domenica 24 aprile 2022

Democrazia?

Siamo tutti vivamente convinti di vivere in un sistema democratico. Tanto sono riusciti a fare decenni di propaganda in questo senso. Spesso sentiamo espressioni come “difendere i valori democratici”, “indire elezioni democratiche”, “sistema democratico di voto”, “paesi democratici” e così via.

Ma viviamo davvero in paesi democratici? 

A pensarci bene la risposta è tanto immediata quanto ovvia. Democrazia significa governo del popolo, come tutti sanno. Tuttavia nei nostri sistemi a governare non è il popolo. Il popolo elegge chi dovrebbe governare. Ma questo non è governare, è soltanto scegliere chi debba farlo. Quindi la nostra non è democrazia.

Nella Grecia Antica, dove nacque questa espressione, a governare era davvero il popolo, per come il greco dell'epoca lo intendeva, cioè escludendone le donne e gli schiavi. Questo “popolo” poteva decidere sui temi di interesse generale e votare su tutte le questioni. Al di là del significato, per noi oggi molto discutibile, che si attribuiva alla parola “popolo” c'è da dire che per i greci una cosa era abbastanza chiara. Governa chi esercita effettivamente il potere di scelta su questioni che riguardano tutta la comunità, “di interesse nazionale”, diremmo noi oggi.

Noi non esercitiamo questa scelta. L'unica scelta è quella di mettere una croce su un simbolo ogni cinque anni. E questo non vuol dire decidere un bel niente. Quando votiamo non decidiamo quale debba essere il sistema sanitario del nostro paese, né l'atteggiamento da avere in politica estera e nemmeno la tipologia di prelievo fiscale....


Una certa pubblicistica si è lamentata di questo sistema politico (cioè della democrazia vera e propria, il governo del popolo) perché a suo dire non potrebbe funzionare nelle nazioni moderne che contano milioni di abitanti. A questa obiezione risponderemo altrove. 

Per ora basti sapere che, anche se fosse vero ciò, e nulla può dimostrarci chiaramente che lo sia se non un esperimento pratico finora mai avvenuto, questa obiezione non prova la validità dell'alternativa che essi propongono. Costoro sostengono che, per ovviare ai problemi logistici che renderebbero impossibile l'esercizio della democrazia “diretta”, (come chiamano la vera democrazia) si eleggono dei deputati che dovrebbero rappresentare l'opinione o la tendenza politica di coloro che li hanno eletti. Così gli elettori di sinistra eleggono parlamentari di sinistra, quelli di destra parlamentari di destra, e quelli di centro parlamentari di centro. Gli eletti a questo punto portano avanti proposte di sinistra, di destra o di centro, più o meno come farebbero coloro che li hanno eletti.

Tuttavia, come tutti sappiamo, anche se non vogliamo sempre ammetterlo, questo è vero solo in teoria. Ci sono molte cose che potrebbero impedire agli eletti di rappresentare realmente la volontà degli elettori.

Un primo ostacolo è la corruzione 

Se io governo direttamente sono responsabile delle mie scelte e non posso lamentarmi se commetto un errore se non con me stesso. In una democrazia vera se il popolo sbaglia la colpa è soltanto del popolo. Ma se a governare è qualcun altro cui io ho dato la mia fiducia, non sono sicuro che questi rispetterà la mia volontà. Costui potrebbe essere corrotto per sostenere politiche che io che l'ho eletto non approvo. Si potrebbe obiettare che in questo caso io avrei a disposizione il voto per costringerlo a rispettare la mia volontà o per sostituire chi è stato corrotto. Inoltre la corruzione è un reato e viene punito. Questo, sempre in teoria, dovrebbe limitare al minimo la corruzione. In pratica non la scalfisce nemmeno.

Innanzitutto perché io posso votare solo una volta ogni cinque anni. Quindi non solo non posso esercitare direttamente il diritto di governare, ma non ho nemmeno un controllo diretto e continuo su chi è incaricato di governare. Se per cinque anni il popolo non può far niente nel caso in cui i propri governanti lo tradiscano il potere di controllo è molto aleatorio, in cinque anni possono accadere molte cose. Inoltre non è detto che io venga a sapere della corruzione di un deputato. Se fossi io a governare conoscerei il modo in cui lo faccio ma se a farlo è qualcun altro io non posso sapere con sicurezza cosa sta facendo realmente e può darsi che quando me ne accorgerò, se me ne accorgerò, sarà troppo tardi. 

Ma anche ammettendo che la cosiddetta “arma del voto” sia efficace nel controllare gli eletti, anche ammettendo che io venga a conoscenza del mancato rispetto della mia volontà e che alla successiva elezione io decida di non rinnovare il mandato a questi, non è detto che ciò sia effettivamente un deterrente. Un parlamentare potrebbe preferire farsi corrompere piuttosto che essere rieletto. E considerando gli interessi che spesso sono in gioco, e quindi l'alto prezzo dei corrotti, è questa un'ipotesi del tutto plausibile. Egli cercherà di non essere scoperto, ma se verrà scoperto, pazienza, avrà una bella cifra in cambio! Una cosa per cui alcuni potrebbero pensare valga la pena di rischiare la carriera politica.

Anche l'obiezione secondo cui la corruzione è reato è facile da smontare. In primo luogo perché la legge può essere aggirata e questo in particolare per casi in cui è molto difficile dimostrare che il fatto sia realmente avvenuto. Se un tizio paga in nero un deputato diventa molto difficile dimostrare che la transazione sia effettivamente avvenuta, anche perché possono essere corrotti, inoltre, coloro che dovrebbero indagare sul caso, poliziotti e magistrati.

In secondo luogo in certi casi di corruzione la legge non può far nulla semplicemente perché non li considera reato. 

Esiste una corruzione legalizzata. Le donazioni ai partiti politici avvengono quotidianamente e sono perfettamente legali. Se la donazione è abbastanza ingente, il partito politico in questione si sentirà indotto a non contrastare il proprio donatore che gli assicura un rifornimento continuo e ingente di denaro attraverso cui il partito può svolgere la propria attività (come fare campagna politica e quindi guadagnare voti e quindi vincere le elezioni). 

Questa di fatto è corruzione anche se non c'è nulla di illegale in questa pratica. È persino alla luce del sole. Negli Stati Uniti, paese in cui i candidati alla presidenza spendono cifre strabilianti durante la campagna i finanziatori e l'entità del finanziamento sono conosciuti da tutti e ampiamente diffusi dai giornali.

È ovvio che se un candidato finanziato dalla lobby del petrolio vince le elezioni, questi sarà indotto, da presidente, ad incrementare l'utilizzo di questo combustibile o quantomeno a non ridurlo, anche se chi lo ha votato può essere contrario.

Un altro modo per indurre un eletto a tradire il mandato è il ricatto. 

Una lobby può avvalersi di mille modi per ricattarlo. Può fare in modo che una sua vicenda privata imbarazzante venga resa pubblica per costringerlo alle dimissioni, oppure può influenzare il partito di cui fa parte che sarà costretto a non ricandidarlo, oppure può aprire una campagna stampa denigratoria nei suoi confronti che gli faccia perdere consenso. Tutti questi metodi sono ampiamente utilizzati nelle nostre “democrazie”.

Infine, nel caso che né la corruzione, né il ricatto si rivelino efficaci, il che non accade molto spesso, è possibile semplicemente rendere innocuo il deputato in questione. 

E cioè corrompendone o ricattandone altri. Così si può fare in modo che tutte le sue proposte vengano bocciate o accantonate e nemmeno prese in esame e quindi in sostanza eliminate. Questo è possibile farlo assicurandosi il controllo di politici in posti chiave del parlamento o di qualsiasi assemblea legislativa. È possibile, dunque, rallentare o bloccare i lavori dell'assemblea per quanto riguarda proposte di legge che non si vuole far passare.

Nei paesi capitalistici dove esistono forti interessi economici da parte di grandi compagnie internazionali questi tre strumenti sono ampiamente utilizzati. In un sistema sociale basato sul profitto privato e fortemente competitivo ognuno farà di tutto per aumentare i propri profitti e per avere la meglio sugli altri competitori. Soprattutto se un tale sistema è esteso a livello globale e dove quindi i guadagni (e le perdite) sono impressionanti.

Ma esiste tuttavia un altro modo per mandare all'aria la democrazia per delega e farla fallire così come in teoria sembra funzionare.

Ci sono due strategie di azione per chi volesse farlo: una è quella di assicurarsi il controllo sull'eletto, ed abbiamo visto come. Ma c'è un'altra strategia che consiste nel controllare chi elegge. Il popolo.

In un sistema capitalistico i grandi attori economici possiedono non solo un immenso capitale e un'immensa capacità di comprare qualunque cosa e qualunque persona, ma anche, conseguentemente, un immenso potere.
Il trucco sta quindi nell'assicurarsi il controllo di mezzi che sono in grado di esercitare un'influenza su un numero di persone elevatissimo, milioni, miliardi persino. 

Tali strumenti sono di due tipi: di natura ideologica (mezzi di comunicazione come televisioni o giornali) e di natura economico-finanziaria (grandi istituzioni economiche nazionali e internazionali e l'accesso a particolari strumenti della finanza).

Per quanto riguarda il primo tipo, che chiameremo mezzi di persuasione collettiva, è noto a tutti come i grandi gruppi economici si accaparrino il controllo di emittenti televisive o di organi della stampa. In questo modo essi possono condizionare pesantemente quella che è la percezione della realtà degli elettori. Quasi sempre i più grandi e importanti mezzi di comunicazione di una nazione, quelli che si assicurano un pubblico formato dalla quasi totalità degli elettori, sono controllati da poche grandi famiglie.

Accanto all'esaltazione della democrazia nei nostri paesi vige l'esaltazione della “libertà di stampa”. Anche la seconda, come la prima, è in realtà inesistente. È abbastanza ingenuo pensare che i giornalisti possano scrivere contro gli interessi di chi paga loro lo stipendio. È chiaro che qualora qualcuno lo facesse questi smetterebbe immediatamente di lavorare per quel dato giornale e faticherebbe alquanto a trovarne un altro che voglia rischiare di avere a che fare con quel giornalista scomodo. Sfido a trovare un giornalista che abbia mai scritto qualcosa di critico contro il padrone del giornale per cui scrive. Se c'è stato, oggi non lavora più per quel giornale.

Gli interessi delle grandi famiglie che possiedono i mezzi di comunicazione sono tutti legati, quindi sono gli stessi.

Non solo, ma esistono lobby che pure non avendo la proprietà di certi mezzi di comunicazione, ne condizionano lo stesso l'operato. Questi, così come possono influenzare fortemente la carriera di questo o di quel politico, altrettanto possono fare con questo o con quel giornalista, con questo o con quel direttore di giornale. Tutto ciò dovrebbe convincerci che la tanto sbandierata “libertà di stampa” dei paesi capitalistici non è esistita in nessun altro posto che non sia il mondo delle idee.

È facile comprendere che se di fatto la libertà di stampa non esiste e se questi mezzi di comunicazione raggiungono milioni di persone, dicono loro cosa sarebbe vero e cosa sarebbe falso, cosa sarebbe importante e cosa no, ne condizionano, quindi, la percezione della realtà e ne formano il sistema assiologico di riferimento; se, in altre parole, sono in grado di manipolare la pubblica opinione e coloro che vanno a votare, sono altresì in grado di manipolare la politica e il governo che essi scelgono o credono di scegliere.
Questo per quanto riguarda i mezzi di persuasione collettiva, esistono però anche dei mezzi di coercizione economica collettiva, che permettono di costringere le persone ad agire in un certo modo facendo leva sul sistema economico.

Praticamente tutti noi viviamo in un sistema di coercizione economico perché esistono delle caratteristiche di questo sistema che costringono gli attori economici ad agire in un certo modo anziché in un altro. Ad esempio un'azienda in un'economia di mercato come la nostra sarà costretta ad alzare costantemente la produttività per aumentare i propri profitti e quindi restare sul mercato. Quindi deve organizzare in un certo modo la propria produzione, altrimenti viene tagliata fuori. Un lavoratore per lavorare deve sottostare a quelle che sono le condizioni del mercato, sottostare a determinati turni, a una determinata paga ed eseguire determinate mansioni e non altre; ognuno deve stare nel ruolo che gli è assegnato e non può travalicarlo. Un imprenditore non potrà abbassare la produttività della propria azienda e un lavoratore non potrà scegliere la politica aziendale.

Quanto detto fa parte delle condizioni di coercizione strutturali, cioè che riguardano la struttura stessa del sistema economico e senza le quali esso non potrebbe esistere. Poi ci sono però dei mezzi di coercizione che sono l'effetto di questo sistema, che ne sono generate dalla dinamica che esso produce. Ed è su questi che ci soffermeremo.

I mezzi economici di coercizione collettiva sono appunto un effetto di questo sistema. Essi consistono in istituzioni e meccanismi di mercato che costringono un gruppo di individui molto esteso (fino a una nazione o anche più) a comportarsi in un determinato modo.

Un esempio è il Fondo Monetario Internazionale. Esso ha il potere di elargire ingenti finanziamenti e questo lo mette in condizione di influenzare determinate politiche invece di altre. Il FMI impone nei paesi in via di sviluppo la liberalizzazione totale dei mercati. Ciò rende le imprese locali incapaci di sopravvivere perché si trovano a competere con soggetti economici molto più grandi e potenti. Se al contrario i mercati interni fossero protetti l'economia del paese potrebbe svilupparsi e rafforzarsi. Ma il Fondo Monetario avendo il potere di concedere o ritirare finanziamenti può imporre a quei paesi e ai loro governi di non seguire questa strada.

Oppure c'è il caso dei grandi speculatori internazionali che avendo ingenti capitali a disposizione possono produrre gravi crisi economiche decidendo di investire o disinvestire in un determinato settore. Anche questo è un enorme potere ricattatorio.

Mettersi contro certe lobby è estremamente pericoloso, anche per uno stato. Potrebbe voler dire la crisi per la propria industria nazionale, l'isolamento sui mercati internazionali, il mancato rifinanziamento del debito pubblico e, in definitiva, la banca rotta.

Per quale motivo un politico dovrebbe correre simili rischi? 

Egli ha di fronte due possibilità: da una parte mettersi contro gli interessi finanziari mondiali, affrontare i media e sperare, pur avendo stampa e televisioni contro (che abbiamo visto da chi sono controllati) di riuscire a convincere l'elettorato. Ammesso che ci riesca dopo dovrebbe impedire la catastrofe nazionale, della quale, egli sarebbe considerato il responsabile.

Molto più facile adeguarsi a quelli che sono interessi più forti di lui e fingere di credere ai mezzi di comunicazione che evitano di parlarne (o che ne parlano in modo sbagliato).
Già l'immagine dei politici non è molto alta presso gli elettori. Perché mai, quindi, essi dovrebbero metterla ancora più a rischio? Perché dovrebbero essere disposti a giocarsi la carriera e il prestigio personale per un'impresa non solo dall'esito quantomeno incerto, ma il cui merito pochi sarebbero disposti a riconoscere?
Tutto ciò ci fa capire che esistono poteri ben più grandi e influenti del voto. Di un voto che può solo decidere quale coalizione debba governare, ma non come debba farlo.

Abbiamo omesso di dire che ci sono anche un'altra serie di mezzi per influenzare il popolo. 

Essi sono i mezzi di dissuasione collettiva e servono a evitare che il popolo compia determinate azioni che possano mettere in crisi il potere costituito. Ad esempio la polizia, l'esercito oppure le carceri o il diritto penale. In particolare, proteggono la proprietà e chi la possiede ed impediscono rivolte o rivoluzioni.

In un regime liberale il loro utilizzo viene limitato agli interventi indispensabili. Sono l'estrema ratio del sistema capitalistico, l'ultima spiaggia. Il loro utilizzo, su larga scala, cioè non contro semplici individui ma contro gruppi ampi e organizzati, presuppone che esista una crisi del capitalismo a uno stadio già molto avanzato e che quindi il popolo abbia acquisito coscienza, che non creda ai media e alla propaganda e che sia abbastanza organizzato per produrre rivolte. A questo stadio noi non siamo ancora arrivati. Forse in passato, c'è stato un periodo in cui si era molto vicini a questo, ma non oggi.

In realtà si fa leva molto di più sui mezzi di persuasione e di coercizione economica che su quelli di dissuasione. 
Si preferisce condizionare il popolo ideologicamente ed economicamente piuttosto che attraverso l'utilizzo della forza.
Ciò non toglie che esistano delle situazioni in cui questi mezzi vengono usati dai nostri stati, se non all'interno, all'esterno.

Qui arriviamo ad un nuovo capitolo che dimostra come i nostri stati “democratici” commettano crimini e siano responsabili di violenze contro intere popolazioni. Ma di questo ce ne occuperemo in un'altra occasione.

Ci basti qui sapere che la democrazia non esiste in quei paesi che finora abbiamo creduto avessero adottato questo sistema politico. L'elezione a suffragio universale non assicura la democrazia, perché essa implicherebbe il governo del popolo e non la semplice elezione di chi governa.
Inoltre esistono forti gruppi di potere che condizionano l'operato del governo e le opinioni e i comportamenti di chi lo elegge.


La vera ed effettiva sovranità non appartiene né al popolo, come sta scritto nelle nostre costituzioni, né ai politici, come un'ampia e fuorviante pubblicistica di un certo giornalismo ci indurrebbe a credere, bensì a coloro che detengono il vero potere, non il voto né il seggio, ma il capitale, e che in sostanza sono in grado di controllare qualsiasi settore della vita pubblica (e privata).

Le nostre istituzioni, più che alla democrazia assomigliano a quelle della Roma di età repubblicana, dove il potere era appannaggio dell'aristocrazia e il popolo aveva la facoltà di esercitare una forma, tenue, di pressione attraverso istituzioni come il tribunato della plebe.
Non una democrazia, quindi, ma un'oligarchia “temperata”.

Fino ad alcuni decenni fa la facoltà che il popolo aveva di intervenire, in effetti, pur non essendo democratica, non era neanche puramente simbolica e il volere popolare contava effettivamente qualcosa.
Tuttavia negli ultimi anni si è avuta una deriva, come nell'Antica Roma, da un sistema repubblicano (dove l'aristocrazia dominava lo stesso ma il suo potere era in qualche misura contenuto) a un sistema propriamente imperiale, in cui le classi dominanti dispongono sempre più di un potere assoluto. Queste classi al potere, è bene ribadirlo, non sono i politici che ufficialmente esercitano le funzioni amministrative all'interno di istituzioni statali. Ma i detentori dei mezzi economici attraverso i quali condizionano l'azione politica.

Ma perché allora si fa tutto questo gran parlare di democrazia come se essa fosse uno stato di cose reali e non da conquistare?

Ciò è dovuto a un vecchio retaggio culturale e a precise condizioni storiche che cominciano dalla rivoluzione francese e arrivano fino ad oggi.

All'epoca della Francia rivoluzionaria era già una notevole innovazione l'avere introdotto la possibilità per il popolo di eleggere chi governa. In una situazione in cui la Francia era braccata dalle altre monarchie europee, essa aveva tutt'altri problemi, in primis la difesa del suolo nazionale e non poteva permettersi di far evolvere ulteriormente le proprie istituzioni col rischio di indebolirle ulteriormente.
In seguito con la crescita del potere della borghesia, quest'ultima vedeva nel nuovo sistema politico liberale, e non democratico, un mezzo efficace per consolidare la propria egemonia e quindi era interessata a conservarlo piuttosto che a migliorarlo o a superarlo.

Nel secolo Ventesimo, poi, anche il semplice diritto di voto per tutti non era affatto acquisito e numerosi partiti progressisti si attivarono per ottenere il suffragio universale. Una cosa del genere era vista, allora, e in effetti lo era, come un'innovazione storica, di portata straordinaria, e i suoi sostenitori ne cantarono le lodi, esagerando non poco, fino a rappresentarla come l'unico strumento portatore della vera democrazia.

Così, quando il suffragio universale arrivò, e quando anche i conservatori si convinsero ad adottarlo, tutti erano ormai convinti che si trattava della democrazia, e che i loro stati erano diventati a tutti gli effetti democratici.

Non ci furono critiche significative all'utilizzo di questa parola nemmeno in seguito. I partiti al governo mettevano in risalto il fatto che il popolo poteva scegliere “democraticamente” chi dovesse governare e che quindi loro erano pienamente legittimati a farlo. Gli oppositori, dal canto loro, quando volevano contestare qualcosa si appellavano allo “spirito” democratico così come veniva inteso allora, cioè come era rappresentato dai codici e dalle costituzioni. Un atto di un determinato governo poteva essere non democratico, ma non perché avveniva in un contesto non democratico, bensì solo perché quel governo non aveva rispettato le regole della cosiddetta democrazia in vigore.

Tutto il dibattito, tra sostenitori dei governi e dei gruppi dominanti e oppositori si esauriva all'interno delle istituzioni vigenti e questo perché le istituzioni vigenti erano democratiche, quindi non c'era nulla da migliorare se non il modo di usarle.

La situazione internazionale poi consolidò questo punto di vista. L'ascesa di regimi, nel corso di tutto il Novecento, palesemente tirannici, in particolare del fascismo e del nazismo, spinse i “democratici” a cimentarsi nel tentativo di mostrare la superiorità (indubitabile) dei loro sistemi su quelli di stampo fascista. Effettivamente la storia ha dato loro ragione, però, come i loro predecessori, esagerarono alcuni aspetti positivi e ne misero in ombra altri negativi. A cospetto del terribile regime nazista, le istituzioni liberali brillavano come un faro nella notte della civiltà e potevano, senza paura di smentita, fregiarsi dell'appellativo “democratiche”, sicure di non perderci nel confronto.

Dopo il conflitto mondiale, con l'inizio della Guerra Fredda, le potenze occidentali con la loro propaganda erano tutte tese a sostenere il diritto di scelta del popolo e dipingevano il proprio sistema come l'unico in cui fosse in vigore la democrazia, descrivendo invece i paesi del “socialismo reale” come delle tirannie brutali.
Anche qui i “democratici” avevano ragione solo in parte, i paesi del cosiddetto blocco socialista avevano anch'essi i loro vantaggi e i paesi occidentali non erano così democratici come si voleva far credere.

Nel corso degli anni Sessanta e Settanta, in Occidente, si diffuse un'ondata di sommosse popolari, di mutamenti culturali e ci fu un'avanzata decisiva dei movimenti popolari che preoccupò non poco la classe al potere. Questo alimentò ulteriori illusioni circa la natura dei nostri sistemi. Se è permessa una tale forma di dissenso, se al popolo è permesso intervenire nelle questioni politiche in un modo che finora non aveva mai avuto, non è questa forse la prova che la democrazia esiste ed è perfettamente funzionante?

La caduta del Muro di Berlino e dell'Unione Sovietica, poi, doveva dimostrare al mondo l'effettiva superiorità del sistema di governo occidentale, l'unico che riconoscesse diritti politici al popolo, e l'unico ad essere sopravvissuto alle “dure repliche” della storia.

Oggi però non esiste una situazione internazionale che ci debba tenere avvinti a questa errata opinione. I governi occidentali, nel difendere le proprie guerre, hanno tentato di contrapporre oscuri regimi religiosi alla “democrazia” ancora una volta, operazione però di cui è facile mostrare la malafede e l'inganno, essendo quei regimi nient'altro che il risultato del modo di operare delle nostre “democrazie” su scala internazionale, le quali non hanno esitato ad armare tirannie anche peggiori di quelle contro cui si scagliano.

L'involuzione del sistema politico, dovuta alla crescente internazionalizzazione del capitale e al grande potere delle lobby di pressione, è palese a tutti. 

Gli elettori, il cosiddetto “sale della democrazia”, sono sfiduciati, non vanno più a votare come prima e quando lo fanno votano “il male minore” cioè chi non vorrebbero votare. I governi prendo decisioni sempre più impopolari, e persino antipopolari, per garantire il proprio servizio ai loro veri padroni che restano nascosti nell'ombra. Le guerre ne sono solo uno dei tanti, e tuttavia uno dei più tragici, esempi. Quasi sempre incontrano prima o poi lo scontento popolare dei paesi che le hanno provocate, per interessi tutt'altro che popolari, eppure non mancano di continuare testardamente a sostenerle.

Le crisi economiche internazionali sembrano dei disastri provocati da potenze occulte cui i governi non vogliono o non possono porre rimedio e in cui a farne le spesse è quello che le nostre costituzioni chiamano sovrano, il popolo.

Si è mai visto un sovrano tanto sfruttato, ingannato, affamato, disoccupato, sottopagato e incapace di liberarsi dei propri ministri incompetenti o corrotti? Un sovrano il cui volere si rivela sempre essere stato tradito dai propri funzionari, senza che questi mai ci rimettano la testa se non per far posto ad altri peggiori? Un sovrano, soprattutto, che non governa e la cui parola non conta nulla, un sovrano costantemente ricattato e ingannato da una cricca che siede sul suo trono e che egli non ha nemmeno mai visto?

Eppure ancora oggi si continua a credere o a fingere di credere che questo sovrano conti qualcosa. Si è capaci dei cavilli più sofisticati per mostrare quale sottigliezza giuridica sarebbe più appropriata a quella che si crede essere la democrazia. Se c'è qualcosa di palesemente non democratico ciò è attribuito a una mancanza degli uomini, mai delle istituzioni e del sistema che le perpetua, eppure questi ultimi sono sempre gli stessi, mentre gli uomini cambiano sempre.

Liberiamoci quindi una volta per tutte di questa retorica falsa e ipocrita e guardiamo in faccia alla realtà. 
Giungeremmo così a tre specie di conclusioni:

1. La democrazia non esiste e non è mai esistita.
2. “Democrazia diretta” è una tautologia e “democrazia indiretta” un ossimoro. La democrazia o è diretta o non è.
3. La democrazia non esiste ancora ma è possibile evolvere verso di essa se comprendiamo che il sistema ora in vigore è tutto meno che democratico.

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