lunedì 16 luglio 2012

C'è stato veramente un picco del petrolio?

'Il boom nella produzione del petrolio beffa ogni nostra previsione. Buone notizie per i capitalisti – un disastro per l’umanità. ‘La grande abbondanza di vita del passato – fossilizzatasi in forma di carbone combustibile – mette ora in grave pericolo la grande abbondanza di vita del presente’

I fatti sono cambiati, ora dobbiamo cambiare anche noi. Nel corso degli ultimi dieci anni un’improbabile coalizione di geologi, trivellatori di petrolio, banchieri, strateghi militari e ambientalisti ci hanno predetto che il picco del petrolio – il declino delle forniture mondiali – era imminente.
C’erano buoni motivi per crederlo: la produzione era rallentata, il prezzo si era impennato, le scorte si stavano sensibilmente riducendo e continuavano a ridursi. Tutto presagiva che stava per abbattersi su di noi la prima delle più gravi crisi energetiche della storia.
Tra gli ambientalisti non appariva chiaro, e neanche a noi stessi, se volevamo o non volevamo che accadesse. Una crisi di tali dimensioni aveva il potenziale per scuotere il mondo intero e indurlo a una trasformazione economica per evitare catastrofi future, e per generare una vera e propria catastrofe, compreso il ricorso a tecnologie ancora più dannose come i biofuel e il petrolio derivato dal carbone.
Nonostante tutto, il picco del petrolio era una leva potente. Governi, aziende ed elettori fino ad ora insensibili alla necessità di ridurre il consumo di combustibili fossili, avrebbero necessariamente iniziato a rispondere alla situazione economica creatasi...

Alcuni di noi hanno fatto vaghe previsioni, altri furono più specifici. In entrambi i casi ci siamo tutti sbagliati. Nel 1975 MK Hubbert, un geoscienziato che lavorava per la Shell, che aveva giustamente previsto il declino nella produzione statunitense del petrolio, suggerì che le riserve mondiali avrebbero potuto raggiungere il picco massimo nel 1995. Nel 1997 il geologo petrolifero Colin Campbell predisse che il picco sarebbe arrivato prima del 2010. Nel 2003 il geofisico Kenneth Deffeyes disse che era sicuro al 99% che il picco del massimo consumo di petrolio sarebbe avvenuto nel 2004. Nel 2004, il magnate del petrolio texano T- Boone Pickens predisse che “mai più riusciremo a pompare più di 82m barili al giorno di combustibili liquidi”(la produzione media giornaliera in Maggio 2012 era di 91m). Nel 2005 il banchiere Matthew Simmons affermò che “l’Arabia Saudita non poteva materialmente incrementare la propria produzione di petrolio”.(Da allora la sua produzione è salita da 9m di barili al giorno a 10m, e c’e’ un margine di 1,5m di aumento potenziale).
Il Picco del Petrolio non è avvenuto, ed è improbabile che accada per molto tempo ancora.
Un rapporto dell’esperto petrolifero Leonardo Maugeri, pubblicato dall’Università di Harvard, fornisce prove inconfutabili che è appena iniziato un nuovo boom del petrolio. Le contrazioni nelle forniture del petrolio degli ultimi dieci anni sembra abbiano più a che fare con questioni di denaro che di geologia. Il ribasso dei prezzi prima del 2003 avevano scoraggiato gli investitori a sviluppare campi petroliferi difficili. I prezzi alti degli ultimi anni hanno cambiato quel quadro.
L’analisi di Maugeri di progetti in 23 paesi indica che le forniture mondiali di petrolio entro il 2020 aumenteranno di 17m di barili al giorno (raggiungendo i 110m). Secondo Maugeri questa è “il più grande potenziale incremento nella produzione di petrolio fin dagli anni ’80”.
Gli investimenti richiesti perché questo boom avvenga dipendono da un prezzo a lungo termine di 70$ il barile – il costo attuale del greggio Brent è di 95$. In questo momento il denaro si sta riversando nel petrolio: negli ultimi due anni e’ stato speso un trilione di dollari; si attende il record di $600bn nel 2012.
Il paese in cui è previsto il maggiore aumento di produzione è l’Iraq, dove diverse società multinazionali stanno riversando il loro denaro e affondando i loro artigli.
Ma ciò che più sorprende è che l’altro boom maggiore è atteso negli Stati Uniti. Il “Picco” di Hubbert, il famoso grafico a forma di campana che raffigurava l’ascesa e la caduta del petrolio americano, si trasformerà ben presto nelle “Montagne Russe” di Hubbert.
Negli USA gli investimenti si concentreranno su petrolio non convenzionale, soprattutto olio di scisti – shale oil (che non va confuso con le argilliti petrolifere – oil shales). L’olio di scisti è un greggio di alta qualità intrappolato nelle rocce dalle quali non può defluire naturalmente. Sappiamo ora che esistono depositi giganteschi negli Stati Uniti: viene stimato che gli scisti Bakken nel Nord Dakota contengono tanto petrolio quanto se ne trova in Arabia Saudita (anche se se ne può estrarre di meno).
E questa non è che una di venti simili formazioni presenti negli Stati Uniti. L’estrazione dell’olio di scisti richiede perforazione orizzontale e fratturazione idraulica: una combinazione di prezzi alti e sviluppi tecnologici hanno reso queste tecniche economicamente fattibili. La produzione in Nord Dakota è già salita da 100,000 barili al giorno del 2005 a 550,000 del Gennaio scorso.
Ecco dove siamo ora. Non ci sarà alcuna correzione automatica – l’esaurimento delle risorse che distrugge il sistema che le ha portate a questo punto – nonostante le previsioni di tanti ambientalisti. Il problema che dobbiamo affrontare non è la mancanza ma l’eccesso di petrolio.
Abbiamo confuso le minacce al pianeta con le minacce alla civiltà industriale. Non sono per niente la stessa cosa. L’industria e il capitalismo industriale, sostenuti da abbondanti forniture di petrolio, sono molto più resistenti dei tanti sistemi naturali che essi minacciano. La grande abbondanza di vita del passato – fossilizzatasi in forma di carbone combustibile – mette ora a rischio la grande abbondanza di vita del presente.
C’e’ tanto petrolio nel sottosuolo quanto basta per friggerci tutti e non esistono adeguati strumenti che impediscano ai governi e alle industrie di estrarlo. Con il crollo del mese scorso del processo multilaterale di Rio de Janeiro, si vanificano vent’anni di sforzi di persuasione morale per impedire il disastro ambientale. La nazione più potente del mondo torna ad essere una nazione petrolifera, e se la trasformazione politica dei suoi stati confinanti ci suggerisce qualcosa, stiamo pur certi che i risultati non saranno piacevoli.
L’umanità ricorda un po’ la ragazza nel capolavoro di Guillermo del Toro “Il Labirinto del Fauno”: lei sa che se mangerà il ricco banchetto preparato per lei, anche lei verrà mangiata, ma non riesce a farne a meno. Non mi piace sollevare problemi quando non vedo la loro soluzione. Ma in questo momento non riesco proprio a guardare serenamente i miei figli negli occhi.


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