nature Genetics)

Nonostante le copiose materie prime, Teophilus non riusciva a decidere con certezza se i cromosomi fossero 46 o 48: dopo aver tergiversato alla ricerca di osservazioni migliori, forse per paura che qualcuno gli soffiasse la scoperta, pubblicò il suo studio tirando ad indovinare: e siccome i cromosomi nei nostri cugini più prossimi erano 48, decise che gli esseri umani ne avevano altrettanto.

Painter, purtroppo per lui, aveva torto: ma dal 1923 al 1955, quando con l’introduzione della colchicina e di migliori microscopi si scoprì l’errore, tutti erano convinti che 48 fosse il magico numero di cromosomi umani; e che non potesse essere diversamente. 

Del resto, se tutti i nostri cugini più stretti avevano 48 cromosomi, era ragionevole credere che l’antenato comune di tutte le scimmie avesse 48 cromosomi. Come si poteva passare da 48 a 46 cromosomi ? Gli ibridi sono quasi sempre sterili proprio perché il numero di cromosomi è sbagliato: non si riescono a separare correttamente i cromosomi durante la formazione di uova e spermatozoi, e quando si incontrano con con spermatozoi o uova sane questi spesso la fusione non avviene, o lo zigote muore immediatamente dopo. 

Non solo: negli anni 40 cominciava ad essere chiaro che certe malattie, come la sindrome di Down o di Turner, erano dovute a cromosomi extra o in meno del normale.
Anche ammettendo che per un caso fortuito, saltasse fuori dal nulla un primo mutante con 46 cromosomi invece che 48, e che non avesse malattie o problemi che interferissero con la sua sopravvivenza, non avrebbe comunque potuto produrre prole fertile, e quindi propagare i suoi geni.

Eppure oggi sappiamo con certezza che l’uomo ha 46 cromosomi, e il nostro antenato comune con gli scimpanzé 48. Come lo spieghiamo?

Andiamo indietro un milione di anni, ad un periodo in cui gli umani (o proto-umani, se preferite), avevano 48 cromosomi. 

In un fortunato uomo o donna, quelli che erano i cromosomi 12 e 13 (e che sono ancora i cromosomi 12 e 13 negli scimpanzé) si intrecciarono tra loro alle estremità. Così incastrati, finirono insieme in uno spermatozoo o un uovo, formando per la prima volta quello che oggi chiamiamo cromosoma umano numero due. Questo tipo di fusione delle estremità non è raro come si potrebbe credere: capita in media ad una persona su mille, quasi sempre senza ripercussione per la sua salute, perché nelle estremità dei cromosomi non ci sono geni.

Ok, abbiamo quindi un proto-umano con 47 cromosomi invece di 48. Non è ancora abbastanza. Innanzitutto ha bisogno di perdere un altro cromosoma, e, in secondo luogo, deve trovare il modo di spargere in giro i suoi geni, senza ibridizzarsi con proto-umani-48, generando prole sterile.

Diamo un nome, per comodità, a questo proto-umano: il cliché vorrebbe che lo chiamassi Adamo, ma dal momento che questo proto-umano doveva essere molto poco convenzionale, per l’occasione lo battezzeremo Kurt.

Quando Kurt fa gli spermatozoi, il suo corpo deve decidere come dividere 3 cromosomi (invece che quattro), in due cellule. Se Kurt ha un cromosoma 12 normale, un 13 normale, e un fuso 12-13, le combinazioni possibili sono 3:
(12) – (13 , 12-13)
(13) – (12, 12-13)
(12-13) – (12, 13)

Le prime quattro cellule che escono dalle combinazioni qui sopra o mancano di un cromosoma, o ne hanno un duplicato; il che significa che sono praticamente sempre letali per l’embrione che possono generare. Gli ultimi due, invece, hanno la quantità di DNA giusta, ma solo lo spermatozoo (12-13) passa la fusione alla generazione successiva.
Non proprio il massimo per il giovane Kurt, che ha solo 1/6 di probabilità di passare la sua fusione speciale.

Quello di cui Kurt ha bisogno è una compagna altrettanto “particolare”, che condivida con lui la fusione (12-13). Chiameremo questa anima gemella Curtney . Senza dubbio vi sembrerà assolutamente improbabile che queste due anime gemelle con esattamente la stessa rarissima fusione si incrocino (in entrambi i sensi), improbabile come trovare la perfetta anima gemella nel mondo reale. Ma il problema sorge solo quando vostro padre v’impone l’esogamia: se diamo per ipotesi che Kurt e Curtney siano fratello e sorella, c’è il 50% di probabilità che abbiano esattamente la stessa fusione. Era tutto molto più comodo quando la tua anima gemella poteva essere il tuo gemello eterozigote.

Ovviamente non c’è assoluto bisogno di incesto fratello-sorella: basta che il gruppo sia sufficientemente piccolo, con incroci tra inincroci tra cugini ed endogamia varia, e le probabilità di un incrocio simile crescono rapidamente. Era più o meno la condizione standard delle comunità pre-umane primitive, oltre che di certe comunità moderne, come alcuni gruppi di Mormoni.


Il frutto dell’amore non-proprio-del-tutto-proibito tra Kurt e Curtney ha, a questo punto, buone probabilità di avere una doppia fusione, e raggiungere il magico numero di 46 cromosomi. 

Con questo numero magico, non c’è nessun problema di divisione disuguale: tutte le uova o gli spermatozoi formati sono accettabili e fertili: ci sono sempre tutte le istruzioni per formare un essere umano completo, sono solo impaginate diversamente. E quindi tutti i nipotini e le nipotine di Kurt e Curtney, con i loro 46 cromosomi, rimangono fertili e in salute. Impregnandosi tra loro e con la generazione precedente, in cui c’è tanta gente con 47 cromosomi, nel giro di qualche generazione la norma può smettere di essere 48, e diventare 46.

“Bah, tutta teoria e condizionali”, direbbe sicuramente un amichevole creazionista di quartiere. “ Puoi anche farmi vedere con le sequenze di DNA affiancate che il cromosoma umano numero due è uguale alla fusione del 12 e 13 degli Scimpanzé, ma non hai assolutamente nessun modo di dimostrarmi che la storiella che mi racconti può succedere nel mondo reale: è plausibile, ma niente più. Non c’è nessuna prova provata, sono solo favole “.

A destra: il cariotipo dell’uomo-44. I cromosomi 15 sono cospicui nella loro assenza.
(Photocredits: The Tech via Stanford University)

L’amichevole creazionista di quartiere ha, non sorprendentemente, ancora una volta torto, grazie ad un famiglia cinese i cui membri si vogliono molto bene. 

Sebbene il suo albero genealogico sia costellato da aborti spontanei e in incroci, questo venticinquenne cinese è perfettamente sano pur avendo una fusione di tutte e due le coppie di cromosomi 15 e 16. Il che significa che ha 44 cromosomi e nessun problema riproduttivo. 

Il povero Theophilus non aveva torto, era solo in ritardo di una decina di milioni di anni.

Fonte: prosopopea.com/2013

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